Un tempo le Calabrie erano due, divise dal fiume Neto: Citra e Ultra. Nel 1816, le Province divennero tre: diciamo, alla spiccia, Cosenza Catanzaro Reggio. Nel 1994 si aggiunsero Crotone e Vibo. Si affacciano ogni tanto richieste di Lamezia e della Sibaritide. Il tutto, con in 404 Comuni per una popolazione effettiva di un milione e mezzo di anime.
Ognuno di questi Comuni si sente non il centro del mondo, ma il mondo; e vorrebbe avere tutto e il contrario di tutto. Da mezzo secolo, una delle cose più richieste, e spesso ottenute, è un’Università. Iniziò Cosenza; seguirono Catanzaro e Reggio. Vero, però non dimenticate i corsi universitari succursali di qualcuno.
Cosenza ha preteso Medicina, e l’ha ottenuta nel silenzio tombale e passivo di Catanzaro. Ora ottiene Medicina anche Crotone; e Reggio si agita allo stesso scopo. Non è chiaro se dipenderà da Catanzaro o da Cosenza.
Attenti qui. Le Università calabresi, se le consideriamo in quanto tali, funzionano in maniera sufficiente, e con qualche momento di eccellenza. Se invece consideriamo l’interazione tra le Università e le città che le ospitano, esse appaiono tra loro dei corpi estranei.
Simbolo della situazione, quella specie di film dell’orrore che è la stazione ferroviaria di Catanzaro nel deserto dei Tartari.
Senza contare l’Ospedale con le normali attività sanitarie, Università di Catanzaro pare, la sera, una specie di Copanello dopo la fine di agosto. Né si ha notizia alcuna di un ambiente studentesco. Politica? Mai sentita nominare. Si frequentano le Università per studiare e laurearsi; mentre appare scarsa, quasi assente, quella vita universitaria che consiste anche, e molto, di tempo libero e amori e scontri tra opposte fazioni e goliardia e presenza attiva nel tessuto cittadino; e, non scordiamo, indotto economico.
A questo punto, possiamo aprire Medicina anche a Papanice, Pietracupa, Piscopio, e, perché no, a Poliporto. Poliporto non esiste almeno da quindi, sedici secoli: ma non stiamo a sottilizzare.
Parafrasando quanto si attribuisce a Carlo V, fo todos barones, diremo FO TODOS MAGNIFICOS RECTORES.
Ulderico Nisticò