‘Ndrangheta – Maxi frode al Nord, puntavano a fondi Covid per imprese. 8 arresti


Puntavano ad accedere ai fondi per le imprese messi a punto dal Governo per sostenere il sistema imprenditoriale durante l’emergenza Covid. C’era anche il contributo a fondo perduto previsto nel decreto dall’8 aprile tra gli obiettivi della maxifrode fiscale sgominata dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Milano su disposizione della Dda milanese. Le società inserite nello schema di frode avevano attestato un volume d’affari non veritiero e fondato sulle false fatture dell’anno precedente anche per intascare quel denaro. In tutto sono 8 le persone sottoposte a misura cautelare, di cui 4 in carcere e 4 ai domiciliari e 7,5 milioni i beni sequestrati nell’operazione.

Fra i reati contestati: associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata alla frode, autoriciclaggio, intestazione fitta di beni e bancarotta fraudolenta; l’organizzazione aveva anche disponibilità di armi. Secondo le indagini coordinate dai magistrati antimafia, gli arrestati erano contigui al clan Greco di San Mauro Marchesato, che è considerato un’emanazione della ‘ndrina di Caulonia (Crotone) operante anche sul territorio lombardo. Le indagini iniziate per accertare le infiltrazioni della ‘Ndrangheta nel tessuto economico legale sono state condotte sul territorio dal Gico, la squadra speciale delle fiamme gialle dedicata alla criminalità organizzata.

Trentaquattro le perquisizioni (operate con l’aiuto dei comandi locali e dello Sicco di Roma) in corso tra Lombardia, Veneto, Toscana, Umbria, Lazio, Calabria e Sicilia, nei confronti di 27 indagati. Secondo quanto raccolto dagli investigatori la frode milionaria dell’Iva veniva perpetrata nell’ambito del commercio dell’acciaio, aiutata da una fitta rete di società “cartiere” e “filtro”, affidate a prestanome. Diverse le imprese italiane che emettevano e registravano fatture false per operazioni inesistenti, arrivando a toccare il “plafond Iva” previsto per i cosiddetti “esportatori abituali”: in questo modo manipolavano le liquidazioni periodiche per l’imposta sul valore aggiunto.

Per arrivare ai fiancheggiatori delle cosche e ai gestori fittizi delle società sono state importanti anche le rivelazioni di collaboratori di giustizia, che hanno indicato i nomi degli affiliati ai clan che si occupavano della frode: tutti vicini alla cosca che fa capo a Lino Greco, federata alla locale di Cutro, in Calabria (il cui boss è Grande Aracri). L’organizzazione inoltre aveva messo in piedi un giro di autoriciclaggio di denaro illecito per oltre mezzo milione di euro avvalendosi di conti coerenti bancari aperti in Bulgaria ed in Inghilterra.