Sul Campanella (1568-1639) si è detto e si dice molto, sia da studiosi di filosofia, sia da storici, sia da semplici curiosi della sua complessa e forse contraddittoria personalità umana; ma nessuno ancora lo aveva intuito nel suo rapporto con la città natale di Stilo. Vero che troviamo il frate filosofo in molti altri luoghi, e infine morirà a Parigi; ma non si può trascurare l’ambiente familiare e cittadino, in cui in qualche modo si formò il suo pensiero. Del resto, ogni calabrese è filosofo, nel bene e nel male.
Giorgio Bruzzese – intervistato e stimolato, presso “Non ci resta che leggere” da Pietro Melia, Ulderico Nisticò, Gerardo Pagano – ha reso conto dello strumento da lui utilizzato per quest’analisi non solo concettuale ma anche psicologica del suo conterraneo: il dialetto di Stilo, in cui traduce – o forse è una retroversione? – la celebre Città del Sole.
La discussione, presto divenuta vivace e ricca di interlocuzioni, ha toccato molti aspetti del pensiero di Campanella, facendo rilevare come questo, e quello di poco precedente del Telesio, siano momenti indispensabili per capire tutto lo sviluppo della filosofia europea dei secoli seguenti.
Ci si è soffermati diffusamente sulla congiura, che però il Bruzzese chiama rivoluzione: c’è infatti una partecipazione di parte notevole della Calabria, anche se quasi solo potenziale e poco manifestatasi; e che in qualche modo vedono intervenire la Chiesa, e paradossalmente, i Turchi. È comunque una vicenda specchio delle condizioni della Calabria che, dopo un prospero XVI secolo, vedeva peggiorare la sua economia, il che causava malcontento e attese di cambiamento anche politico.
Campanella subisce processo, tortura e carcere, per essere poi liberato su richiesta di papa Urbano VIII, che lo indirizzò in Francia. Sul piano umano, è dunque una vita molto attiva, e quasi avventurosa: da farci un film, è stato detto, quasi lanciando un appello alla cultura calabrese.
È sorprendente che i filosofi cosiddetti utopistici non siano affatto dei quieti teorici, bensì hanno sempre tentato, con diversi esiti, di attuare essi stessi e personalmente i loro progetti. E chissà se davvero la Città del Sole, nella mente del Campanella, era Stilo, e per essa anche il suo dialetto?
Si è toccato dunque anche questo argomento: che rapporto ci sia tra i dialetti italiani e la lingua; tanto più che il Campanella, accanto al latino, fa uso di un elegantissima lingua italiana, sia nella prosa, sia soprattutto negli elegantissimi versi, in cui adatta all’italiano la metrica grecolatina. Il rapporto tra italiano e dialetto è la nostra realtà; ma anche la realtà di tutta Italia.
Il pubblico presente, molto attento, è stato la dimostrazione che la cultura attrae, se è saputa presentare. In una simpatica cenetta, l’argomento è stato anche Stilo, con diversi episodi storici, e l’intenzione di farli meglio conoscere.