Nel tempo del coronavirus: hikikomori per scelta o per costrizione


Partecipo poco ai commenti su facebook o su altri social anche perché, a voler essere ottimisti, tolti i messaggi di buongiorno, buonasera e buonanotte, cassati gli auguri per onomastici e compleanni, eliminate la serie infinite di ricette da cucinare, cancellati i commenti dei tifosi e le sequele di selfie a gogò, ignorati i commenti di una banalità disarmante, rimane ben poco che valga la pena di soffermarsi a leggere. Comunque colgo il lato positivo e quel poco di interessante che si riesce a trovare mi spinge a partecipare al dibattito sollevato dalla decisione del governo di estendere il divieto di uscire da casa come misura di prevenzione al diffondersi del virus.

Non sto qui a fare un’analisi del perché e del come ci troviamo in questa situazione. Sarebbe troppo lungo e sicuramente non è il “social” il mezzo migliore per esprimere in modo compiuto e argomentato il proprio pensiero. Focalizzerò quindi la riflessione sul principio o, meglio, sull’obbligo del “rimaniamo in casa” e del fare, come si dice, “di necessità, virtù”.
Hikikomori: colui che preferisce stare in disparte, che si isola, che stabilisce i propri confini nello spazio fisico della propria casa.

Mi è sempre piaciuto stare a casa, anche se per scelta e mai per obbligo. In questo senso posso definirmi un hikikomori per scelta con la possibilità, quindi, di essere l’unico in grado di decidere se continuare nel mio “ritiro” o smettere in qualsiasi momento e “rituffarmi” nelle relazioni e nei contatti sociali. Nella mia casa ho, sparsi nelle librerie tra il primo e il secondo piano, circa 10000 libri. Si, diecimila. Mi colloco in quella purtroppo minuscola nicchia di italiani che posseggono molti libri. Riflettendo sulla “costrizione” di rimanere a casa e non uscire, ho fatto, per gioco, questo semplice ragionamento. Potrei leggere (in molti casi si tratterebbe di una rilettura) o sfogliare e gustare un libro al giorno, 365 in un anno, il che significherebbe che mi occorrerebbero 27 anni, per arrivare all’ultimo libro presente in biblioteca. Ne avrei più che a sufficienza. Tutto questo per affermare che la mia mente e il mio spirito sono tranquilli. Per loro non vi è alcuna emergenza (nota: per lo spirito potrebbe essere anche sufficiente la preghiera ma, nel mio caso, serve a poco e, quindi, mi rifugio nel libro).

Ma è sufficiente il cibo per la mente e per lo spirito? Mi rendo conto che il cibo per il corpo è necessario. Allora sono andato a controllare, seminati come margherite in un prato di primavera, tra frigo, credenze e congelatore, tutto quello che sarebbe possibile mangiare. Un rapido bilancio mi dice che, facendo attenzione alle porzioni, avrei un’autonomia di circa tre mesi (in questo caso la benedizione maggiore andrebbe a scatolette, tonno, pomodoro, legumi, pasta, farina, ecc. se non altro per la loro lunga scadenza).

Dunque, a una possibile resistenza di 27 anni (in questo caso potrei assomigliare a un reduce giapponese della seconda guerra mondiale in grado di vivere nella giungla per decenni anche dopo la fine della guerra) si contrappone un tempo di qualche settimana o, a essere ottimisti, qualche mese. In questo caso allora cosa dovrei fare? Non potendo mangiare la carta dei miei libri dovrei andare “a caccia” di cibo. Entrerei a pieno titolo e da protagonista in uno di mie libri di fantascienza. Allora misurerei sulla mia pelle il mio ruolo di umano tra gli umani e toccherei con mano e misurerei su me stesso la capacità di accoglienza e di solidarietà anche della piccola comunità nella quale, da qualche anno, vivo.

Oggi sono un hikikomori per obbligo.
Prima o dopo l’emergenza del coronavirus terminerà (perché il numero dei contagi sarà statisticamente accettabile, perché il coronavirus ci farà entrare in una fase socialmente insopportabile, perché le ripercussioni economiche saranno insostenibili, e via proseguendo con innumerevoli altri perché). La questione che quindi si porrà è che tipo di mondo troveremo domani. Il mondo sarà quello di prima, così come lo conoscevamo, gli assomiglierà o sarà peggio?

Infine. La pandemia ha azzerato qualsiasi informazione su ciò che avviene nel mondo. Gli immigrati non esistono più, i campi profughi sono un ricordo del passato, la guerra in Libia è un vecchio film, i conflitti sociali sono spariti, l’eco delle guerre è sempre più lontano, le magnifiche sorti e progressive del mondo sono diventate una realtà.
Non vorrei che svegliandoci da un lungo sonno fossimo presi dal desiderio di continuare a dormire.

Gianni Paone