Caro Tito, prima di dirti della mia frequenza all’Università degli Studi di Roma, mi corre l’obbligo almeno di ringraziare coloro i quali mi hanno permesso di accedere a questa bellissima ed utilissima esperienza, finora praticamente esclusa a ragazzi come me, provenienti dai ceti più umili, specialmente operai e contadini, piccoli artigiani e piccoli commercianti. A parte i miei amabili Genitori (Bruno Lanciano e Maria Giuseppa Menniti che non finirò mai di benedire pure per questa preziosissima ed inestimabile possibilità di crescita umana e sociale), sento il dovere di ringraziare coloro i quali hanno concepito e votato la legge n. 80 del 14 febbraio 1963 (vedi Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 51 del 22 febbraio 1963) che permetteva ai giovani poveri ma meritevoli di accedere più facilmente agli studi universitari non pagando le tasse e avendo un aiuto economico (cosiddetto “pre-salario”) oppure, in alternativa, il soggiorno gratuito alla “Casa dello Studente”. Tutto ciò obbediva, comunque (forse pure con troppo ritardo), all’articolo 34 della Costituzione della Repubblica Italiana (G.U.R.I. n. 298 del 27 dicembre 1947) che recita: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”.
Ci sarebbero poi da ringraziare pure coloro i quali hanno voluto ed approvato la legge n. 910 dell’11 dicembre 1969 (GURI n. 314 del 13 dicembre 1969). Tale legge (detta anche “Codignola”) permetteva l’accesso a tutte le facoltà universitarie ai possessori di qualsiasi diploma di Scuola Media Superiore, mentre prima l’accesso era fortemente condizionato. Questa legge non avrebbe comunque riguardato me, poiché il Diploma di Liceo Classico (in mio possesso) dava l’accesso a tutte indistintamente le facoltà universitarie. Però, bisogna ringraziare quei legislatori e la cultura democratica che li ha ispirati, dal momento che tale liberalizzazione ha permesso ad intere generazioni (almeno per un trentennio dal 1970 in poi) di scegliere, ad esempio, Medicina pur provenendo dal Geometra o dall’Istituto Tecnico Industriale! Tale libero accesso, accompagnato dal già citato aiuto economico-logistico (presalario o Casa dello Studente), ha permesso la formazione di una nuova classe media di professionisti proveniente dai ceti umili (operai, contadini, ecc.) che altrimenti avrebbero dovuto fermarsi al diploma di scuola media superiore oppure accedere soltanto a facoltà limitate. L’importanza di tale legge dovrebbe essere vista pure nel contesto di un clima culturale e politico che avrebbe voluto i figli dei ceti bassi fermi sui lavori dei padri. Una tale discriminazione era assai presente e diffusa pure in Badolato, persino (paradossalmente) presso professionisti che erano stati figli di artigiani, i quali (sempre salvo eccezioni) si consideravano “superiori” ai ceti operai e contadini!…
Nonostante fosse considerata una “grande illusione” (pure perché, poi, la temuta selezione professionale sarebbe comunque avvenuta prima ad opera delle lobby accademiche e quindi a causa della realtà selettiva partitocratica nella vita e nel lavoro) tale legge 910/1969 ha rappresentato parecchio, specialmente per i giovani del meridione italiano … anche se, a fine 20° secolo, l’accesso all’Università è adesso tornato ad essere alquanto problematico per le classi umili. Per me personalmente, poi, la possibilità di abitare nella Capitale d’Italia (nonché Capitale del Cattolicesimo e della FAO, agenzia dell’ONU) e di frequentare l’Università è stata assai preziosa e si è rivelata davvero tanto determinante specialmente per fornirmi molte di quelle risposte che andavo cercando e che mi portavo, assai copiose, da Badolato e dalla Calabria.
