Annualmente in Calabria vengono “spiate” almeno 43.000 persone. È quanto emerge dall’analisi compiuta dall’istituto di rilevazioni statistiche “Demoskopika”. La cifra è tratta dall’esame dei dati del ministero di Grazia e Giustizia riferiti al quinquennio 2009-2013 ed è ottenuta – spiega l’istituto – calcolando che per ciascuna persona che si vuole intercettare necessita mettere sotto controllo un numero di 5 telefoni/bersaglio e ipotizzando che ogni persona intercettata parli con almeno altre 20 persone nell’arco del periodo nel quale le conversazioni sono “ascoltate”. Negli ultimi cinque anni, – scrive Demoskopika – dal 2009 al 2013, il numero dei bersagli, come vengono chiamate in gergo le utenze controllate, ha toccato la soglia dei 63 mila casi con una flessione, nel periodo considerato, pari al 5,1 per cento a fronte di un incremento italiano del 7,3 per cento. I costi delle intercettazioni? Poco meno di 208 milioni di euro, con una drastica riduzione di 19 milioni rispetto al 2009, pari al 35 per cento. Una perfomance virtuosa per le procure calabresi ancora più evidente – a parere dell’istituto – se messa a confronto con l’andamento italiano: la riduzione dei costi delle intercettazioni telefoniche, ambientali, informatiche e telematiche operata dagli uffici giudiziari operanti in Calabria rappresenta la metà dell’intera contrazione della spesa italiana, pari a poco meno di 40 milioni di euro. Ben il 70 per cento del dato complessivo delle intercettazioni calabresi è stato autorizzato dalle Direzioni distrettuali antimafia di Reggio Calabria e Catanzaro per contrastare l’operato della ’ndrangheta