Era tornata dal nord Italia, infestato dal virus, da 15 giorni. Ma non si era autodenunciata. Ha continuato a svolgere la sua attività imprenditoriale come se nulla fosse, fuori da ogni regola deontologica.
Non è una pendolare, né una studente fuori sede. È la titolare della clinica privata più nota del Crotonese, il Romolo Hospital, a Rocca di Neto nelle campagne del Marchesato.
Lunedì sera si è sentita male: febbre e difficoltà respiratorie. Anziché recarsi all’Ospedale Pugliese-Ciaccio di Catanzaro, per protocollo ministeriale adibito alla procedura di contenimento del Covid-19, ha pensato male di sottoporsi a tampone faringeo nella sua struttura.
La diagnosi è stata implacabile: infezione da Coronavirus. Ora è intubata in gravi condizioni nel reparto di terapia intensiva del nosocomio catanzarese. Ha ammesso di essersi recata a Bari per una riunione di lavoro, la settimana scorsa. Ma la sua quotidianità nelle settimane trascorse desta allarme per la possibile esplosione di un focolaio in terra pitagorica.
A Crotone si sono interrotte le attività non urgenti dell’Ospedale San Giovanni di Dio, dove di solito vengono dirottati i pazienti del Romolo Hospital. Da ieri non si effettuano visite ambulatoriali e non si eseguono interventi chirurgici. Le visite si svolgono nelle strutture periferiche dove però ogni paziente dovrà presentarsi all’ora stabilita.
Il Romolo è stato sequestrato per essere monitorato, al pari dell’istituto di credito dove l’imprenditrice si era recata venerdì per un incontro al vertice. La direzione dell’Asp ha chiesto alla clinica l’elenco di tutti i contatti per iniziare lo screening di chi, a vario titolo tra pazienti e personale, ha frequentato la clinica.
In città è panico totale. Le scene sono apocalittiche. La gente fa la fila per approvvigionarsi di derrate, strade deserte, checkpoint ovunque. Ad aggravare il pathos, la mancanza di acqua corrente dalle prime ore del mattino. La popolazione è esasperata: non può lavarsi le mani, una delle massime raccomandazioni degli esperti. Si teme un’altra Codogno, primo focolaio partito proprio da un ospedale.
Anche nel Cosentino le cose non vanno per il meglio. Lì il terrore è legato a infezioni contratte dal personale sanitario. Sono in quarantena 60 medici di famiglia dopo contatti con un informatore farmaceutico risultato positivo. Silvestro Scotti, segretario della Federazione dei medici di Medicina generale, è lapidario: «A seguito della quarantena per i 60 colleghi, 100mila persone si ritrovano sprovvisti del medico di base».
In Calabria la situazione sta precipitando. Fino a ieri era una terra corona-free. Ora i casi sono una ventina. I posti letto di rianimazione in totale sono 110. «Si potrebbe arrivare a 150. Ma allo stato sono pieni. E cosa facciamo? Sbattiamo fuori la gente che sta male?», afferma una disarmante Jole Santelli, neo presidente di regione. (Silvio Messinetti – Il Manifesto)