In risposta a Saviano che nell’agosto 2015 richiamava l’attenzione del governo sulle emergenze del Sud, Renzi rispose che era necessario rottamare i piagnistei per dedicarsi alla risoluzione dei problemi, annunciando il varo in tempi brevi del masterplan per il Sud.
Purtroppo la condizione del Sud non ha subito l’annunciata positiva evoluzione alla luce delle riflessioni scritte da Ernesto Galli della Loggia, nell’editoriale “il governo e il Sud che non c’è” pubblicato sul “corriere della sera”.
Galli, che ascoltando i discorsi di Renzi sul Sud, dubita che egli ne abbia una sia pur piccola conoscenza, e chiedendosi, tra l’altro, se per andare a Potenza o a Nuoro invece di un comodo elicottero ha mai preso un treno, afferma che è la maggior parte dell’intera classe dirigente italiana che ormai non sa più che cosa sia il Sud, e che sempre più spesso neppure vi mette piede.
Dopo aver sostenuto che che vi è un addio al mezzogiorno, iniziato nella prima metà degli anni Ottanta, quando l ‘accertata presenza delle maggiori organizzazioni criminali europee, se non mondiali, ha condotto a ritenere che tutto ciò che riguardava il Sud, a cominciare dalla sua classe politica, ha acquistato un sapore di imbroglio e di corruzione, individua, come causa concorrente della pessimistica visione, l’ordinamento regionale “non solo perché lo ha ancora di più rinchiuso nella gabbia delle sue pessime tradizioni politiche, ottimamente rappresentate specie dai gruppi dirigenti locali, ma perché ha frantumato la sua immagine unitaria: ciò che ne faceva, per l’appunto, una grande «questione» agli occhi del Paese. Il Mezzogiorno è sparito: il suo posto è stato preso dalle Regioni meridionali” .
Premesso, poi, che, “nella sostanziale indifferenza degli italiani (compresa, tragicamente, gran parte degli stessi meridionali e delle loro scellerate rappresentanze parlamentari), il Mezzogiorno è giunto dov’è oggi: sull’orlo del collasso”, evidenzia che “ciò che colpisce di questa situazione è la sostanziale assenza di una reazione forte e continua da parte dell’opinione pubblica meridionale e di chi dovrebbe darle voce. Mancano larghi dibattiti, autocritiche, progetti: mancano gruppi attivi, iniziative di mobilitazione duratura, leader moderni e capaci. Le eccezioni sono la conferma della regola. È la società civile del Mezzogiorno che si direbbe ormai disanimata, svuotata di energie, perfino quasi di risorse intellettuali desiderose e capaci di parlare al Paese, come pure in passato tante volte essa ha fatto. In queste condizioni le continue richieste di fondi per i casi più vari che dal Sud si muovono allo Stato finiscono inevitabilmente per apparire più che altro come la richiesta di inutili mance”.
L’accurata analisi, che suscita amarezza, non può che essere condivisa, rappresentando una puntuale descrizione della triste condizione del Meridione e delle cause che l’hanno prodotta, tra le quali, per onestà intellettuale, non si può negare che esiste una pesante respondabilità della classe politica meridionale (che non riesce a far sentire la propria voce ed incidere sulle determinazioni del governo, proponendo soluzioni adeguate) e dell’elettorato che, senza farsi condizionare da vincoli eterogenei, dovrebbe accordare il voto, a conclusione di attenta disamina, ai candidati che offrono garanzia di laboriosa operosita e di imparzialità. Maggiore negativa incidenza va, comunque, attribuita alla grave disattenzione del governo centrale, che ha ritenuto di adempiere al suo dovere dispensando finanziamenti, quasi come mance, senza attivare un programma completo.
Giuseppe Costarella