La Calabria, ultima in tutto, vanta questo tristissimo primato: la ‘ndrangheta, secondo l’Interpol, è “un’emergenza planetaria”, e la più potente, o tra le più potenti bande di lestofanti del mondo; detenendo il controllo delle droghe che dal Sud America arrivano in Europa… eccetera.
E pensare che, fino agli anni 1960, nessuno manco l’aveva mai sentita nominare, o la si riteneva cosa di paese, pittoresca, folcloristica, con qualche delitto d’onore o, al massimo, violenze per i pascoli e il taglio dei boschi. E si può dire che il tizio ‘ndrangatista di cui mi parlarono come di “Comandante di un corpo di cavalleria formato”, e che in realtà faceva il sarto a Reggio, avrà trascorso tutta la sua vita di ‘ndrangatista senza commettere manco un divieto di sosta, altro che un omicidio.
Divieto di sosta non certo del cavallo, giacché il comandante sarto di sicuro non possedeva né cavalcò mai nemmeno un asinello. Erano i “malati e ‘ndrangheta”, che si atteggiavano: robetta, nonostante l’altisonante epiteto di ἄνδρες ἀγαθοί, uomini valenti.
Il gran salto di qualità, la ‘ndrangheta calabrese lo compì con i sequestri di persona, che fruttarono molto denaro; e siccome il denaro esiste solo se si spende, ecco gli investimenti in vari settori illegali e legali (legale, è ovvio, non vuol dire necessariamente lecito!); e il settore più redditizio si rivelò la droga, donde il sodalizio con i produttori sudamericani e lo spaccio in Europa. I proventi della droga vanno poi reinvestiti, eccetera.
Attenzione, già i rapimenti degli anni 1960 si rivelarono un’attività nettamente più complessa delle scarse capacità del cavalleggero senza equino e dei vari don Peppe di paese. Rapire è abbastanza facile, però mantenere l’ostaggio richiede la collaborazione di qualche altro delinquente… e di medici, farmacisti, cuochi, avvocati… Ed ecco l’innesto tra ‘ndrangheta e la sedicente società civile. L’avvocato e il medico, infatti, non vanno a Polsi a scannare la capra, e non credono alla Sibilla… e se un fatto criminoso serve loro, qualcuno lo compie senza dirglielo. Ripassate, nel Gattopardo, l’episodio dell’uccisione del fastidioso suocero di don Calogero; il quale non fu certo lui a sparare, e nemmeno a ordinare le “dodici lupare”, però se ne giovò, e, divenuto deputato del neonato Regno d’Italia, seppe come sdebitarsi con la mafia. Capito?
Una tale ‘ndrangheta del 2019 non somiglia manco per niente a quella dei temi in classe e delle fiaccolate antimafia. Non è un fatto di cattiva cultura locale, ma un problema enorme. Che fare?
Magistratura e polizie fanno esattamente quello che devono fare: individuano un colpevole; lo processano; lo condannano; al massimo, aggiungono l’aggravante di appartenere alla mafia. Non possono e non devono fare altro. La magistratura non “combatte” la ‘ndrangheta, e non è il suo compito.
E se la ‘ndrangheta è un organizzazione, un corpus, non può essere vinta agendo su ogni singolo ‘ndrangatista uno per uno: è ora di considerare le organizzazioni criminali mondiali non come somme di singoli delinquenti, ma come uno Stato nemico – sia pure anomalo. Esempio, i pirati del XVII secolo in Atlantico; i pirati barbareschi del Mediterraneo; i mercanti di schiavi… Questi non venivano perseguiti uno per uno, ma combattuti come eserciti nemici.
Ragazzi, non è che ad Alamein ogni singolo soldato italiano o tedesco processava ogni singolo soldato britannico prima di sparargli, e magari aspettava l’esito del ricorso alla Corte Europea che scarcera gli ergastolani mafiosi. Sparavano e basta. E, purtroppo, viceversa, tant’è che vinsero gli altri. E i due fronti avversari non erano formati da delinquenti, ma, detto in generale, da onorati militari e che si rispettavano a vicenda. Oggi è 4 novembre, voglio celebrare tutti i Combattenti.
Secondo me, però, l’esempio è sufficiente a capire come si può combattere la ‘ndrangheta, potenza mondiale del crimine. Intanto, la magistratura continui a fare il suo lavoro.
Ulderico Nisticò