Io ho anni 70, la Boldrini 59. Quando ella non aveva detto ancora che la costituzione è la più bella del mondo, anzi ella non era nata, io, bimbo precoce anche, soprattutto in politica, sentivo già da un pezzo parlare di riforme di tutto e del contrario di tutto; e non ne ho vista nessuna. Ciò vale per la Prima repubblica, e, nella cosiddetta Seconda, per governi di centrosinistra o di centro(destra). Come mai non si fanno le riforme, in Italia? Ci dev’essere una spiegazione profonda; e c’è.
C’è, ed è che, nell’arco della storia nazionale anche antica, corre una voce che, detta così, pare persino carina, dolce, intelligente: che per fare le riforme bisogna che tutti siano d’accordo. Ed è fin troppo banale che è un espediente, un trucco per non riformare niente. È come se una squadra di calcio tenesse una referendum tra i tifosi prima di mettere in campo o meno il portiere!
Ed è altrettanto evidente che nessun atto politico, anzi nessun atto umano può trovare d’accordo tutti; e ciò per la varietà dell’animo umano (fin quando non riusciranno ad imporre il pensiero unico ugualitario e la psicopolizia per i dotati di fantasia), animo che ha diversità non di opinioni, che sarebbe il meno importante, ma di sentimenti, sensazioni, istinti, abitudini di vita; per non negare gli interessi terra terra, ma ben radicati. Le riforme serie non si discutono, si fanno, e basta.
Nel 49 a.C. tutti sapevano, a Roma, che il calendario di Romolo era sballato; e se ne parlava in senato, nel foro, nei salotti bene (in senso sociale: leggete Catullo!!!); una mattina, Giulio Cesare, chiamato l’astronomo Sosigene, fece un bel decreto che ancora è in vigore, con una correzione del 1582 proposta da Luigi Giglio e dal cardinale Sirleto, e imposta da papa Gregorio: con una Bolla a suo senno, non consultando tutti i re e tutti i plebei dell’orbe cattolico; a proposito, per imporla alla Russia ci volle la dittatura di Lenin, il quale si accorse che la rivoluzione di ottobre era invece successa a novembre.
Luigi XVI era un sovrano assoluto, però stava a sentire la moglie, gli amici della moglie, i nobili, i preti… finì ghigliottinato, è vero, ma la rivoluzione seguente non riformò quasi nulla, finché Napoleone, chiuso in un castello a Saint Cloud, non emanò una raffica di decreti (tra cui quello funebre di foscoliana memoria), decreti ancora funzionali nelle strutture dello Stato moderno.
Per venire a noi, la scuola, gli orari di lavoro, la previdenza e un sacco di altre cose datano 1923-4 con i Regi Decreti; anch’essi tuttora vigenti. L’elenco è chilometrico.
Ovvio che qualcuno abbia trovato da ridire anche sulla Riforma Gentile, sugli Editti di Saint Cloud, sui calcoli di Sosigene e di Giglio: ma intanto si fecero.
Se io fossi, diciamo così, Napoleone, inizierei con la riforma della burocrazia, che è il cancro dell’Italia. Abolirei con una firma la legge Bersani: l’autonomia della burocrazia non ha liberato la patria dai politici corrotti, ma a quelli ha aggiunto la corruzione dei burocrati, più la legittimazione della pigrizia. Ridurrei all’osso i controlli, aumentando fino alla stelle le pene per la responsabilità personale non solo dei furti ma soprattutto dei ritardi; anche perché spesso il burocrate ritarda per arrivare al furto!
Riformerei la scuola, abolendo il 95% delle cartacce cartacee o elettroniche, e restituendo ai professori la libertà d’insegnamento sancita da Gentile, con relativa responsabilità.
Sgraverei i cittadini della maggior parte dei balzelli: oggi un falegname – ammesso ne sia rimasto uno – passa più tempo a pagare imposte che ad intagliare il legno. Poche tasse, ma tutti e subito.
Riforme politiche? Elezione per collegi uninominali a maggioritario secco. Un centinaio di deputati eletti; e una camera corporativa. Entrambe, riunite ogni quattro mesi, e solo se hanno qualcosa di serio da dire.
Eccetera. Ovvio che tanti non sarebbero d’accordo. Ovvio che me ne impipo.
Ma siccome Napoleone fui solo nel 1958, continuerò ad invecchiare aspettando la riforma della costituzione più bella del mondo, ogni due giorni annunziate e rinviate ogni due giorni. A quando? A babbo morto.
Ulderico Nisticò