Quattro medici sono stati arrestati e posti ai domiciliari e altri 6 e un’ostetrica sono stati sospesi dalla professione in un’inchiesta della Procura di Reggio Calabria. Secondo le indagini del Nucleo polizia tributaria del Comando provinciale della GdF, nei reparti di Ostetricia e Ginecologia, di Neonatologia e di Anestesia degli “Ospedali riuniti” di Reggio vi sarebbe stato un sistema di copertura illecito, messo in atto in occasione di errori commessi in interventi su singole gestanti o pazienti, per evitare di incorrere nelle responsabilità soprattutto giudiziarie.
Il primario e l’ex primario dell’Unità operativa complessa di Ostetricia e Ginecologia degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria, Alessandro Tripodi e Pasquale Vadalà sono due dei quattro medici sottoposti agli arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta “Mala sanitas”. Gli altri due medici arrestati sono Daniela Manuzio e Filippo Luigi Saccà, entrambi in servizio nello stesso reparto. Saccà è anche responsabile della struttura semplice “Diagnosi e Terapia Prenatale”. Sono, invece, stati sospesi dall’esercizio della professione per 12 mesi, i medici Salvatore Timpano (in servizio a Ostetricia e ginecologia fino al 28 febbraio 2015); Francesca Stiriti (Ostetricia); Maria Concetta Maio (responsabile “Ambulatorio di neonatologia” nell’Unità di Neonatologia); Antonella Musella (Ostetricia e Ginecologia); Luigi Grasso (medico anestesista all’Unità operativa di Anestesia fino al 31 dicembre 2012); Annibale Maria Musitano (direttore dell’Unità operativa di Anestesia fino al 30 giugno 2013); e l’ostetrica Pina Grazia Gangemi (Ostetricia e ginecologia).
I presunti episodi di malasanità al centro dell’ indagine della Guardia di finanza di Reggio Calabria che ha portato all’ arresto ed alla sospensione di medici dell’ospedale riguardano la morte di due neonati e le lesioni irreversibili riportate da un altro bimbo, dichiarato invalido al 100 per cento. Inoltre, l’ inchiesta ha riguardato anche traumi e crisi epilettiche di una partoriente, il presunto procurato aborto di una donna non consenziente e le lacerazioni di parti intime e connotative di altre. Alcuni degli indagati non sono più in servizio al Presidio ospedaliero “Bianchi-Melacrino-Morelli” (gli “Ospedali Riuniti”).
Gli arresti domiciliari e la sospensione dalla professione per 12 mesi sono stati disposti dal Gip su richiesta della Procura. Le accuse sono, a vario titolo, di falso ideologico e materiale, soppressione, distruzione e occultamento di atti veri e interruzione della gravidanza senza consenso della donna. Il presunto sistema di copertura degli errori, secondo l’accusa, sarebbe stato condiviso dall’intero apparato sanitario.
E’ scaturita da alcune telefonate intercettate nell’ambito di indagini della Dda di Reggio Calabria, su personaggi gravitanti a vario titolo nell’orbita della cosca di ‘ndrangheta De Stefano, l’operazione “Mala Sanitas” che ha portato stamane all’esecuzione di 11 misure restrittive nei confronti di 11 sanitari operanti o gia’ in servizio nei reparti di Ostetricia e Ginecologia, di Neonatologia e di Anestesia dell’ospedale “Bianchi-Melacrino-Morelli” della citta’ dello Stretto. Gli indagati devono rispondere dei reati di falso ideologico e materiale; di soppressione, distruzione e occultamento di atti veri nonche’ di interruzione della gravidanza senza consenso della donna.
Nello specifico, da intercettazioni attivate dalla Dda su un’utenza intestata all’ Azienda Ospedaliera e in uso ad Alessandro Tripodi, medico ginecologo nel reparto “Ginecologia e Ostetricia” nonche’ nipote di Giorgio De Stefano, 68 anni, cugino dei capi storici della cosca omonima, sarebbero emersi numerosi episodi di malasanita’ dovuti a reati di colpa medica e di falsita’ in atto pubblico da parte del personale coinvolto. Gli atti sarebbero percio’ passati alla Procura ordinaria che ha disposto ulteriori attivita’ di intercettazione telefonica, raccogliendo le dichiarazioni delle pazienti, acquistendo cartelle cliniche e disponendo consulenze tecniche. Secondo la Procura, la complessa attivita’ investigativa svolta dalle Fiamme Gialle di Reggio Calabria, avrebbe fatto emergere “l’esistenza di una serie di gravi negligenze professionali e la “assoluta freddezza e indifferenza verso il bene della vita”.