Recessione mondiale… e locale


Si parla ormai senza remore di una recessione economica mondiale, che, per fare il nostro caso Italia, sarebbe al 9, quasi 10%. E tutti in coro a paragonare la contingenza con la crisi del 1930. E nessuno a spiegare cosa in quegli anni successe:

1. Dopo la Prima guerra mondiale, che aveva stimolato le industrie, queste, convertite da guerra a pace, si erano date ad un’espansione esplosiva e senza logica: “Anni ruggenti”.
2. Come doveva essere evidente, accadde un fatto endemico nel capitalismo: la crisi di sovrapproduzione; cioè mettere sul mercato aggeggi e ninnoli inutili e non venduti.
3. Ignobili giochi di moneta cartacea fecero saltare la Borsa di N. York, e a cascata quelle del mondo occidentale capitalistico.

Nel 2020 è successa una cosa simile, molto aggravata dal virus, che non permette più la produzione di giocattoli per bambini cresciuti di anni e non di testa, e sempre alla nevrotica “ricerca della felicità” da comprare al supermercato.

Ebbene, che fare? Beh, siamo in Italia, e perciò adduco modelli italiani. Venne istituito nel 1933 l’IRI, per sostenere le industrie serie (poi fece la fine che fece, ma negli anni 2000); e si lanciò un’attivissima politica di lavori pubblici, utili fatti sì come si deve e sono tuttora in sanissima vita, però anche con lo scopo di dare occupazione e far circolare denaro. Dicono tentassero lo stesso gli USA di Roosevelt, ma non è vero: nel 1939 contavano ancora sette milioni di disoccupati.

Ora ascoltate questa regola generale: il capitalismo è una specie di capitano Schettino, bravissimo a navigare con il mare liscio e tra una cena di gala e un ballo elegante; ma del tutto inadatto a tempeste e naufragi. Per queste cose ci vuole un capitano tipo quello dei film di pirati: rozzo, ignorante, maleducato, però che sa il mestiere; e se un marinaio fa i capricci, subito un bel giro di chiglia! Ovvero, il capitalismo non è stato concepito per risolvere i problemi; e ci deve pensare la politica.
La politica, non gli economisti con sedici lauree: essi sono quelli che, dalla crisi del 2008, non hanno trovato l’ombra di una soluzione; e figuratevi di fronte al 2020.

Prendiamo la nostra amata Soverato. Essa visse, per un secolo, di grandi commerci all’ingrosso, cui si aggiunsero esercizi al dettaglio; e quel fugace chiasso estivo che noi, essendo calabresi e barocchi, soprannominiamo turismo. Oggi prevalgono stipendi e pensioni, notoriamente insufficienti all’economia dell’euro, che è una situazione per ricchi. I soveratesi negozi sono chiusi per il virus; ma non è che prima si vedessero file di acquirenti… e qui stendo un velo pietoso. Il tur… la balneazione di due settimane sarebbe rimasta di due settimane anche se il coronavirus fosse un simpatico gattino da compagnia!

Bisogna dunque ripensare radicalmente l’economia di Soverato; e lo stesso per la Calabria. E lo stesso per il mondo.
Alla fine, ragazzi, cos’è l’economia? È produzione, consumo, commercializzazione e scambio di cose e servizi; per comodità, si utilizza un sistema di intermediazione che è la moneta; ma se fosse baratto, sarebbe lo stesso. Cominciamo dunque a chiarire che i soldi, soprattutto se di carta o elettronici, non sono i beni, ma li rappresentano; e i soldi senza beni sono solo sogni nevrotici. Se, ripeto quanto detto altre volte, ogni calabrese ricevesse un miliardo di euro, almeno 950.000.000 € li dovrebbe spendere a Milano o in Germania, e non in Calabria; e fortunato se può comprare qualche soppressata locale, giacché io dubito anche delle patate, e certamente della farina. Anche la soppressata, del resto: avete mai visto in giro dei maiali vivi?

Conclusione: la crisi, se ne usciremo, si risolverà non facendo finta di niente e tornando allegramente agli errori di prima, ma con un ripensamento radicale della produzione e degli scambi. E bisogna produrre non “di più”, ma meglio.
Lo può fare solo la politica. La politica, ovvio, non politicanti e burocrazia.

Ulderico Nisticò