Nell’ottobre 1970 sono arrivato a Roma con il massimo del mio entusiasmo e della mia brama (sì, più che voglia e desiderio, era vera e propria incontenibile “brama”) … brama di imparare e di studiare … tanto è che già, dopo 6 mesi, a giugno del 1971 ho dato ben cinque esami (nella prima delle previste tre sessioni annuali) sui 19 esami preventivati per i quattro anni del corso di laurea in Filosofia. Considero gli anni trascorsi a Roma come quelli più felici e gratificanti della mia intera esistenza, non soltanto nell’apprendimento e nella conoscenza ma anche e soprattutto umanamente e socialmente pure perché ho preso da questa grande città-metropoli tutto ciò che potevo prendere … nonostante troppe porte chiuse e fin troppe negatività tipicamente italiane (infatti ringrazio Roma come città ma non ringrazio gran parte dell’Italia istituzionale). In due parole dico che senza gli studi universitari sarei stato un uomo ben diverso da ciò che sono adesso. Adesso sono … fondamentalmente molto più felice di ciò che avrei potuto essere senza la frequenza universitaria, poiché alla felicità e all’armonia di Kardàra ho unito la felicità e l’armonia della conoscenza più elevata e qualificante. Infatti, la conoscenza è “goduriosa” come una sposa fedele … anzi, ancora di più, come una perenne incandescente e inesauribile amante!… Gli orgasmi che sa dare la conoscenza sono equiparabili (forse anche superiori, a volte) a quelli erotici-sessuali … anzi, la conoscenza (ho poi saputo e sperimentato) è la stessa cosa dell’Eros! E ciò non soltanto a parere mio!…
Caro Tito, non so che altre parole usare per dirti tutta la mia incontenibile gioia, tutte le mie eccelse emozioni (ma anche la lieve ed ovvia trepidazione), tutto il mio entusiasmo nell’avvicinarmi a questo tipo di studi, ma pure a iniziare a conoscere e a vivere una delle città più belle del mondo, dove puoi incontrare e conoscere quasi tutto il mondo anche senza viaggiare per il mondo! Saranno stati i miei venti anni, ancora freschi e integri … fatto sta che lo stupore si alternava all’esaltazione più superlativa. E la felicità era permanente. Inoltre, quelli erano anni in cui le Università italiane (e specialmente la Statale romana) venivano frequentate (più che in altre precedenti epoche) da parecchi studenti stranieri provenienti dai cinque continenti, specialmente da Paesi poveri o “coloniali” (in particolare da Stati autoritari come Grecia, Persia, Palestina e altri Paesi arabi). L’ambiente, dentro e fuori l’Università, era davvero internazionale, ma anche ed ovviamente interregionale (quasi tutte le regioni italiane erano rappresentate nell’Ateneo romano e in città quasi ogni regione aveva uno o più club o luoghi di aggregazione). Vorrei tanto dilungarmi per descriverti le meraviglie sociali e personali di quel periodo, però devo ricordare anche a me stesso che questi sono semplici “Appunti” e sono finalizzati unicamente a far capire come e quanto il mio amore per Badolato, mio paese natìo, sia sempre stato presente in tutti i miei anni già molto prima della vicenda del “paese in vendita” iniziata ufficialmente il 7 ottobre 1986. E a questo tema cercherò di attenermi il più possibile, a cominciare dal tipo di “Piano di studio” che ho scelto per conseguire la Laurea in Filosofia.
NOVEMBRE- DICEMBRE 1970
Infatti, tra le tante liberalizzazioni che gli studenti avevano ottenuto negli ultimi anni (1966-70) attraverso la contestazione e le rivolte giovanili, c’era pure la possibilità di scegliere a proprio piacere ed interesse le materie da portare agli esami, pur restando inteso che c’erano almeno alcuni esami fondamentali ed obbligatori e che comunque avrebbe dovuto essere triennale la materia su cui dare la Tesi finale. Visti e considerati i miei precedenti contrasti con le Istituzioni e con la Chiesa Cattolica, per prima cosa ho pensato (redigendo il mio “Piano di studi”) che avrei potuto dare la tesi di laurea in Filosofia Morale, dal momento che ero tanto desideroso di approfondire al massimo possibile il tema-problema del “peccato”. Sia le Istituzioni che la Chiesa Cattolica avevano bombardato a tappeto la mia infanzia e la mia adolescenza con questo “mostro” che era il “peccato” o la colpevole “trasgressione” tanto da terrorizzare non soltanto me ma, ancora di più, pure i miei amici, specialmente taluni compagni di scuola che ne erano usciti addirittura traumatizzati (io non ero da meno, però ero “ribelle” di natura ed avevo come “salvagente interiore” la mia Kardàra, sempre ovunque e comunque). Perciò, su 19 esami da dare, scelsi 3 in Filosofia Morale proprio per poter dare la tesi sul “peccato” (già dalle prime lezioni avevo preso contatti a riguardo con il prof. Lombardi, titolare della Cattedra, e una sua assistente che aveva le mie stesse convinzioni). Storia della Filosofia avrebbe dovuto essere almeno biennale. Scelsi, poi, Filosofia Estetica (abbinandola con Storia della Critica d’Arte), Filosofia della Scienza, Filosofia Teoretica, Filosofia dell’India e dell’Estremo Oriente, Islamistica (ero assai attratto dal mondo arabo e islamico, di cui Badolato aveva una qualche velata reminescenza), Storia della Musica, Sociologia, Antropologia Culturale, Storia Moderna e così via.
