Vengo invitato a scrivere qualcosa su Emanuele Severino, scomparso in questi giorni; e dico che è stato l’ultimo dei filosofi metafisici, cioè di quelli che, in corretta lingua italiana, si chiamano filosofi: latino philosophi, greco φιλόσοφοι; cioè coloro che non hanno la sapienza per rilevazione, ma cercano la verità; gli altri, che i Francesi chiamano philosophes, sono opinionisti, giornalisti, sociologi: ma in italiano non si chiamano filosofi. Severino lo era; e tornò alle origini della filosofia.
I filosofi che, spesso in senso negativo o sussiegoso, chiamiamo presocratici, si chiesero quale fosse il principio unico di tutte le cose: Talete, l’acqua; Anassimandro, gli elementi; Anassimene, l’indefinito.
Altri, spostando l’attenzione sulla materia, la videro divisibile fino all’indivisibile, l’atomo; per Anassagora, ordinato da una Mente (Νοῦς); per Democrito, effetto del caso (alla lettera, “caduta” degli atomi).
La filosofia metafisica propriamente detta inizia con una domanda cui finora nessuno ha dato risposta, e forse non la si può dare: l’essere e il divenire.
La domanda è insita nel pensiero greco, se il verbo εἰμί significa sia essere sia esistere, che non sono affatto sinonimi, anzi contrari. L’essere è eterno, quindi senza inizio né fine, come una retta, e senza tempo; l’esistere è come un segmento di una retta, che può misurarsi lunghissimo o minimo, ma sarebbe sempre un segmento da B a C, da M a N…
L’essere non ha inizio, dunque, e perciò non ha fine: è. Esistere, latino ex-sisto, significa venir fuori, e dal nulla. Ciò che esiste può essere mortale o immortale, e in questo caso non ha fine; però ha un inizio. Questo inizio è contingente, cioè accade, capita, ma non è necessario: cioè può non cominciare ad esistere. Kierkegaard, che pure era cristiano, afferma, con logica, che l’anima è creata da Dio, ma Dio non ha alcuna “necessità” di crearla; e perciò, paradossalmente, potrebbe anche riportarla nel nulla. L’essere, al contrario, non è suscettibile di divenire.
Parmenide di Elea (Ascea nel Cilento) affermò l’Essere come unica realtà; e negò, anche con esempi parimenti paradossali, ogni divenire, anzi ogni movimento, ritenendolo mera apparenza. Eraclito di Efeso negò ogni essere, e affermò che πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός (ogni cosa scorre come un fiume), e chi tenta di bagnarsi nella stessa onda, non può farlo perché l’onda passa e intanto mutiamo anche noi.
Da allora, ogni filosofia è o dell’essere o del divenire. Severino, profondo studioso della filosofia greca e di Parmenide, e sulle orme di Nietzsche ed Heidegger, e del Leopardi, sostenne che l’essere è unico, eterno, immobile, immutato; e che l’apparenza del divenire è un eterno ritorno. L’espressione è di Nietzsche, ma ha origini antichissime; e in qualche modo la troviamo nei possenti e angosciosi versi del Canto notturno leopardiano.
Se tutto è, e nulla diviene, nulla ha un inizio e una fine. In questo senso, non si può parlare neppure di morte. Severino non solo la nega, ma attribuisce all’idea di morte la causa di tutta l’angoscia dell’Occidente, che ha perso le certezze, e vive in una continua contingenza imprevedibile. La sua creatura, la scienza che è anche tecnica, si avvia forse ad assurgere al ruolo di unica e dominante realtà.
Per tentare di comprendere questo pensiero, bisogna liberarsi dalle apparenze, e non banalizzare sull’evidenza che l’individuo, come lo vediamo, muore. Secondo Severino, la morte è… e qui attinge ancora al pensiero greco arcaico, in cui la morte è un concetto vario e non definito. Ogni individuo muore, ma non per questo smette di essere. E ciò, comunque, ci riconduce dalla banalità borghese e materialistica ai grandi voli verso l’eterno.
Da questo, anche l’amore di Severino per la musica, intesa anche come l’armonia delle sfere celesti del genuino pensiero pitagorico.
Questi ed altri concetti avvicinano Severino all’attualismo di Giovanni Gentile.
La Chiesa, in nome del personalismo cristiano e della creazione dell’anima singola, dichiarò il pensiero di Severino inconciliabile con il cristianesimo. Erano ancora i tempi del Sant’Uffizio, quando la Chiesa non tentava, come spesso fa, di andare d’accordo con tutti!
Cosa rimane, di Severino? L’aver ricondotto la filosofia nei cieli della metafisica, liberandola dall’obbligo marxiano di supportare la politica anche spicciola, o di fare dell’umanesimo terra terra; e aver costretto a tonare a pensare in termini di assoluto e contingente, essere, esistere e divenire. Un pensiero affascinante e inquietante, che tocca l’intimo di ognun di noi, e sollecita risposta alle domande più antiche: “Che fai tu, Luna, in ciel… ”, cioè quale sia la ragione delle cose e del loro destino, e, alla fine, il senso della vita, e della vita di ciascuno di noi.
Emanuele Severino nacque a Brescia nel 1929 da padre siciliano, ed è morto il 17 gennaio scorso. Docente universitario, ha pubblicato La coscienza. Pensieri per un’antifilosofia (1948); Heidegger e la metafisica (1950); La struttura originaria (1958); Studi di filosofia della prassi (1962); Essenza del nichilismo (1972); La filosofia antica (1984); La filosofia moderna (1984); La filosofia contemporanea (1986); Oltre il linguaggio (1992); Tautotes (1995); Cosa arcana e stupenda (1998); Il destino della tecnica (1998); La legna e la cenere (2000); La gloria (2001); Il mio scontro con la chiesa (2001); La natura dell’embrione (2005); Il muro di pietra. Sul tramonto della tradizione filosofica (2006); Oltrepassare (2007); L’etica del capitalismo (2008); Democrazia, tecnica, capitalismo (2009); Discussioni intorno al senso della verità (2009); Macigni e spirito di gravità (2010); Il mio ricordo degli eterni (2011); il libro-intervista Educare al pensiero (a cura di S. Bignotti, 2012); Intorno al senso del nulla (2013); La potenza dell’errare. Sulla storia dell’Occidente (2013); In viaggio con Leopardi (2015); Dike (2015); Storia, gioia (2016); Il tramonto della politica (2017); nel 2018, Dispute sulla verità e la morte e Zirkus suit; Testimoniando il destino (2019).
Ulderico Nisticò