Ma non ce l’ho, ahimè. Che peccato. Sarei stato per lui il punto di riferimento in questa vita insensata. L’avrei cresciuto insegnandogli i sani principi della società civile, quella onesta. Gli avrei fatto capire che fare del male ad altri non è solo cristianamente e legislativamente inaccettabile, ma che lo è soprattutto da un punto di vista morale. Gli avrei suggerito che uccidere non è mai la soluzione, che rubare a chi ha sudato le sue sette camicie per avere il poco che ha, è inaccettabile. Gli avrei mostrato il male di chi sfrutta la prostituzione e i lavoratori, di chi gioca con le banche e i soldi degli illusi ignoranti. Lo avrei preparato a capire che la malavita organizzata oggi non è più quella che parla il dialetto e gira per le campagne con un fucile a tracolla, ma si mette la cravatta e siede negli scranni più alti della politica o delle multinazionali. Lo avrei indotto all’errore, per fargli capire che sbagliando si impara, ma lo avrei anche punito se avesse ripetuto quell’errore. Gli avrei rivelato che anche se può apparire assurdo, le istituzioni vanno rispettate, anche quando queste superano il limite della legalità e della decenza. Gli avrei spiegato che non avrebbe dovuto sentirsi inferiore a nessuno, ma che questo non avrebbe dovuto indurlo alla presunzione di pensare di essere migliore degli altri in ogni situazione.
Gli avrei suggerito che esistono persone che la vita ha reso fragili e che proprio per questo non vanno soggiogate approfittando delle loro debolezze. Che si può insegnare cosa è giusto e cosa è sbagliato tralasciando gli strali degli imbonitori da Tv o da rivista patinata. Gli avrei detto che, in tante situazioni, questa vita poteva fargli montare una rabbia che non avrebbe saputo gestire, ma che se a farne le spese fosse stato un incolpevole, doveva essere capace di rimediare e chiedere scusa. Che gli amici non sono quelli che danno qualcosa quando si pensa di averne bisogno, ma quelli che non tolgono nulla e che si fanno trovare anche quando si pensa di non averne bisogno. Lo avrei accompagnato a fare la comunione e la cresima, se avesse deciso di essere cattolico, e avrei pianto di gioia al suo matrimonio e al battesimo dei suoi figli. Lo avrei visto invecchiare con la sua compagna, fare un lavoro che non aveva scelto e sacrificarsi per la famiglia.
E se tutto questo non fossi stato in grado di darglielo in maniera efficace, magari l’avrei visto spacciare droga, vendendo morte a ragazzi fragili e incapaci ad essere felici, l’avrei visto fare soldi sulle spalle della mancata volontà di rinunciare al dolore, l’avrei visto tornare a casa con le tasche piene di denaro e di eroina. E forse, un giorno, l’avrei aspettato inutilmente perché quelle istituzioni che ho tentato di fargli rispettare, avevano deciso di arrestarlo. E forse non l’avrei rivisto mai più, perché quelle istituzioni che ho tentato di fargli rispettare, erano andate un po’ troppo sopra le righe uccidendolo di botte. E allora sì, sarei andato anche al suo funerale, maledicendo chi lo aveva ucciso, cercando con forza dei responsabili da far punire e scorciatoie per non dover giudicare le mie mancanze.
Ma, passato il dolore, l’indignazione, la rabbia e la rassegnazione, avrei visto quei porci delle forze dell’ordine che avevano ucciso mio fratello, finire in galera, un giudice riconoscermi un cospicuo risarcimento dei danni subiti e qualche partito di sinistra farmi la corte per un posto in parlamento. Avrei partecipato a tanti talk show, facendomi vedere affranto e vendicativo. Avrei fatto i soldi scrivendo un libro di denuncia. Avrei preteso le scuse di tutti coloro che accusavano mio fratello di essere uno spacciatore e mai mi sarei sognato di chiedere scusa alle famiglie di quei ragazzi a cui mio fratello aveva venduto la droga. Avrei vissuto il dolore attraverso l’apparenza mediatica e chacet così elevati da non aver mai visto tanti euro in vita mia. Sarei stato per lettori e telespettatori un punto di riferimento per spiegare questa vita insensata e gli avrei insegnato i sani principi della società civile, quella onesta.
Ma io un fratello non ce l’ho.
Gianni Ianni Palarchio (Blog)