Sono 15.134 le dosi di vaccino somministrate in Calabria che rappresentano il 38,5% delle 39.280 dosi disponibili dopo la seconda fornitura Pfizer/BioNTech. Un rapporto che pone la Calabria all’ultimo posto tra le regioni per utilizzo del vaccino. Le dosi sono andate a 13.332 operatori sanitari e sociosanitari, al personale non sanitario (1.739) e ad ospiti delle Rsa 63. Il vaccino è stato somministrato a 7.611 donne e 7.523 uomini. La fascia d’età più interessata è quella 50-59 con 4.595 dosi. Seguono le fasce 60-69 (3.956), 40-49 (3.083), 30-39 (2.3039), 20-29 (895), 70-79 (209), 80-89 (68), oltre 90 (19) e 16-19 (6).
C’è ottimismo sulla capacità dei vaccini di combattere le varianti del virus SarsCov2. Lo condividono molti ricercatori, le aziende cominciano a condurre i primi test di laboratorio e a pubblicare i primi risultati; ci sono i primi test anche sulla capacità di aggredire le varianti da parte degli anticorpi monoclonali. Ma soprattutto i vaccini sono di per sé la prima arma per impedire al virus di accumulare mutazioni. A quelle finora note, si è aggiunta la variante italiana descritta sulla rivista The Lancet Infectious Diseases. È stata isolata a Brescia lo scorso agosto e ‘sorella’ della variante inglese: entrambe discendono da un antenato comune, ma le loro strade evolutive si sarebbero separate già lo scorso marzo.
“Stiamo già seguendo le varianti” del virus Sars-Cov-2 “per capire se i vaccini e gli anticorpi monoclonali sviluppati coprono anche queste: per ora sì, ma verranno fuori altre varianti, e dobbiamo stare sempre un passo avanti a loro”, ha detto Rino Rappuoli, direttore scientifico di Gsk Vaccines e coordinatore del progetto di ricerca sugli anticorpi monoclonali di Toscana Life Sciences di Siena. Se poi dovessero comparire altre varianti, per Rappuoli non sarà tecnicamente un problema adeguare i vaccini. Per il direttore sanitario dello Spallanzani, Francesco Vaia, “tutta la documentazione scientifica ci dice che i vaccini attualmente a disposizione coprono anche eventuali varianti“.
Intanto il presidente e amministratore delegato della Pfizer, Albert Bourla, ha dichiarato in un evento online che “secondo i primi studi c’è un’elevata efficacia del vaccino Pfizer/BioNTech contro la variante britannica e sudafricana“. Il dato riguarda lo studio condotto dalla stessa azienda con l’Università del Texas a Galveston e pubblicato sulla piattaforma BioRXiv, che ospita manoscritti non ancora sottoposti alla revisione scientifica. I dati, relativi a 20 persone, indicano che il vaccino sembra essere efficace contro 16 diverse mutazioni finora individuate nella principale arma con cui il virus aggredisce le cellule umane, la proteina Spike. Fra queste mutazioni è compresa la N501Y, presente sia nella variante inglese che nella sudafricana.
“E’ la prima azienda che presenta dati preliminari per valutare l’efficacia del vaccino sulle varianti del virus”, ha osservato il virologo Francesco Broccolo, dell’Università di Milano Bicocca. Si tratta, ha proseguito, di “dati molto preliminari in quanto riguardano valutazioni che considerano l’impatto di ciascuna singola mutazione presente in entrambi le varianti inglese e sudafricana, mentre per la risposta definitiva deve essere valutata l’intera variante comprensiva di tutte le mutazioni multiple”. Tuttavia lo stesso vaccino è un’arma cruciale contro le varianti del virus, ha detto l’infettivologo Stefano Vella, dell’Università Cattolica di Roma. “La prima difesa dalle varianti è accelerare il più possibile le vaccinazioni“, ha osservato, e per questo “è importante vaccinare tutti presto perché l’efficacia di una pressione selettiva non abbastanza potente è risaputa per la terapia di tutte le malattie virali”, ha aggiunto alla luce della sua esperienza con il virus Hiv responsabile dell’Aids. “Per decenni ho studiato le mutazione dell’Hiv in relazione alla resistenza ai farmaci e ho capito che una pressione genetica bassa non può che indurre mutazioni”.