Mi sono divertito a scrivere, estemporaneamente, ogni sorta di ingiurie nei confronti di Oliverio Toscani, anche molto colorite e pesanti, sempre però aggiungendo “è una battuta”; come ha fatto lui chiamando mafioso un ragazzo, e poi vilmente rimangiandosi il rigurgito. Non si offenda: è una battuta.
Ho anche proposto la condanna alla morte civile regionale: non invitare mai più Toscani in Calabria, non comprare da lui manco una foto formato tessera. Morte civile è una battuta, Toscani, una metafora, un’iperbole: rida, rida. Nel corpo, le auguro altri cent’anni di salute e vita; e anche di fotografie, però altrove. A me, poi, le sue foto non piacciono, mi fanno senso.
Detto ciò, riflettiamo. È palese che ormai il nome di Calabria è associato, per riflesso condizionato come i cani di Pavlov, alla mafia e sinonimi. E nemmeno alla mafia seria, quella che manovra droga e miliardi di euro, e, ovviamente, non a San Luca ma a N. York e Tokyo e Milano; a un’idea puerile di mafia, secondo la quale se uno va, che so, a Oppido o a Platì gli rubano le scarpe o lo picchiano a caso. Cose che possono capitare, a volte, in certe periferie di Londra o Torino o in quartieri molto degradati di Napoli: mai in Aspromonte, dove una signora può passeggiare in sottoveste di notte senza essere minimamente disturbata.
Attenzione: uno Stato serio, una cultura antimafia seria non si preoccupa se qualche volta un cretinetti usa violenza o rubacchia, ma si preoccupa se ciò in certi paesi non avviene mai; e sospetterebbe che l’ordine è sì garantito, ma il diavolo solo sa da chi, e non certo dallo Stato! Non so se mi spiego.
Se però leggiamo i giornali calabresi e vediamo e tv, l’impressione è che la Calabria sia popolata esclusivamente da due categorie di persone: mafia e antimafia. Nelle scuole calabresi non si studia greco o matematica, si combatte la mafia; non esistono, in Calabria, cinema o letteratura che non siano antimafia… Il tutto, detto in generale, segue cena.
Via, per forza uno sprovveduto come Toscani pensa che in Calabria tutto sia mafia.
Che facciamo? Beh, se le università calabresi non fossero, come sono, pesci in barile e isole più o meno felici ma certo solitarie, una di loro potrebbe assegnare a un fanciullo una tesi di laurea facile facile. Assunto come arco temporale il 1990-2016, che è un’intera generazione, determinare:
1. Quanti abitanti effettivi conti la Calabria, al netto di quelli che vivono altrove quasi tutto l’anno;
2. Quanti omicidi siano avvenuti anno per anno, in assoluto e in percentuale, e per aree omogenee;
3. Quante violenze carnali siano avvenute anno per anno, in assoluto e in percentuale, e per aree omogenee;
4. Quante violenze generiche siano avvenute anno per anno, in assoluto e in percentuale, e per aree omogenee;
5. Quanti delitti siano avvenuti anno per anno, in assoluto e in percentuale; e distinti per tipologia, e per aree omogenee;
6. Quanti reati siano avvenuti anno per anno, in assoluto e in percentuale; e distinti per tipologia, e per aree omogenee;
7. Quanti illeciti amministrativi siano avvenuti anno per anno, in assoluto e in percentuale; e distinti per tipologia, e per aree omogenee;
8. Varie ed eventuali.
Se scopriamo che in Calabria è tutto mafia, bene; se no, verremo a sapere la realtà. Se non è tutto mafia, magari le scuole torneranno a fare matematica e latino, con grande dispiacere dei “progetti della legalità”.
Attenzione, qui non voglio negare la mafia né affermare la mafia: voglio solo dei numeri, un’analisi scientifica, oggettiva. Numeri alla mano, apriamo una discussione seria.
Più complicata, un’indagine sui risvolti finanziari della presenza mafiosa; che però non è roba da tesi di laurea o da convegni di sfaccendati, e ci vuole un’operazione approfondita della Guardia di Finanza. Le Fiamme Gialle, non le fiaccole!
Ulderico Nisticò