Introduco, nelle scienze della psiche umana, la paleomania, parola formata da mania, e fin qui ci siamo, e dal parimenti greco palaiòs, vecchio. La paleomania è dunque la mania del vecchio, di qualsiasi cosa vecchia; e tale mania si sta pericolosamente diffondendo nel Meridione.
In verità non è un inedito: quasi tutti i Calabresi di ceto medio sedicente nobile (“nobbbbbile”) hanno un “nonno barone”, o, male che vada, un avo importante a qualsiasi titolo; e, ovviamente, anche “ricco”. Oggi però la paleomania, grazie ai social e al passaparola, scende fino ai ceti men che medi o bassi; e, in evidente mancanza di nonno barone, assume le forme di una pericolosa invenzione della storia meridionale.
I Meridionali, detto in generale ed esclusi pochi specialisti, ignorano totalmente la storia reale. Per esempio, se dite Magna Grecia, il massimo che vi rispondono è Pitagora; e, manco a dirlo, un Pitagora del tutto immaginario, e, che non guasta alla paleomania, anche compaesano. Se dite Bisanzio, rispondono monaci, tutti monaci eremiti e solo monaci: di chi siamo figli, noi? Per tutti gli altri secoli, c’è solo la fucilazione di Murat, senza, s’intende, informarsi chi era, e se venne fucilato per motivi politici o per divieto di sosta.
A cosa serve, al paleomane, l’ignoranza della storia? Banale, a potersela inventare. E già, come direbbe Tacito, omne ignotum pro magnifico est, e meno uno sa una cosa, più è libero di volare di fantasia.
Fantasia, per altro, noiosa in quanto politicamente corretta. Penso abbiate visto, e l’hanno dato e ridato ultimamente, il capolavoro di film su Maria Stuarda (o Mary Stuart come dicono quelli che vogliono passare per moderni), uno spaccato mirabile di storia inglese e scozzese del XVI secolo, e con attori di altissimo livello. Ebbene, tra i molti personaggi non ce n’è uno, e dico uno, e tanto meno una, quindi Maria ed Elisabetta, che non siano in tutto o in parte dei mascalzoni; però chi conosce la storia britannica sa che se per tre secoli l’Inghilterra fu la massima potenza mondiale, incluso il teatro e la cultura grecolatina, lo si deve esattamente a quei dotti ed eleganti e machiavellici farabutti. Se facessero un film sul Meridione – tranquilli, non succede quasi mai – sarebbe peggio che politicamente, sarebbe ecclesiasticamente corretto, con santi dalla faccia di santo così santo incantato che ne riderebbero di compatimento anche in Paradiso.
E non pensate che i paleomani sappiano, per esempio, che quasi tutti i veri filosofi italiani sono meridionali, e molti furono calabresi. Macché, a loro interessa solo inventarsi epoche in cui, nelle loro fantasticherie, c’erano “soldi”; unica notizia che li commuove: presunti soldi, e che volete che gliene freghi di Tommaso Campanella o di Giovanni Gentile. Leggono una notizia mezzo fasulla, spacciano un mulino per industria, e deducono, poeticamente, che “eravamo ricchissimi”… attenti al soggetto sottinteso “noi”: chi, noi? Ah, il seguito dell’eravamo ricchissimi è un invasato che grida, in pieno convegno sotto occhi esterrefatti, “c’hann’arrubate”. Effetti buffi della paleomania.
È appena il caso di segnalare che i paleomani sconoscono ogni luogo interessante del Meridione: forse sono stati a Caserta; improbabile abbiano messo piede a Castel del Monte; quasi certo che pochissimi sono mai andati a vedere uno qualsiasi dei borghi calabresi notevoli; anche perché, finora, non c’è stata una seria politica di valorizzazione. Finora: se ci sarà in seguito, come mi auguro, lo vedremo.
Serve, infatti, un’azione seria. Poi far conoscere la storia meridionale e calabrese in modo sia serio sia divulgativo, scuola inclusa. Intanto, vietare le fandonie paleomani. Come si fa? Con lo sberleffo! E con la storia genuina, da affidare a chi la sa. La storia, come spiegavo sopra, non è fatta di buoni/cattivi, anche perché i buoni, per altro rarissimi, non fanno la storia.
Torniamo un attimo sullo sberleffo. Quando incontrerete un paleomane meridionalista della domenica che vorrà spiegarvi la verità sul 1860, chiedete a bruciapelo chi era Napoleone III: vedrete come vi cadono dal pero.
Ulderico Nisticò