Ho cominciato a frequentare le lezioni fin dal primo giorno e fin dal primo giorno la città universitaria (ovvero le Facoltà esistenti dentro il suo perimetro originario, poiché altre facoltà erano disseminate in altri quartieri di Roma) era preda di gruppi estremisti che si fronteggiavano anche violentemente, in particolare davanti al Rettorato (tra la mia Facoltà di Filosofia e la Facoltà di Giurisprudenza) dove stazionavano interi plotoni di Polizia e Carabinieri in tenuta antisommossa. La città universitaria (che oggi si chiama Università degli Studi di Roma 1 “La Sapienza”) viveva in un vero e proprio “stato di assedio” con Polizia e Carabinieri dentro e fuori le sue mura. Ricordo che, durante una delle prime lezioni di Sociologia tenute dal prof. Franco Ferrarotti (allora uno dei più noti “maestri di pensiero” italiani, politicamente di sinistra o progressita), provocatori e aggressori fascisti entrarono nella grande aula dove eravamo in quasi duemila studenti, devastando cattedra e banchi, percuotendo gli studenti delle prime file con bastoni e catene. Insomma, era rischioso frequentare l’Università in quegli anni assai caldi di violenti scontri politici (“opposti estremismi” erano definiti). Infatti quella non fu la sola incursione fascista nella mia Facoltà ritenuta “covo” comunista. I comunisti ritenevano “covo” fascista la vicina Facoltà di Giurisprudenza. Immagina, caro Tito, quale stato di apprensione avevamo ogni giorno nell’entrare nella città universitaria dove scontri precedenti avevano causato spesso molti feriti e persino morti!… Una città universitaria avrebbe dovuto essere “porto franco” o, meglio, addirittura “luogo sacro” come una chiesa, un santuario e, quindi, esente da questi drammatici fenomeni. Eppure, le violenze erano quasi quotidiane.
Durante le vacanze natalizie 1970-71, il mio complesso degli “Euro Universal” registra un nastro con le nostre migliori canzoni. Partecipa alla registrazione pure Pasquale Piroso (detto Jimmy per il suo grande amore verso Jimi Hendrix, pop-star USA 1942-1970). L’intenzione è di inviare questo nastro alla Casa Discografica “Atlantic” di New York, che è considerata una delle migliori del mondo per la musica pop. Mi viene l’idea di inserire in alcune canzoni la zampogna e la ciaramella, sia per le loro ampie e suggestive sonorità (la zampogna, in particolare, ricordava i coinvolgenti effetti musicali dello strumento elettronico denominato “moog” un sintetizzatore sonoro inventato nel 1963 dall’ingegnere Robert Moog – USA 1934-2005) e sia per dare un tocco di tradizione popolare e pastorale. A suonare la zampogna, in dialogo con gli strumenti elettrici (chitarre) e le percussioni (batteria), era lo zampognaro che ogni anno veniva dal vicino paese di Sant’Andrea dello Jonio, mentre la ciaramella era suonata da un uomo proveniente dal confinante comune di Isca sullo Jonio. I due venivano spesso a Badolato per allietare feste religiose e anche qualche matrimonio molto tradizionale, dove si sarebbe ballata la tarantella. Mi spiace tanto che i nastri con la copia di quelle registrazioni non sono al momento utilizzabili perché ci manca il “lettore” adatto.
Quello di inserire la zampogna e la ciaramella (strumenti pastorali tipici in tante parti del mondo) in una canzone pop-rock era una novità assoluta nel 1970 ma l’intuizione si rivelò giusta oltre che originalissima, poiché alcuni decenni dopo tale nostro utilizzo, fu applicata da altri sia in Italia che all’estero ottenendo un grande successo internazionale. Personalmente sono assai lieto di questa anticipazione sui tempi! In seguito farò ancora riferimento alla tradizione musicale popolare (e specialmente badolatese) per innestare nella musica pop-rock degli Euro Universal presenze e sonorità derivate dalla nostra tradizione locale. Ovviamente, l’Atlantic Corporation non ci rispose nemmeno. In seguito ho saputo (da un articolo letto sul settimanale “Famiglia Cristiana”) che dal 1975 (ogni anno sul finire del mese di luglio) si svolgeva nel paese di Scapoli in Molise (oggi provincia di Isernia) il Festival e la Mostra-Mercato della Zampogna con la partecipazione di “zampogne” provenienti da ogni parte del mondo. Ne sono nati due musei (uno comunale e uno privato) che ho visitato più volte, anche in compagnia di amici calabresi come il prof. Vincenzo Ermocida il quale, badolatese e amico fin dalla prima adolescenza, mi viene a trovare spesso ad Agnone del Molise (distante da Scapoli 70 km circa), da solo o con la famiglia, da Roma dove lavora ed opera. Vincenzo è stato pure compagno di università nella Capitale e ci siamo laureati a due giorni di distanza nel luglio 1977.
