Recensione di Miriam Guzzi del romanzo “Sulla sponda del fiume”


-Il fiume della vita-

Il Fiume
Essere come il fiume che scorre
silenzioso nella notte.
Senza temere le tenebre.
Se ci sono stelle nel cielo, rifletterle.
E se i cieli si riempiono di nuvole,
come il fiume, le nuvole sono acqua,
riflettere anche loro senza timore
nelle tranquille profondità.
(Manuel Bandeira)

sulla-sponda-del-fiume Il riflesso di nubi e stelle sull’acqua che scorre, descritto da Manuel Bandeira in questa poesia, è metafora di un perenne divenire: divenire della vita, del tempo, delle gioie e dei dolori, che accompagna l’esistenza in ogni modo e in ogni forma. Il moto inarrestabile del fiume si presenta a chi, come Titti, protagonista principale del romanzo, si siede sulla sponda e attende, attende quel silenzio che porta alla riflessione, conduce ai ricordi, fa pensare e prendere decisioni o semplicemente invita all’oblio. In questo contesto risuonano familiari le parole del filosofo greco Eraclito di Efeso “panta rei os potamòs” (tutto scorre come un fiume). Non a caso Titti, seduta sulla sponda, vede scorrere nella sua memoria volti familiari, ne risente la voce, rivive con loro i momenti più significativi, riesce ad essere obiettiva sull’esistenza umana e sulla sua incessante e determinata volontà di non arrendersi.

Così come si presenta con chiarezza a tutti noi il cambiamento che segue ogni evoluzione terrena, il vuoto generato da ogni mancanza, la gioia che segue gesti inaspettati e sinceri, così la vita o la sembianza di essa, si mostra indomita nell’afferrare l’animo umano e come un fiume lo trasporta in una realtà che forse ignoriamo fino in fondo ma che chiede di essere compresa e vissuta.

Si intrecciano, tra le pagine del romanzo, le vite dei protagonisti legati da indissolubili affinità che, nella loro trama, si scoprono forti e fragili nello stesso tempo.

Scopriamo Mario, Giovannella, Rosetta, Gigi, i nonni e un uomo di cui non si precisa il nome, al cui volto possiamo associare quello di qualcuno che ha fatto o fa parte della nostra vita, in modo marginale o meno, che per diverse sue personali ragioni, si è servito della nostra sensibilità per rafforzare la propria fragilità e sentirsi importante. Quell’uomo accompagna Titti lungo tutta la sua riflessione, quasi a significare che alcune presenze non smettono mai di restare con noi e, nel bene o nel male, ci accompagnano fino al raggiungimento di una consapevolezza che va oltre le trappole e i finti sentimenti, da cui spesso è difficile liberarsene.

È sul terreno fertile delle sponde del fiume a contatto con il resto della natura, che i pensieri di Titti nascono e tentano di far pace con il mondo, ripercorrendo la storia della sua vita.

Tra le acque dei fiumi tantissime vite di poeti, artisti, musicisti hanno trovato ristoro e pace, perché meditare tra le sponde rappresenta per gli animi più sensibili, un modo per ritrovare quella parte di sé lontana e forse perduta. Tra tante citazioni, riprendo la parte finale di “Fiumi” di Ungaretti il quale, dopo aver ripensato a tutti i corsi d’acqua che ha conosciuto e che rappresentano il simbolo delle diverse tappe della sua vita, così conclude:

[…]

Questa è la mia nostalgia
Che in ognuno
Mi traspare
Ora ch’è notte
Che la mia vita mi pare
Una corolla
Di tenebre.

 Eppure, per quanto affascinanti siano tutte le citazioni letterarie che riportano il tema del fiume, a volte come recupero del passato, a volte come rapporto di armonia ed equilibrio con il creato, la mia attenzione non può non soffermarsi su una specifica citazione di Bertolt Brecht, il quale, del fiume, non ha visto l’acqua limpida e chiara e né quella in tormento. “Tutti a dire della rabbia del fiume in piena e nessuno della violenza degli argini che lo costringono”. Sono appunto quegli argini che mi colpiscono e che causano la rabbia dell’acqua, limitano la libertà che è propria degli elementi puri e incontaminati che costretti poi si ribellano per riprendersi il proprio spazio. Gli argini sono quindi metafora di quella limitazione che a volte tocca anche i pensieri e le azioni, sono le regole insensate e imposte, le parole dette senza pensare, le porte chiuse, il bene a senso unico, l’assenza di gratitudine.

Ritornando al romanzo, Titti ha trovato nella sua vita questi argini, ha straripato senza distruggere, e con maturità ha portato l’acqua del suo fiume verso una consapevolezza ferma e decisa, riprendendo il suo spazio con determinazione.

Infatti solo quando avrà trovato il modo di curare le ferite, e il coraggio di non temere gli eventi, ritroverà quella pace con sé stessa e riuscirà a specchiarsi nell’acqua limpida di quel fiume che altro non è che lo scorrere a volte tranquillo, a volte tumultuoso della vita stessa.

Miriam Guzzi


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *