Ho conosciuto Piercamillo Davigo diversi anni fa e ricordo di averlo intervistato. Era trascorso un po’ di tempo dall’inizio di tangentopoli e il clima in Italia era cambiato rispetto a quegli anni. Fu un’intervista non molto impegnata conclusa in poche domande al termine della presentazione del libro-intervista che era in libreria in quel periodo “La giubba del re – intervista sulla corruzione” in cui Davide Pinardi poneva diverse domande al Magistrato le cui risposte restano ancora oggi tremendamente profetiche.
Qualche ora dopo avrei rivisto casualmente il Dottor Davigo che alloggiava in un albergo nei pressi della mia abitazione e aveva necessità di spostarsi ma era a piedi e cercava informazioni su come arrivare nel luogo dove avrebbe dovuto recarsi. Pensai di offrirgli un passaggio in auto. Non aveva auto blu, non aveva scorta e non volendo disturbare disse anche che se il posto era vicino non avrebbe voluto scomodarmi perché si sarebbe mosso a piedi. Il luogo da raggiungere non era molto lontano ma l’ospitalità dei calabresi è un must e il magistrato dovette accettare. Fu l’occasione per una brevissima chiacchierata, del più e del meno, che ricordo con piacere. Da non molto tempo avevo conseguito la laurea in giurisprudenza e del pool di “Mani pulite” nel corso degli anni ero rimasto colpito da Davigo per la sua capacità di far coincidere la verità processuale con quella reale. Il magistrato deve fare questo e solo così si potrà parlare di giustizia giusta, perché quando i colpevoli sono processualmente innocenti si finisce inevitabilmente per condannare le vittime. Per farlo però il magistrato ha la necessità di avere gli strumenti che è compito del legislatore offrirgli, ecco perché sono amareggiato che la battuta di Davigo, fresco di nomina a presidente dell’ANM “i politici non hanno smesso di rubare, hanno smesso di vergognarsi” piuttosto che generare una seria riflessione, è stata stigmatizzata, probabilmente perché male interpretata, da chi potrebbe o meglio dovrebbe fornire questi strumenti . Del resto qualcosa di simile Davigo l’aveva già detto nel lontano 1998 nella prima edizione del libro di cui sopra, dando conferma all’interrogativo, se dopo la lacerazione del velo i comportamenti illegali fossero continuati ma senza che nessuno più se ne vergognasse ; intendendo per caduta del velo il fatto che innanzi alle prove schiaccianti di tangentopoli nessuno più potesse negare che i fatti fossero accaduti. Sempre nello stesso libro, alla domanda su chi ha sostenuto la lotta corruzione per quanto riguarda le forze politiche nazionali, il magistrato rispondeva: “i partiti italiani hanno soprattutto la tendenza di…come dire…di seguire i flussi apparenti dell’opinione pubblica con dichiarazioni verbali e valutazioni generali. Ma su un piano legislativo, a ben vedere, non posso proprio dire di aver visto fino ad ora l’approvazione di provvedimenti concreti che possano rimuovere le cause fondamentali della corruzione….”. Oggi – ci chiediamo – le cose sono cambiate? Proviamo a rispondere con le parole di Nicola Gratteri, fresco di nomina a procuratore capo di Catanzaro alla domande di Beatrice Borromeo su “il Fatto Quotidiano” che gli chiedeva: ” La sua commissione ha depositato 16 mesi fa le proposte per far funzionare la giustizia. Dove sono adesso?” “La relazione – ha risposto il Procuratore Capo della DDA di Catanzaro – si trova a Palazzo Chigi ed è stata anche inviata, su richiesta della presidente Bindi, alla commissione Antimafia. Quasi tutti i parlamentari ne hanno copia….A occhio, han recepito circa il 5% del nostro lavoro”. E pensare che “queste riforme – ha continuato a spiegare Gratteri – toccano centri di potere: se implementate, manderebbero in galera molti colletti bianchi”. Insomma forse è il momento di evitare le polemiche e pensare che la riforma della giustizia è fra i programmi di governo mentre non mi risulta vi sia lo scontro con i magistrati.
Fabio Guarna (Italians – Corriere della Sera)