La cerimonia dell’alba ha mosso un pubblico imponente per numero e per qualità, che ha partecipato con la massima attenzione e in intenso silenzio, con veri momenti di commozione.
L’altissimo livello di musica classica di Barbara Ranieri, Valeria Piccirillo, Valerio Mazza; l’interpretazione dei versi di U. N. da parte di Claudio Rombolà e Maria Bruna Cuteri; la mirabile cornice della baia e il fascino le prime luci, hanno dato vita qualcosa che trascende il mero spettacolo, per divenire momento di comunità spirituale.
Come abbiamo promesso ai partecipanti, ecco i versi. Saranno disponibili anche le registrazioni della recitazione e delle musiche.
A.
Io che, attendendo la luce, ammirai il giro delle Orse,
e la Corona, e le Pleiadi, e le infinite altre luci,
e mi gravava sul cuore l’immensità delle stelle,
io ora nel primo chiarore, di là delle onde del mare,
io ora invoco te, alba, che diradi le ombre del cuore.
B.
Narrano che l’antico re Italo, guardando dai monti a oriente,
così levò un inno al sole: “O tu che sei luce del giorno,
e segno possente di vita, sii tu anche luce dei popoli”,
e riuniti attorno a sé forti giovani e donne dalle mani industriose,
e imbandendo i sissizi di rosse carni e di vino,
e canti di gloria e di gioia, donò il sacro nome all’Italia.
A.
Venendo dalle terre dell’alba verso le ombre di Esperia
i Greci desiderosi di terre, e mossi dagli dei dell’oracolo,
fondarono ricche città, celebri per dotti ed atleti.
Guardando all’aurora divina dal roseo volto, ricordo
di là delle lucide onde, li colse delle madri antiche.
B.
Il vecchio Menesteo, re di Atene, fondò Poliporto e Scillezio,
e a volte, nelle luci dell’alba, giacché gli anziani dormono poco,
ricordò quando, padrone dell’arte del dire, contese il potere a Teseo.
E dopo aver combattuto sotto Ilio, e viste le coste di Libia,
gli apparve da lontano un gran fiume.
A.
“È terra d’Esperia”, si accorse,
e anche qui porremo gli ormeggi, e case, e templi, e commerci.
B.
E vide che il luogo era già sacro, per tombe nella roccia, dei Siculi,
rivolte alla spuma del mare, perché i morti vedessero il sole.
A.
Poi giunsero e Bruzi e Romani e pensosi Romei dell’Oriente,
e Normanni e ogni altra stirpe dal mare o dai monti selvosi.
Trascorsero a migliaia le albe, e i marinai e i pastori,
in alto alla luce le mani cantavano all’alba a una voce:
B.
“Sia grazie al nuovo giorno che illumina”, e gli uni traendo le barche,
portavano gli altri le pecore lungo il Beltrame dai pingui pascoli.
A.
E già nel chiarore si leva la madre di famiglia, pensosa
di come dividerà tra le bocche il cibo, e a se stessa se resta.
B.
Andò l’artigiano solerte in cerca del tronco più sano,
dovendo consegnare l’aratro di legno con la punta di ferro,
che apra il nero ventre alla terra. Seminerà il contadino
sperando cento volte il suo frutto. Ed è un buon lavoro dell’alba.
A.
Rintoccherà la campana all’alba, per la Santa Vergine
che qui è Addolorata e Portosalvo e Ausiliatrice e l’Assunta,
benedizione delle anime, benedizione delle opere.
B.
Dai monti di belve e di alberi sentirà dal suo covo il brigante,
nemico degli uomini quieti, ed esso stesso selvatico,
godendo ogni giorno dell’alba senza mai certezza se è l’ultima.
A.
E tutti, qualunque sia il luogo e la condizione e l’età,
guardando l’orizzonte che arrossa, l’Aurora dalle dita di rosa…
B.
rhododàktylos, cantò il cieco poeta
A.
assieme, per amore del luogo, e cittadini e passanti,
così loderanno ogni alba e Soverato con canto.
B.
Soave assenzio, Soverato, sei
e veleno piacevole; o se il sole
sgombra le nubi, e sempre azzurro aprile
pare il tuo inverno; o se una lenta brezza
d’estate piace; o se sorride il cielo
del colore del mare.
A.
Come giallo
oro è la spiaggia; cupe le onde azzurre
e grigie, paurosi abissi: il nostro
è mare d’arditi uomini, nocchieri
e rematori, e capaci di sfida
agli spada dalla feroce offesa,
ai tonni dal possente corpo, o al morso
della vendicatrice tracina.
B.
Lo vide
dalla Sicilia sacra ai numi, fuoco
dell’Etna, per primo un marinaio bruno,
e disse: “A forza dello scalmo andrò,
e mi farò di Soverato”; giunse
e baciava la terra. E all’ora mesta
della morte, così comandava ai suoi,
seppellissero il corpo dove nacque.
A.
Veleggiavano le tartane in cerca
di attracco al largo; e piacque ai loro il luogo,
e innalzarono case.
B.
Crebbe lenta-
mente, con intenzione accorta,
di fabbriche e cantieri ed artigiani,
e olio e frantoi e buon vino e lino
e cotone e la seta: la mandavano
ai filatoi di Villa.
A.
Piacque ancora
Soverato ai vicini, e spesso accadde
che a uno presso Caramante, sacra
fontana, piacesse anche una giovane,
e la sposò nel Duomo, nuovo
concittadino
B.
da Petrizzi, gente
superba; e Davoli dalle acute menti;
l’attiva Satriano; e Cardinale
fluente di parole; e Chiaravalle
accorta di politica.
A.
Così si fece
più grande Soverato.
B.
Venne un santo
da lontano a creare chiesa e scuola,
con aiuto di generosa nobiltà.
A.
S’intrecciarono strade e treni e navi
B.
perché fosse città delle città,
e centro delle coste e delle cime.
A.
Così fu Soverato, ricca d’arti
e di commerci, e di accoglienza, e libri,
e teatro, e bei monumenti.
B.
E se a volte
su Soverato si distese l’ombra
di qualche male, come lieve canna
dopo l’onda nemica si solleva,
e ritorna a svettare Soverato.
A.
Ormai già albeggia
B.
e ritorna la luce,
A.
comune raggio di gioia
B.
per tutti gli uomini.
Doveroso ringraziare volentieri quanti hanno collaborato in vario modo: Comune, Regione, Amici di Ambra, Soverato in cammino, sponsor. E i tantissimi che hanno affrontato la levataccia, tornandosene poi lieti di averlo fatto.
Ulderico Nisticò