Colpo di scena a 32 anni dall’omicidio di Bruno Caccia. Il presunto assassino del procuratore capo di Torino ucciso nel giugno 1983 dalla ‘ndrangheta mentre portava a spasso il cane sotto casa, è stato arrestato dalla polizia. Si tratta di Rocco Schirripa un panettiere di 64 anni, di origini calabresi nato a Gioiosa Jonica. L’inchiesta è stata coordinata dalla procura di Milano. Il mandante del delitto, Domenico Belfiore, era già stato arrestato nel 1993 e condannato all’ergastolo (dallo scorso giugno si trova ai domiciliari per motivi di salute). L’arresto è stato possibile grazie ad un “trucchetto” utilizzato dagli uomini della squadra mobile di Torino. Quando Domenico Belfiore, ritenuto il mandante dell’omicidio è stato trasferito ai domiciliari per gravi motivi di salute, è scattata la trappola. Gli agenti guidati da Marco Martino hanno spedito alcune lettere anonime a persone della cerchia di Belfiore e al sospettato. Tanto è bastato perché all’interno del gruppo si scatenasse la paura su chi avesse potuto rivelare quel nome. Le intercettazioni hanno fatto il resto. E per gli inquirenti non ci sono dubbi: Schirripa è l’uomo alla guida dell’auto che il 26 giugno 1983 si fermò a pochi passi dall’abitazione della vittima e che successivamente sparò alla testa del procuratore uccidendolo.
A carico di Rocco Schirripa, spiega una nota della Procura di Milano, “sono state raccolte numerose fonti di prova”. Non solo, a quanto riferito dal procuratore facente funzione, Pietro Forno, l’uomo una volta capito di essere nel mirino della magistratura, avrebbe pensato alla fuga. “Schirripa – ha spiegato – viene indotto a dire che con qualcuno aveva fatto dei cenni della sua partecipazione all’omicidio. Questo è il fulcro della sua confessione extragiudiziale. Il secondo passaggio da sottolineare riguardo alle intercettazioni è che Schirripa prende in considerazione la possibilità di scappare”. “L’omicidio Caccia – ha ricordato Ilda Boccassini – è stato effettuato dalla ‘ndrangheta senza muovere grossi apparati, ma sfruttando l’umana debolezza di un uomo integerrimo che aveva portato il suo cane, come tutte le sere, a fare i bisogni”. Caccia, procuratore della Repubblica di Torino, aveva 64 anni, quando, la sera del 26 giugno 1983, fu ucciso sotto casa con 14 quattordici colpi di pistola. Era arrivato a Torino dopo essere stato alla procura generale e alla procura di Aosta. Si era occupato di diverse indagini, dal terrorismo al traffico di droga, alle mafie: tra le altre quella sul sequestro del sostituto procuratore di Genova Mario Sossi, tenuto prigioniero dalle Brigate Rosse. Per la sua morte nel 1993 era stato arrestato Domenico Belfiore, legato alla ‘ndrangheta e considerato il mandante dell’omicidio, ma non gli escutori materiali del delitto, che freddarono il magistrato. Lo scorso giugno la figlia del procuratore, Paola, insieme al legale della famiglia, Fabio Repici, dinanzi alla Commissione Antimafia del Comune di Torino, aveva auspicato la riapertura del processo “per fare definitivamente chiarezza su una delle pagine più buie della storia torinese e nazionale e per individuare gli esecutori e svelare gli intrecci tra ‘ndrangheta, economia e gioco d’azzardo” su cui stava indagando il procuratore.