In questo breve e succoso romanzo storico si narrano vicende di Bizantini e Normanni e santi e donne dell’XI secolo, intrecciati con il Sessantotto del XX, scoperte del XXI, e diversi fatti personali dell’autore. Si scopre che in Spagna esiste un paese chiamato Santa Eufemia, e che si vanta fondato da eroici cavalieri calabresi in guerra contro i Mori; e la squadra di calcio si chiama Calabresa, eccetera. Fatto verissimo, mica fantasie pseudomeriche: telefonate all’alcalde. E ne parlo e scrivo da molto prima dell’uscita di questo romanzo, e almeno dal 2015. Ovviamente, invano.
Se fossimo in Giappone, ne avrebbero ricavato una serie a cartoni animati; se fossimo in America, filmoni tipo “Le Crociate”; se fossimo in un qualsiasi luogo dell’Italia Centrosettentrionale, ci sarebbe ogni anno la Fiesta de los caballeros, con gemellaggi eccetera: e muovendo dal concetto che, qualunque cosa si organizzi, il turista deve mangiare due volte al giorno, quindi lascia soldi. Tipo balcone di Giulietta e Romeo che mai vi si affacciarono, anzi mai esistettero, però sotto il posticcio verone si sbaciucchiano a milioni: e intanto si fa l’ora della merendina, e giù soldi; soldi, quindi lavoro per ristoranti e camerieri, e giro di altri soldi, quindi altro lavoro.
Se fossimo… ma siamo in Calabria, e la notizia non ha mai commosso nessuna delle seguenti categorie:
– la Regione di sx, csx, c(dx), in cui gli assessori alla cultura sono sempre stati scelti per fare non rappresentanza ma ARREDAMENTO: ripeto, arredamento; e di parecchi non abbiamo manco saputo il nome;
– le Province (ci sarebbe da raccontare un fatto della Provincia di Catanzaro di anni fa, ma mi verrebbe il voltastomaco, e sorvolo);
– i Comuni;
– l’Unical, dove mi dicono ci sia una Facoltà di lettere con insegnamenti di storia: ma lì pensano che la storia calabrese sia qualche statistica fasulla sul reddito pro capite ai tempi del nonno di re Italo!!!
– gli intellettuali lacrimosi a pagamento, segue cena.
In Calabria siamo bravissimi nel fare pessimo uso di quello che abbiamo. Del resto, conoscendo i polli in parola, non mi stupisco. Per coloro, è impensabile che dei Calabresi facessero i cavalieri e non i manovali o bidelli; e fossero perciò ben messi e in allenamento, e non brutti e storti e goffi; e danarosi, per pagarsi cavallo e armatura, invece di disgraziati e affamati. Certo che tanto vittima e pacioso e buonista non doveva essere, il capitano Sergio da Soverato al precario e infido servizio dell’abate di Sant’Eufemia (con l’apostrofo, a Lamezia), e fondatore postumo di Santa Eufemia (senza apostrofo, in Andalusia). Il suo principio di vita era “Una morte vale l’altra”, e, dopo una vita di guerre, morì in battaglia, e non in casa di riposo.
Ecco perché non siamo in America, non siamo a Verona, non siamo in Giappone, ma siamo in Calabria.
Il libro? Diranno che “scrivo bene”: proprio così, perché molti sono rimasti alla mentalità del tema in classe: otto, e dire il meno possibile. E non importa a nessuno dei Bizantini, del duca Roberto e dell’abate Roberto pure lui; del granconte Ruggero e delle coniugi Giuditta e Adelasia; e di papa Urbano II che non hanno mai sentito nominare; di Sergio; dei due rivali di Stilo che, secondo le più radicate nostrane tradizioni, erano cugini; e figuratevi del Sessantotto e delle poesie in italiano e in greco e degli amori che furono… e di Santa Eufemia e dell’intera Penisola Iberica.
Ulderico Nisticò