ANNO 1971
Oltre a frequentare le lezioni di Filosofia Morale, di Sociologia e di altre materie di esame, come appena accennato, mi deliziavo delle lezioni di Storia della Critica d’Arte, il cui docente era così bravo ma così bravo che ci faceva andare in estasi trattando dei pittori impressionisti. Infatti, considerati nel loro insieme o singolarmente, questi artisti della Parigi della seconda metà del 19° secolo erano così tanto bene descritti da tale professore che ci sembrava di vivere vicino a quei personaggi (quasi a tu per tu) e, in particolare, nella stessa capitale francese, vista e illustrata in ogni suo aspetto (topografico, storico, culturale, politico, economico, ecc.). Durante le lezioni ascoltavamo la musica che avevano ascoltato quei pittori, entravamo nell’atmosfera umana e sociale di quei tempi … mancava che mangiassimo i medesimi loro cibi, di cui sapevamo comunque quasi tutto. Quelle lezioni sono state indimenticabili ed entusiasmanti così come il voto finale di quel mio esame. Quando, poi, nel settembre 1997 ho avuto la fortuna di andare a Parigi (per celebrare i 50 anni di mia moglie Bambina) e di incantarmi davanti a parecchie tele originali degli Impressionisti, ho vissuto quei quadri e la stessa città con l’eco di quelle lezioni universitarie, in un modo davvero esaltante. Non finirò mai di ringraziare quel docente che ci travasava amore per la bellezza in assoluto e specialmente per la bellezza dell’arte, orgoglio poetico e narrativo (cultura davvero a 360 gradi) ma ci dava soprattutto l’esempio di dare il massimo nel proprio lavoro e della propria passione pure per il rispetto che è necessario riservare al prossimo, agli altri (a noi studenti in tal caso). Questo professore era come la mia insegnante di lettere della prima media a Catanzaro Lido (Anna Maria Longo Bova) elevato all’ennesima potenza. Un’energia unica e vibrante di eccelse meraviglie! Queste lezioni sulla Critica d’Arte mi sono poi state assai utili per apprezzare e cercare di valorizzare e celebrare l’Arte che c’era a Badolato e in Calabria (ma poi anche in Agnone che ho definito pubblicamente per primo nel dicembre 1983 “Città d’Arte” titolo che continua a vantare con grande merito) e per godere di tutta l’Arte che in séguito avrei visto ed ammirato in Italia e nel resto del mondo!… Dopo di quelle lezioni non potevo guardare la Natura e le Opere umane con gli stessi occhi di prima!…
Altre ottime ed entusiasmanti lezioni sono state quelle di Antropologia Culturale e, ovviamente, quelle di Sociologia. Così, pure con l’apertura mentale avuta da entrambe queste inestimabili ed essenziali materie di studio, chiesi al prof. Franco Ferrarotti, titolare della Cattedra di Sociologia, di poter presentare all’esame di giugno 1971 una tesina su “La condizione femminile in Calabria”. Ferrarotti (nato a Palazzolo Vercellese il 7 aprile 1926) mi affidò ad un suo anziano assistente, il quale era assai simpatico e interessato a questo mio lavoro che poi fu molto apprezzato in sede di esame. Il quindicinale “Sentiero Calabro” di Soverato, fondato anni prima dal mio amico e “maestro di calabresità” Gianni Pitingolo (1931-2015), la pubblicò a puntate, presentandola in prima pagina nello stesso mese di giugno 1971. L’amore, la stima e la considerazione per le donne della mia terra calabrese vibravano in ogni pagina di quella tesina tanto che commosse la commissione d’esame. Pure questo piccolo elaborato ha un suo peso in alcune scelte (umane, personali, sociali ed universitarie) che avrei fatte da lì a un paio di anni a favore di Badolato e della Calabria.
