Due premesse indispensabili. Mi rallegra che le università escano dal solo silenzio, e scendano in campo. Nel Medioevo, prima di fare una guerra, sentivano Bologna e la Sorbona; che però non dovevano essere per forza d’accordo tra loro e con papa ed imperatore. Perciò si discuteva.
Seconda. Sono certissimo che Omero non abbia studiato al Classico, e perciò ignorasse del tutto che “menin” fosse accusativo singolare femminile, una categoria che i Greci elaboreranno solo secoli dopo. Ciò non gli impedì di comporre – lui o chi per lui – l’Iliade, e, ammettiamolo, con un certo successo. Era dunque un grandissimo poeta, ma non un grecista. È chiaro, l’esempio?
Così, che io non abbia studiato Economia… vedi sopra. Esprimo perciò il mio parere sulle tesi recentemente elaborate da economisti siciliani e calabresi circa il fatto che, a loro sentire, bisogna spendere a Sud il 50% dei 209 mitici miliardi dell’Europa. Ammesso, penso io, che esistano davvero.
Non sono d’accordo con loro, e non perché longobardo… a parte che ci furono più Longobardi a Salerno che a Pavia… Anzi, sono di Soverato. Non sono d’accordo, perché non vedo valenza politica, e nemmeno economica, in un programma di aritmetica divisione di soldi. Sarebbe come se i 209 venissero distribuiti ad ognuno dei 60 milioni di Italiani: a ciascuno toccherebbero 3.483,3 €, cioè bruscolini per un ricco, e l’elemosina di nove euro e mezzo al giorno per un povero.
Un governo qualsiasi, del resto, non può essere obbligato a spendere dei soldi senza poter scegliere e decidere, nella sua responsabilità, dove indirizzare le risorse, e a quale fine, e a vantaggio di quale progetto; e dove i soldi sono più o meno utili. Le spese di soldi, per uno Stato, devono essere investimenti oculati e lungimiranti, non solo spese.
Questa è una mia riflessione teorica. Veniamo al pratico. Se passasse una tale proposta, il Sud dovrebbe avere 104,5 miliardi; la Calabria, grosso modo, 15 miliardi caduti dal cielo, sia pure a rate.
La Calabria, che ha ricevuto negli anni valanghe di soldi e non è stata manco capace di rubarli, dovrebbe trovarsi, da qui a qualche mese, 15 miliardi? Per capirci, siccome il disastro dura da prima del 2002 e dal 1970, 30.000 miliardi di lire. Che botta!
Dimentichiamo quando quel tale mucchio di denari fu messo in mano ai seguenti signori: A. Guarasci, A. Ferrara, P. Perugini, A. Ferrara di nuovo, B. Dominijanni, F. Principe, R. Olivo, G., Rhodio, D. Veraldi, L. Meduri, A. Loiero, M. Oliverio di centrosinistra, e G. Nisticò, B. Caligiuri, G. Chiaravalloti, G. Scopelliti e Stasi di centro(destra); non posso dire della Santelli, ma cominciamo a parlare di Spirlì. Cosa fecero dei soldi? Un bellissimo nulla.
E sia ben chiaro che i successori ed eredi di coloro sono anche più incapaci; e lo stesso per i passacarte. Ora gli diamo 15 miliardi? 15 miliardi a chi sogna posti fissi, bidellizzazione generalizzata, enti con 99 dirigenti e un operaio, ovviamente invalido civile?
Secondo il mio modestissimo e dilettantesco parere, il Sud ha bisogno di una riv… no, di una reazione politica ed economica, che individui scientificamente le risorse potenziali e le renda effettuali attraverso l’unico modo possibile da quando Adamo venne sfrattato dall’Eden: il sudore della fronte.
Servono lavori pubblici? Ebbene, le fermate dei treni li decida un ingegnere, non Corbelli. Servono strade? Ebbene, se il sindaco chiede lo svincolo supplementare sotto casa della druda, arrestiamolo. Servono patate…
Qui statemi bene attenti: 1. Le patate si devono piantare perché il terreno è vocato a patate, non perché “ci sono i contributi” anche sul granito e sulla rena del mare; 2. All’aspirante produttore di patate è molto meglio dare fisicamente sacchetti di patate da semina, e non i soldi: da Soverato al più vicino Consorzio Agrario ci sono troppi bar; e troppe banche con cui si è indebitati; 3. Dopo tre mesi, bisogna mandare ispettori a documentare se le patate spuntano.
Ecco come un reazionario vede l’economia: come la vedeva un grandissimo e calunniato reazionario del V secolo, Senofonte, che scrisse l’Economico, cioè governo della casa; e, sulla scorta di Socrate, condanna la plutocrazia.
Scusatemi, ragazzi, e anche voi, dotti lettori, ma se non lo avessi scritto, avrei trascorso una pessima giornata.
Comunque, torno a dichiararmi lieto che le università smettano di essere diplomifici e vogliano dire la loro anche nei problemi dei comuni mortali.
Ulderico Nisticò