Quattordici anni fa un terremoto devastava L’Aquila; dopo quattordici anni, siamo alle commemorazioni senza ricostruzione. Rinuncio ad elencare quanti governi di ogni segno, e presidenti, hanno commemorato e promesso e tagliato nastri e pianto a favore di telecamere: ma la situazione effettuale è del tutto insoddisfacente.
Possiamo continuare con non so quanti altri recenti terremoti e mancate ricostruzioni, e presidenti e governi in lacrime e nastri tagliati.
Di solito, per ogni disastro, sono stati nominati commissari, il cui unico risultato fu di complicare le cose e aggiungere burocrazia a burocrazia, più uno stipendio di non lieve entità.
Poi dite che uno fa il nostalgico. Nel 1930, estate, terribile sisma in Irpinia – notate, Irpinia: il seguente 28 ottobre venne inaugurata, senza pianti, la ricostruzione reale; e le case del 1930 furono le sole a resistere, bell’e solide, al sisma del 1980, e sono in piedi tuttora. Nel 1930, il commissario con enormi poteri, Araldo di Crollalanza, restituì al governo i soldi avanzati. Il sisma del 1980, come tutti sanno, fu il padre di tutte le corruzioni d’Italia, con particolare riguardo a Napoli; e con effetto collaterale di un accordo tra partiti a 360, anzi 720 gradi, e, ahimè, nessuno escluso. Chi non sapesse chi c’era al governo nel 1930, s’informi, o leggendo il mio libro “Anno cento”, o anche solo in internet.
Ma oggi voglio parlare bene della Calabria e dei Borbone. Ragazzi, dei Borbone veri, non quelli fasulli inventati dai vari Pino Aprile per i neoborbonici buonisti; pro tempore, dal 1759 Ferdinando, IV come re di Napoli e III come re di Sicilia; molti anni dopo, nel 1816, Ferdinando I re delle Due Sicilie.
Nel 1783 la Calabria venne distrutta interamente da un terremoto apocalittico, dieci e venti e più violento di ogni altro nei secoli seguenti dovunque; tranne forse Reggio e Messina, che però fu un fatto concentrato allo Stretto. In quel 1783 crollarono intere montagne o si aprirono a libro; e crearono sbarramenti di fiumi e paludi…
Ebbene, Ferdinando IV inviò subito l’esercito, al comando del principe Pignatelli di Cerchiara, cui diede poteri ancora superiori a un commissario: “alter ego”, come fosse il re in persona. Dopo i soccorsi, che, nonostante le enormi difficoltà, furono rapidi e risolutivi, iniziò la ricostruzione: vennero creati baraccamenti organizzati e ordinati per ospitare i tantissimi rimasti senza casa; intanto degli ingegneri di altissimo livello, e altrettanto spicci e senza burocrazia, decisero, nella maggior parte dei casi, il trasferimento degli abitati in zone che apparivano meno esposte al pericolo, e più soleggiate e salubri. I nuovi insediamenti ebbero tutti (beh, il 99,9%: aspettate!) dei perfetti piani regolatori che è giusto definire ippodamei. Fu, infatti, quello di Thuri (444 a.C.), in agro di Cassano Ionio di oggi, il modello con cui Ippodamo di Mileto consacrò il modo razionale di costruire una città, e che adottarono in tutto l’Impero i Romani; e venne ripreso nel XVIII secolo.
L’elenco delle città nuove in Calabria è lunghissimo. Andate a vedere Borgia o Filadelfia o Palmi oppure Oppido Mamertina… eccetera. Un solo luogo terremotato sfuggì a tale bella sorte; vediamo chi indovina quale fu! Bravi: avete indovinato.
In dieci anni dopo il 1783, era tutto finito. Quanto ai soldi, gli ingegneri borbonici calcolarono persino i “grani”, centesimi, che un edificio doveva costare.
Altro discorso, quello della Cassa Sacra e con essa, la nascita di un ceto di falsi nobili ladri: ma ne parliamo un’altra volta. Intanto, vedete come si può ricostruire.
A oggi, all’Aquila, solo piagnistei. Aspettiamo dalla Meloni cose da 1930 e da 1783? E subito!
Ulderico Nisticò