Si narra – e se non è vero storico, è verisimile – che in un certo importante paese calabro ci fosse, ormai mezzo secolo fa, un altrettanto importante personaggio, molto potente in politica eccetera, che veniva accusato di costante peculato. Un bel giorno riunì la popolazione in piazza, e dal balcone del suo palazzo tenne questa orazione alla plebe: “Io prendo mazzette: ma tu…” e giù il nome… “ma tu…” giù un altro nome; e ognuno con il posto, la pensione, lo scanso di militare… insomma, tutti i favori che gli avevano chiesti e che lui aveva resi in cambio delle mazzette.
Qualcosa del genere ha farfugliato Luca Palamara, quando i suoi amiconi dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) lo hanno espulso con ignominia come fossero tutti Papirio o Cincinnato o Catone. E invece, secondo Palamara che la sa lunga, “Curios simulant et Bacchanalia vivunt”, cioè alcuni di loro sono marci almeno quanto Palamara; anche perché spesso li ha piazzati lì lui.
Ora non capite male: pochissime persone mi stanno sullo stomaco come Palamara, anche solo a vederlo, lombrosianamente. Per me lo possono mandare al remo, alle miniere… ad beluas no, perché sono animalista, io. E poi, a me serve vivo, Palamara, vivissimo, e in possesso delle corde vocali; e voglio sentirlo cantare come un coro di usignoli. Sai le risate?
Del resto, non cadete tutti dal pero. In un’Italia ad altissima densità di corruzione, chi l’ha detto che un essere umano diventa santo e puro solo perché ha vinto un concorso a giudice? Sempre ammesso che non glielo abbia fatto vincere un Palamara!
Se il Consiglio Superiore è stato in buona parte nominato da Palamara, che vi aspettate?
Si, ma qual è la radice del male? Corre voce che nemmeno il presidente della Repubblica, che è presidente del CSM, possa scioglierlo. Io ho le mie enormi riserve su questo, ma se è, in punta di diritto formale, allora vuol dire che il CSM è un sovrano assoluto, onnipotente ed esente da ogni colpa e pena. E questo è assurdo. Non lo era nemmeno l’imperatore del Sacro Romano Impero; non lo è nemmeno il Papa.
Infatti, se Palamara ha commesso, per sua ammissione, culpa in eligendo, qualcun altro ha commesso culpa in vigilando: qualcuno doveva controllare, e non ha controllato. Lo stesso, più terra terra, per casi come quello di Petrini: nessuno, in tutta la nobile e pettegolissima città di Catanzaro, si era mai accorto che costui folleggiava di gioia in gioia come Violetta della Traviata, Atto Primo? Poi alla poveretta finirà malissimo.
Intanto i giudici, a parte i casi di corruzione spicciola, sono diventati onnipotenti: non applicano le leggi, le fanno, e spesso secondo le loro fantasie ideologiche; scarcerano i mafiosi, e nessun ministro manda ispettori; tengono sotto minaccia un giorno il ministro Salvini e un altro giorno il presidente Conte: tanto per far capire chi comanda!
Urge una riforma radicale:
– Scioglimento dell’ANM: se i giudici hanno naturale bisogno di vita sociale, si iscrivano a una bocciofila;
– Ripensamento totale del CSM;
– Responsabilità personale dei giudici: esempio, chi non deposita una sentenza e il mafioso esce, a casa, subito! Si può lavorare anche domenica!
– Idem per chi inizia inchieste campate in aria, e fa perdere tempo e soldi allo Stato.
– Divieto assoluto di partecipazione a qualsiasi attività politica: se vogliono fare politica, si dimettano dalla Magistratura. Nessuno vuole correre il rischio, spero, di finire sotto un giudice che emani sentenze per simpatie o antipatie più o meno vagamente ideologiche, o di partito.
– La condizione di magistrato dev’essere un’aggravante per qualsiasi reato, anche divieto di sosta;
– E volete sapere qual è la vera riforma? Fare come il suddetto Catone, il quale, raccontando da storico la battaglia di Zama, disse che la combatterono da una parte “dux Romanorum” e dall’altra “dux Carthaginiensium”, senza mai nominare né Scipione con l’elmo, né Annibale. Facciamo così anche con i giudici? Niente nomi e cognomi, mai, solo “il procuratore di Fontanaseccadisotto”. I giudici non sono poeti, cantanti, calciatori: non serve loro nessuna pubblicità.
Ulderico Nisticò