Altro episodio che ha avuto poi un peso nel pensare al Consorzio Turistico “Riviera degli Angeli” (tra Riace e Squillace) è stato quello della visita ricevuta nell’aprile 1971 a Badolato Marina da parte del Maestro (musicista e compositore) Marcello Giombini, l’autore della “Messa beat” eseguita dal mio complesso “Euro Universal” dal 1968 in Calabria, ad Assisi e a Roma. Dalla primavera 1968 (quando sono stato a casa sua) ero rimasto in contatto con il Maestro e, a volte, ci incontravamo in una chiesa romana di Viale 25 aprile dove la band dei suoi “Alleluja” eseguiva ogni domenica la “messa beat” da lui scritta in varie edizioni e forme. Una domenica mi espresse il desiderio di trascorrere le vacanze estive (luglio ed agosto 1971) sullo Jonio, possibilmente al mio paese dove era sicuro che sua moglie e i suoi figli avrebbero potuto contare su di me quando lui, per esigenze di lavoro (componeva ed eseguiva pure colonne sonore per film), era costretto ad allontanarsene. Così, verso la fine di aprile 1971, allo scopo di scegliere la casa delle vacanze, giunse a Badolato con la sua automobile, accompagnato da Bruno (uno dei componenti la band dei suoi “Alleluja”). Rimase incantato dal paesaggio, tra mare, colline e montagne, ma specialmente dal mare così pulito ed intenso nei suoi colori. Inoltre, i prati erano al massimo della loro ricchezza di fiori, in qualità e quantità, in varietà e in sfumature … tanto è che Giombini, dicendo che non aveva mai visto una cosa simile, si mise a fotografare senza posa queste piccole e grandi tavolozze floreali. Attratto da queste campagne splendenti e lussureggianti, Giombini e Bruno rimasero sullo Jonio per qualche altro giorno, un po’ cercando casa e un po’ fotografando tutti quei colori sgargianti e tenui ma di una meraviglia che soltanto la primavera di Badolato e dell’estremo sud Italia possono avere.
Perché Giombini si aggirava cercando casa a Badolato e dintorni senza poterne trovare una di suo gradimento?… “Tutto bello, tutto bello – diceva – però dove busso busso mi dicono che l’acqua viene erogata soltanto per una, massimo due ore al giorno”. Eh sì!… La costa jonica da Roccella fino a Catanzaro Lido soffriva in quegli anni (sessanta e settanta) di una forte penuria di acqua potabile e d’estate veniva distribuita nelle case soltanto per un’ora o due nell’arco delle 24 ore. Così non si poteva fare turismo… tanto è che Giombini ha rinunciato (seppure troppo a malincuore) a far trascorrere alla sua famiglia le vacanze di luglio ed agosto in Badolato e dintorni. Mi dispiacque davvero tanto … tanto che ho pensato proprio allora di reagire e cercare di fare qualcosa … forse un Consorzio Turistico da Riace a Squillace (o, almeno, da Monasterace a Soverato) avrebbe potuto contribuire a sbloccare la situazione inducendo i Comuni, la Cassa per il Mezzogiorno e la neonata Regione Calabria a risolvere tale annoso e grave problema strutturale. Misi questa idea in un cassetto della mia mente e del mio cuore per poi riprenderla da lì a qualche mese. Ricorderai, caro Tito, che già fin dai tempi delle mie escursioni adolescenziali nei paesi da Riace a Catanzaro Lido mi era balenata in mente una simile associazione territoriale interzonale, ma l’input principale fu proprio questa rinuncia di Giombini, il quale, pur innamorato entusiasta della zona di Badolato, si dovette arrendere di fronte alla mancanza di acqua nelle case. Giombini mi ha onorato pure ad Agnone del Molise, partecipando come relatore al Convegno internazionale e interreligioso su “Amore e Religione” nei giorni 4-5-6 ottobre 1985. Poi, purtroppo, ci siamo persi di vista.
Nell’estate 1971, il mio complesso degli “Euro Universal” era stato incaricato dal titolare del Lido “Il Delfino” (il primo storico stabilimento balneare di Badolato Marina ed interzona, fondato appena due anni prima, nel 1969) di far ballare coloro i quali frequentavano di sera il suo locale (non c’era ancora la cosiddetta “discoteca”). Approfittai di questa nostra presenza in quel Lido per organizzare la prima edizione dell’Agosto Universitario ovvero tutta una serie di manifestazioni socio-culturali che riuscissero pure utili ad attrarre gente (specialmente giovani studenti) al Delfino, che diventò anche un centro di aggregazione extra-balneare. L’Agosto Universitario ebbe cinque edizioni, dal 1971 al 1975 (poi non più, poiché l’estate 1976 ero militare di leva e negli anni seguenti non ero più “universitario” ma già laureato). Bandii un Concorso Iconografico e appesi alle pareti di legno del bar-ristorante centinaia di fotografie del nostro territorio, disegni e quadri dipinti da artisti locali. Realizzai pure un Premio di Poesia, ma anche un Premio di Ballo singolo e di coppia, di varie Miss (Bellezza, Eleganza, ecc.). Ricordo come se fosse adesso che vinse il primo premio di ballo in coppia quel Leopoldo Répice (classe 1932) appena tornato con la famiglia dall’Argentina con l’intenzione di realizzare il Bell’Orizzonte, primo albergo di Badolato e dell’interzona (tra Soverato e Roccella, km 44). Praticamente, per tutto il mese di agosto, ho fatto da “intrattenitore” e da “animatore culturale” non solo per la clientela del Lido Il Delfino, ma anche per i visitatori degli spazi espositivi, per fruitori e concorrenti delle mie varie attrattive socio-culturali, ludiche e spettacolari. Fu un successo, pure perché pubblicizzammo questo primo “Agosto Universitario” da Locri fino a Catanzaro con volantini ma anche con un altoparlante posto su una macchina (una Fiat 500 bianca, se ricordo bene). Gli Euro Universal cominciavano a farsi un nome e ad essere invitati a fare feste di piazza e di matrimonio, ma anche concerti per comunità del tipo collegi, convitti e scuole in àmbito provinciale.
