Quanti danni, certe volte, la scuola; e soprattutto il Liceo Classico, che spesso illude dei dilettanti di essere divenuti niente di meno che filologi classici e dare lezione agli altri, ai professionisti. E temo che a Pirillo la spiegazione che ora m’impartisce gliel’abbia ammannita qualche professore di buona volontà e scarsi fondamenti di storia della lingua latina.
Il latino classico, quello che si studia a scuola, è la lingua che si è formata verso il I secolo a.C., ma conviveva con tanti altri latini, tra cui quello popolare, il quale, come tutti i linguaggi popolari e i dialetti, era una curiosa mescolanza di innovazione e conservazione. Per dirne una, il nobilissimo “Claudius”, essendosi schierato con il partito popolare, pensò politicamente corretto di cambiarsi il nome, e si faceva chiamare “Clodius”, con relativa sorella “Clodia” ipoteticamente quella santa donna di Lesbia. La plebe, infatti, da un bel pezzo pronunziava “o” il dittongo “au”: “oca, orum, coda…” E che dire di “militiai” di Lucrezio? E persino “familias” del latino giuridico? Le cose andarono così: il genitivo della prima era in –as; poi scattò il sincretismo dei casi, e si fuse con il locativo che invece faceva –ai; poi divenne –ae, e qui dobbiamo vedere pure come si pronunziava.
E vogliamo parlare di “senatuos” della Tabola di Tiriolo? Eccetera. O del perfetto, la cui terza persona plurale faceva normalmente “dedērunt” o “dedēre”, ma la forma popolare era “dedĕrunt”, donde il nostro italiano “diedero”. Già, le lingue neolatina derivano dal latino popolare; e più una parola è simile al classico, più è un recupero posteriore, tipo domicilio, questore, vizio, versipelle; ed è questa la misteriosa ragione per cui se uno ha un dubbio con due b dubita con una b sola; e ciò che è legge con due g è legittimo con una sola. Misteri di storia della lingua italiana.
E veniamo al nostro “fecerīmus” invece del solito “fecerĭmus”. Non prendendo in considerazione che i poeti, e Catullo in specie, potessero cambiare la prosodia a loro piacimento (con qualche eccezione, tra cui il genitivo pronominale ius), la spiegazione è storica: quello che noi chiamiamo futuro anteriore, o, quasi uguale, perfetto congiuntivo, è in origine un ottativo, forma che i grammatici latini ignorarono fosse esistita o sopravvivesse, ma che si nota benissimo in “velim” etc, in cui si riconosce facilmente una forma “*veloimi”, simile al greco λύοιμι. Greco e latino sono lingue indoeuropee molto simili tra loro, sebbene diverse in alcuni aspetti essenziali come i verbi medi.
Catullo utilizza questa forma popolare giacché gli fa comodo: non diversamente da “nui” cosiddetto siciliano del Manzoni per far rima con “lui”. Ma è un ottativo, da un antico “*feceroimos”.
Perché mattina di domenica me ne esco con questo sfoggio di cultura scolastica? Per spiegare il titolo, che certamente il bravo Pirillo, latinista com’è, avrà capito.
Ora, un consiglio a Leonardi, sempre da professore. Lo stile italiano alto richiede periodi come quelli di Cicerone o del Boccaccio, lunghi e con molte, molte ipotassi. Ma se uno non è bravo a scrivere un periodo di dieci frasi ipotattiche, meglio se scrive dieci frasi paratattiche: non è elegante, ma almeno si capisce.
Secondo consiglio: compri, Leonardi, i libri di Aprile, Ciano eccetera, li compri; però, ancora incartati, li getti subito nel cassonetto della carta riciclata; essi infatti sono come le sigarette: piacciono, ma nocciono gravemente alla salute.
Egli, il Leonardi, mostra chiaramente di dipendere da simili pubblicazioni, che gli danno di storia del XIX secolo informazioni equivalenti a quelle che ha il Pirillo sull’ottativo greco e latino.
Sappia, Leonardi, che Garibaldi era un eroe, e per capire questa parola bisogna avere una formazione classica e vichiana di uomo straordinario, tracotante, avventuroso, donnaiolo, pronto alla morte propria e degli altri; e che, purtroppo per noi, i generali borbonici erano una specie di impiegati statali in divisa, di tutto capaci tranne che di fare la guerra; il re meno degli altri. Tranquillo, non gli do ragione: Garibaldi sconfisse più volte gli Austriaci, e, nel 1870, persino i terribili Prussiani che avevano fatto scempio della Francia intera; altro che Landi e Francesco. Un eroe non è uno buono, è uno che quando sente odore di polvere da sparo gli si attizzano i capelli, e non vede l’ora.
Lo so che a scuola insegnano il contrario: ma sono, come iniziavo, i danni della scuola.
Ulderico Nisticò
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