Parafrasando il più noto artista di cognome omonimo, sul caso Cesare Battisti tanti sono stati negli anni i pensieri e troppe, ahimè, le parole. “Che ne sai tu di un campo di grano?” diceva quella famosa canzone. E che sappiamo noi degli anni di piombo e di cosa muoveva la mano di assassini che poi sono diventati famosi perché gli è stato permesso, da rivoluzionari politici in giacca e cravatta, di diventare icone del giustizialismo fai da te? Probabilmente nulla, o quanto meno solo quel poco che basta per tanti pensieri inutili e troppe parole dette a vanvera.
Cesare Battisti è un assassino condannato dalla giustizia, ma salvato dalla politica. Quattro omicidi e un ergastolo comminato dai tribunali italiani; sentenza mai scontata perché il buon omicida ha pensato bene di fuggire in Brasile. La politica, invece, è quel Lula, carismatico leader della sinistra brasiliana, che ha messo il veto all’estradizione come ultimo atto del suo mandato presidenziale accompagnato, chitarra e mandolino, dai pensieri e dalle parole di buona parte della sinistra ultra-conservatrice italiana.
Accertato che fu lui ad impugnare l’arma che provocò la morte di quattro innocenti, Battisti, invece, per “quella” sinistra, diventò la vittima della repressione italiana negli anni di piombo. Portata a casa questa insperata tutela, si permise il lusso di diventare un intoccabile scrittore di discreto successo.
Tra le certezze che aleggiano intorno a questa figura meschina, quella del suo arresto nel 1979 a Milano, in una casa dove aveva nascosto un arsenale: mitra, pistole, fucili. Erano armi dei “Proletari armati per il comunismo”, che teorizzavano un’alleanza “anti-capitalista” con i rapinatori comuni. Nell’ottobre 1981, mentre stava scontando la prima condanna per banda armata, Battisti evase dal carcere di Frosinone e scappò in Francia. Dove, come detto, diventò un giallista di successo, difeso da illustri intellettuali.
Battisti venne condannato in tutti i gradi di giudizio per quattro omicidi. Il 6 giugno 1978 ammazzò personalmente un maresciallo di Udine, Antonio Santoro. Il 16 febbraio 1979 la sua banda uccise un gioielliere di Milano, Pierluigi Torregiani, il cui figlio Alberto restò paralizzato. Battisti organizzò quel delitto, ma non partecipò all’esecuzione perché lo stesso giorno fece da copertura, armato, ai complici che soppressero un negoziante di Mestre, Lino Sabbadin, “giustiziato” come il gioielliere perché si era opposto a precedenti rapine. Il 19 aprile 1979 fu Battisti in persona ad uccidere, a Milano, il poliziotto della Digos Andrea Campagna.
Nel 2004, dopo ben 23 anni, la Francia si accorse che non era un perseguitato politico e concesse l’estradizione. Ma lo fece, sospettosamente, quando il buon killer era a piede libero dandogli il tempo di dileguarsi. Direzione: Brasile. Nel 2007 venne riarrestato e la Procura generale, prima, la Corte suprema, poi, autorizzarono la riconsegna all’Italia. Ma (diciamo) stranamente, nel 2009 il ministro Tarso Genro gli concesse asilo politico e come già detto, Lula non concesse l’estradizione.
Gli avvenimenti degli ultimi mesi, sono stranoti. Bolsonaro, come primo atto, concede l’estradizione. Battisti fugge nuovamente, ma l’8 gennaio viene arrestato in Bolivia e ieri riconsegnato alle patrie galere.
Detto questo, l’unico clamore che dovrebbe suscitare una vicenda del genere è chiedersi come mai un killer di questo stampo sia riuscito per quasi 40 anni a farla franca. Chi lo proteggeva? Chi lo finanziava? chi lo avvisava delle manovre delle procure di tutto il mondo? ed anche se i pensatori e i parolai hanno tante e troppe risposte da dare, oggi nessuna di queste sarebbe più importante. Il signore Cesare Battisti, ha vissuto da uomo libero alle spalle della gente onesta che, se rubasse per fame, si farebbe più anni di galera di quanti se n’è fatto il buon omicida. Buttate la chiave della sua cella una volta che lo avete sbattuto in galera e non permettetegli di uscire neanche per l’ora d’aria, ma non perché ha ucciso. No! Per due ragioni ben più gravi. La prima perché ha preso in giro il popolo italiano e secondo perché, se solo mettesse nuovamente il naso fuori, per strada c’è ancora chi lo aiuterebbe a fuggire.
Gianni Ianni Palarchio (Blog)