Nel 1971 c’erano ancora pochi locali (lidi o stabilimenti balneari) lungo la costa jonica (ad eccezione di Catanzaro Lido, della costa di Copanello, di Soverato e della Locride), per cui avemmo facile presa su coloro che desideravano trascorrere le serate d’estate con interesse e divertimento. Il secondo stabilimento balneare di Badolato Marina (il “2 ruote”) aprì proprio per quell’estate 1971, visto il successo de “Il Delfino” e la richiesta del pubblico proveniente pure dai paesi vicini, sprovvisti ancora di una struttura di ristoro e di divertimento sulla spiaggia. Inoltre, il 1970 potrebbe essere considerato l’anno di avvìo di quel “turismo di massa” che andava istituzionalmente governato meglio di quanto non lo sia stato. Questa prima esperienza dell’Agosto Universitario aumentò le mie capacità di conduttore di spettacoli (già maturata con le esibizioni degli Euro Universal) e, in particolare, di “animatore culturale”… cosa che, con il tempo, divenne una costante nella mia giovinezza e maturità a Badolato ed ovunque abbia avuto la possibilità di esprimermi in tal senso.
Ricorderai, caro Tito, che già nell’estate 1967 (quando avevo 17 anni) avevo realizzato le “Olimpiadi badolatesi” a supporto e ad arricchimento delle manifestazioni civili della festa parrocchiale dei Santissimi Angeli Custodi, patroni di Badolato Marina. Queste mie qualità organizzative sono da tenere presenti anche negli anni futuri (a partire da questo 1971). Infatti, avevo e mostravo tanto entusiasmo e inventiva nel vivacizzare culturalmente un ambiente o un territorio con iniziative, che erano originali e spesso “cucite su misura” per
ogni e diverso ambiente antropologico e sociologico, tutto amalgamando per quanto possibile con le tradizioni e i valori preesistenti. L’unica mia ambizione era quella di voler valorizzare il mio paese e di stupire la gente con iniziative coinvolgenti ed aggreganti, mai pensate o realizzate prima. Al centro delle mie idee e del mio agire c’èra la volontà di rendere protagoniste le persone, singole e aggregate, poiché la tendenza che si stava impadronendo delle piazze era quella della “estate passiva” cioè con la gente intenta ad ascoltare e a seguire passivamente spettacoli altrui piuttosto che essere protagonista di azioni, giochi ed espressioni socio-culturali proprie. Inoltre, l’idea di “stupire” mi ha sempre animato ed appassionato … fino a presentare ripetutamente e in varie forme e finalità ai governi italiani (ma anche ad istituzioni locali) il progetto “Stupire il mondo”.
Finita l’estate 1971, vissuta assai intensamente pure tramite le molteplici iniziative socio-culturali, torno a Roma e mi reco agli Studi della RCA per chiedere una audizione-provino per i miei “Euro Universal”. Per tutta la giornata del 24 ottobre 1971 nello stabilimento RCA di Via Tiburtina, sotto la direzione del Maestro Roberto Gianolio, eseguimmo alcuni brani del nostro repertorio. Gianolio restò assai bene impressionato dall’insieme e specialmente dalla potente voce di Nazzareno Audino e dall’abilità manuale e sonora del chitarrista Peppe Naimo (entrambi hanno avuto l’invito a fare parte dell’Orchestra della RCA Italiana). Gianolio (che ancora adesso è amico mia da allora) ci chiese di tornare a fare un altro provino con delle canzoni più adeguate ad un complesso pop-rock, cioé più spinte e più rimarcate nelle sonorità e nell’esecuzione (“più picchiate, più battute” … più “beat”). Così, cominciammo a pensarci su, a comporre … fino a giungere alla convinzione che ci voleva un nuovo genere musicale. Piano piano giungemmo al “Pop-Islam” di cui dirò più avanti. Intanto, per motivi personali, Nazzareno Audino ed Enzo Spasari lasciarono gli “Euro Universal” sostituiti immediatamente da Andrea Naimo (fratello di Peppe) e da Mario Gallelli (detto Calonna).
