L’opinione del mercato


Una premessa. Il governo Conte (se non si fa danno da solo) patisce l’inimicizia mortale di burocrati europei, intellettuali, scrittori, poeti, pittori, comici, alti ecclesiastici, etc.; e gode del consenso crescente del popolo.

Seconda premessa: quando gli intellettuali dicono “popolo”, pensano sempre a una massa di ignoranti, rozzi, selvaggi, analfabeti (“plebe”, in francese illuminista del Settecento “populace”); e invece ci sono anche io, che, tutto sommato, ho pubblicato cinquanta libri, e comunque sono laureato, e per svago scrivo poesie in greco classico. Mi spiace per gli intellettuali, ma ci sono anch’io, nella plebe. Ora come la mettiamo?

Da popolano quale sono, stamani parlavo con il mercato. Oh, non quello di Wall Street o di Francoforte, ma con due persone sagge e d’esperienza, che, per mestiere, stanno a contatto quotidiano con gli acquirenti, cioè con il mercato quotidiano, popolare.

Mi diceva uno, mentre sorbivo un ottimo caffè: “Professo’, quando XXX prendeva 900.000 lire di pensione, gliene restavano; oggi che piglia 700 euro, non arriva a fine mese”. 700 euro sono 1.335.389 lire, lasciamo gli spiccioli; sono dunque 435.389 lire in più di 900.000, però non bastano.
Ecco, intellettuali, cosa ne pensa il mercato!

Un’altra persona, ancora più dentro alle segrete cose del commercio al dettaglio, mi spiegava tanti particolari della compravendita, che qui ora non riferisco ma che più o meno capite tutti: dal caffè a 800 lire al caffè a 0,80 euro, cioè 1549 lire.

Aggiungevo io che se parto da Soverato con 1.000 euro e arrivo a Monaco di Baviera, non compro le stesse cose che comprerei a Soverato, ma molto di meno: quindi dubito molto che l’euro sia una moneta unica.
Completiamo: il mio primo interlocutore di stamattina auspicava l’uscita dall’euro, l’altro non si esprimeva a tal proposito; io, nonostante quanto sopra, sospendo il giudizio.

Ho comunque paura della lira, se dovesse finire (quod deus avertat) in mano a gente come Andreotti, Craxi e Ciampi, che stampavano lire come fossero coriandoli di Carnevale, e illusero l’Italia di essere ricca e felice; e assumevano una quarantina di bidelli per ogni scuola, sottraendoli ai “campi e alle officine”, come recita una vecchia canzone comunista. E invece di officine e campi, milioni di uscieri all’ospedale, e milioni di ospedali: in Calabria, 42! Sotto questo aspetto, meglio l’euro!
Conclusione di un populista laureato:

– il benessere, prima di essere distribuito, dev’essere prodotto, e non esistono i tesori nascosti di Sigfrido nel Reno; e se togliessimo fino all’ultimo centesimo ai ricchi, entro un mese (e dopo abbuffata di una sera sola!) moriremmo tutti di fame;
– leggete “la favola delle api” di de Mandeville, del lontano 1703, ma sempre valida;
– se il denaro gira, gira per tutti, sebbene in parti disuguali; ma anche i mendicanti pigliano più elemosine, se i soldi girano; e se i soldi non girano, non guadagna più nessuno;
– se i soldi non girano ma i conti quadrano, moriamo tutti di fame con i conti in ordine: magra, magrissima soddisfazione. Magrissima: mai parola fu così calzante: ahahah!
– mi sta benissimo dunque che il Governo operi una manovra espansiva, cioè stimoli lavoro e circolazione di denaro.

Ma gli economisti superspecialisti dicono… Beh, ragazzi, sotto la guida dei superspecialisti d’economia, l’Italia conta – dati della Caritas – quasi cinque milioni di mezzo di poveri assoluti; e la nostra amata Calabria, nota anche come “qui fu la Magna Grecia e sbarcò Ulisse”, è la terzultima su circa 360 regioni d’Europa. No, decisamente gli economisti non ci sanno fare.

Ulderico Nisticò


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *