La squadra mobile di Reggio Calabria ha arrestato, per detenzione di armi e ricettazione, Paolo Labate, nipote del boss ergastolano Filippo Barreca arrestato qualche anno fa nell’ambito dell’inchiesta “Metameria” coordinata dalla Dda di Reggio Calabria sulle cosche reggine.
Nella stessa inchiesta è stato coinvolto anche il padre dell’arrestato, Francesco Labate detto “Checco” genero del capocosca. L’indagine nasce dal tentato omicidio ai danni di Massimiliano Sinisi, consumato nella notte tra il 14 e il 15 luglio scorso in via Pio XI nella zona sud della città.
Nell’ambito di quell’inchiesta, il 26 agosto la squadra mobile ha eseguito una perquisizione a casa di Paolo Labate trovando un fucile a canne mozze con matricola abrasa.
Stando ai filmati di videosorveglianza, inoltre, il primo novembre l’indagato si è recato in un panificio imbracciando un fucile con il quale, secondo l’accusa, voleva sparare al titolare dell’esercizio commerciale per futili motivi. A sostegno dell’impianto accusatorio ci sarebbero alcune intercettazioni.
Grazie a una conversazione di Paolo Labate con un altro soggetto e grazie a un post su Instagram in cui l’indagato ritraeva la sua mano mentre nascondeva il fucile in un determinato luogo, infatti, la squadra mobile è riuscita a trovare e sequestrare l’arma utilizzata “per l’azione dimostrativa” ai danni del fornaio.
“Le emergenze investigative sin qui analizzate – scrive il gip Margherita Berardi nell’ordinanza di custodia cautelare con cui è stato convalidato l’arresto – restituiscono i tratti di una personalità straordinariamente arrogante e violenta, pronta a ricorrere all’utilizzo di armi altamente lesive quale soluzione del più banale screzio, con una spregiudicatezza tale da tradursi nella convinzione di poter evitare le conseguenze penali delle proprie azioni”.
Nelle carte viene fotografato anche “il comportamento ostile, aggressivo e oltraggioso” nei confronti dei poliziotti che lo hanno arrestato. A loro, infatti, Paolo Labate ha ricordato che suo nonno, il boss Filippo Barreca, “si è fatto quarant’anni di carcere e non ha pianto”.