Prodotti locali


 Chi invoca l’acquisto di prodotti locali meridionali e calabresi, agli effetti pratici dimostra un altro dei vantaggi dell’autonomia differenziata. Sono d’accordo con questa proposta di autarchia meridionale, soprattutto se faremo la Regione Ausonia con gli ex Molise Puglia Basilicata Campania Calabria.

 D’accordo, dunque. Solo che per consumare prodotti locali bisogna prima produrli: e con le opportune qualità e quantità.

 La qualità è un concetto ovvio. Facciamo due esempi calabresi: l’olio e il vino. L’olio del 2024 è l’opposto del 1724 e secoli seguenti, tuttora ufficialmente classificato “lampante” e non alimentare. La differenza è nel trattamento, ed è differenza siderale. Qualche olio buono però si sta producendo. Lo stesso per il vino, che da qualche decennio, almeno qualche marca, ha acquistato qualità e prestigio. Qualche buon vino ha oggi mercato.

 Le acque calabresi sono tra le migliori del mondo, però divise, è in caso di dire, in mille rivoli: mentre la grande distribuzione richiede grandissime quantità. Chissà se tutte le acque si mettessero assieme…

 Sono rinomate alcune derrate come bergamotto e ciclamino; ma sono di nicchia per ragioni naturali.

 Quanto ai prodotti industriali, c’è qualcosa in Puglia e in Campania, ma la Calabria è all’anno zero.

 Ecco dunque un argomento di alta politica, degno di una discussione di livello culturale e scientifico: cosa consumare di locale; e cosa di locale produrre.

 Idem per il turismo, da far durare sei mesi; e differenziare invece della fissazione dei Vitelloni anni 1950.

 Aspettiamo – secondo me invano – che si muovano le università; e che intervengano gli specialisti. I dilettanti di meridionalismo, è meglio se stanno zitti con i loro piagnistei e le loro infondate ricchezze che mai furono e mai saranno.

 Discutiamo?

Ulderico Nisticò