Dell’anno 1971 è necessario annotare tre episodi o situazioni abbastanza importanti per la mia esistenza e la mia formazione umana e sociale: il mio passaggio alla maggiore età giuridica, l’abbandono definitivo della religione cattolica (ma anche delle religioni in generale) e la conclusione del mio lungo periodo di castità sessuale (e, quindi, il termine dell’attesa del “grande amore” ideale). Proverò brevemente a descrivere questi fondamentali passaggi della mia giovinezza, che avrebbero poi avuto ripercussioni pure sui miei rapporti con l’idea di Badolato e di mondo.
Nel 1971 si diventava “maggiorenni” ancora a 21 anni. Quindi, il 04 marzo 1971 sono entrato nella “maggiore età” giuridica e sociale (cioè nei miei pieni poteri esistenziali e nella autonoma capacità di agire responsabilmente nella società). Il giorno stesso di questo mio 21° compleanno ho scritto una lettera ai miei Genitori, ringraziandoli per quanto avevano fatto fino ad allora per garantire la mia minore età, rassicurandoli che adesso erano liberi da ogni responsabilità legale, essendo io diventato maggiorenne. Fino a quel momento i miei compleanni erano passati in modo usuale, assai semplicemente, come per tutti i miei coetanei del medesimo ceto ed ambiente badolatese (semplici auguri soltanto, qualche cartolina, raramente un regalino, niente feste o torte o smancerie). Questo mio 21° compleanno è stato particolare per me, non soltanto perché sono andato a trascorrerlo in silenzio, in meditazione e digiuno nella Certosa delle Tre Fontane a Roma (memore della bellissima ed utilissima esperienza avuta nel settembre 1967 nella Certosa di Serra San Bruno) … ma soprattutto perché qualche settimana prima era avvenuta una svolta importante e definitiva nei riguardi della religione, della visione sociale della vita, in particolare dell’altruismo più spinto e disinteressato. Non ricordo se proprio in occasione di questo compleanno, ma ricordo molto bene che la “signorina Luisetta Caporale” (grande animatrice storica non solo della Parrocchia di Badolato Marina) mi omaggiò di un graditissimo abbonamento annuale alla bella ed utile rivista “Rocca” della Pro Civitate Christiana di Assisi, pure come segno di attenzione e di legame a quella mia parrocchia, che mi aveva visto assai attivo organizzatore dentro e fuori l’Azione Cattolica in tutti gli anni della mia adolescenza.
Da tale 21° compleanno ogni 4 marzo sono solito appartarmi (per quanto possibile) allo scopo di dedicare a me stesso almeno una giornata in piena riflessione, silenzio e solitudine, pure per fare il punto sulla mia condizione esistenziale (passato, presente, futuro). Quando le situazioni familiari e lavorative lo hanno permesso, negli ultimi decenni ho dedicato e continuo a riservare a questa pratica “contemplativa” e “salutare” qualche giorno o addirittura una intera settimana di relax, riflessioni e meditazioni. Con grande giovamento, sempre. Non escludo che l’importanza da me data all’essere diventato “maggiorenne” abbia poi influito nello scrivere nell’estate 1983 (quando si diventava maggiorenni a 18 anni già dal 1975) in Villacanale (paese di mia moglie) il romanzo (ancora inedito) “Ragazza in fuga (18 anni)” nonché nella conseguente redazione e diffusione del “Manifesto dei Diciottenni” e della “Festa dei 18 anni” che hanno avuto un’eco nazionale giornalistica e televisiva. La prima “Festa sociale dei Diciottenni” si è svolta nel Comune di Agnone il 10 dicembre nell’anno 1983 e da allora le feste private, familiari e collettive si sono diffuse, caratterizzando un certo costume nazionale. In Agnone sarebbe potuta nascere una vera e propria “industria dei 18 anni” … ma questo è un altro discorso!…
Ai fini della vicenda di “Badolato paese in vendita” mi sembra utile fare riferimento al mio “battesimo televisivo” avvenuto su Rai Uno (trasmissione in diretta “Italia Sera” condotta da Enrica Bonaccorti e Mino Damato) mercoledì 18 novembre 1983 ore 18,10-18,20 proprio per presentare il Manifesto e la Festa dei Diciottenni che non si erano mai visti prima in Italia (nonostante la legge della maggiore età a 18 anni fosse stata approvata 8 anni prima, giorno 08 marzo 1975 n. 39 – GURI n. 67 del 10 marzo 1975). Infatti, con questa mia prima partecipazione ad un programma televisivo (e nella rete ammiraglia della Rai), ho cominciato a capire come funzionavano alcune trasmissioni radiofoniche e televisive della Rai – Radio Televisione Italiana. La conoscenza di questi meccanismi redazionali mi ha permesso di portare poi Badolato all’attenzione pure internazionale, soprattutto nel biennio 1986-88 del “paese in vendita” (ma ancora in anni seguenti, come il 2 dicembre 1993 con più di un’ora televisiva su Rai Due, fianco a fianco con Mita Medici, bella e famosa attrice).
Devo ringraziare, per questo mio importante esordio, l’allora giovanissimo giornalista Leandro Palestini (oggi lavora a “la Repubblica” uno dei maggiori quotidiani multimediali italiani), il quale (leggendo la notizia del mio “Manifesto dei Diciottenni” sul “Corriere della Sera” – articolo di Pietro Pacchioni, giornalista lombardo nato l’11 ottobre 1943) mi ha convocato in Via Carso 69 a Roma (dove c’era la redazione di “Italia Sera” una popolare e seguitissima trasmissione di intrattenimento che occupava un’ottima fascia oraria serale per gli ascolti, prima del principale Telegiornale della Rai delle ore 20). E se Leandro Palestini mi ha introdotto nelle metodologie Rai, un altro ottimo giornalista, Giuseppe De Pietro (originario di un paese del vibonese e presentatomi da mio cugino Giovanni Caminiti che l’aveva conosciuto emigrato in Argentina), mi ha fatto conoscere ed apprezzare da vicino nel 1982 l’Associazione della Stampa Estera in Italia e le redazioni dei maggiori settimanali italiani (cosa da tenere presente per gli avvenimenti degli anni successivi).
Dicevo che qualche settimana prima del mio 21° compleanno era avvenuto un episodio assai rimarchevole. Infatti, a quei tempi, a Roma (come penso in tante altre città universitarie) gli studenti alloggiavano, in gran parte, presso famiglie private avendo diritto soltanto ad un posto-letto, a camere singole o condivise con altri studenti, dove ovviamente non potevano ricevere persone o fare altro che studiare e dormire. Pochi vivevano in appartamenti autonomi. Sarino (Rosario Mirigliano) ed io eravamo tra questi fortunati, perciò potevamo ricevere ed ospitare. Ed in effetti, il nostro piccolo appartamento di Piazzale Tiburtino 28 era una sede di frequenti incontri individuali e collettivi di studenti e di altre persone di ogni nazionalità. Un giorno di febbraio (giusto 45 anni fa) mi venne l’idea di far celebrare in questo appartamentino la Santa Messa a padre Galdino Monteiro (quel giovane sacerdote originario di Goa – India che era già venuto a Badolato Marina assieme a padre Nicola Criniti). Eravamo 35 persone di 17 nazionalità. Dopo la Messa ci fu un dibattito che (stranamente!?) insisteva troppo e prevalentemente ancora sull’esistenza o meno di Dio, mentre un gruppetto (tra cui io) cercava di fare presente la realtà incontestabile secondo cui, Dio o non Dio, esistevano coloro che stavano male ed avevano bisogno del nostro aiuto (anche egoistico, per stare bene tutti). Insomma, c’erano i poveri (Kardàra restava la mia idea fissa!) … come d’altra parte affermavano non soltanto il Vangelo cristiano ma anche altri libri fondanti di religioni diverse e lontane tra loro. Oggi Papa Francesco (eletto Pontefice di Santa Romana Chiesa il 13 marzo 2013) non si stanca mai di ripetere che “I poveri sono al centro del Vangelo” e che “I poveri non possono aspettare”, mentre cerca di ridurre il più possibile le gravissime ed indegnissime incrostazioni “pagane” ed “plutocratiche” della Chiesa Cattolica, specialmente della Curia vaticana che sembra aver perso (o tradito) da secoli ormai l’originario spirito altruistico del cristianesimo a favore del denaro e del potere.
Così, sciolta quell’assemblea casalinga verso l’una di notte, quasi per dimostrare a me stesso che quanto detto in quel dibattito era vero ed andava vissuto, mi diressi verso la vicina Stazione Termini ed andai a dormire con alcuni cosiddetti “barboni” o “senza fissa dimora” (“clochard” in francese e “homeless” in inglese) che si erano accucciati in gruppo sotto coperte e cartoni per difendersi dal gelido freddo di febbraio. Non ebbi difficoltà a farmi accettare pure perché allora avevo barba e capelli assai lunghi. Questo gruppo di “senza casa” (7 – 8 tra uomini e donne di età superiore ai 50 anni) mi accolse bene e al risveglio, credendomi in una difficoltà maggiore della loro, mi offrirono pure la colazione (cappuccino e cornetto) e una anziana donna mi diede un paio di calzini ed un uomo tutto sdentato e gran fumatore mi diede un pantalone. Per conoscerli meglio, parlai con loro per quasi due ore, poi ci salutammo con un arrivederci. Questa esperienza è stata assai importante per me, sotto tantissimi aspetti, ma soprattutto per misurare la mia umanità e il mio altruismo, la mia solidarietà e il mio senso di giustizia sociale … ma anche la tenùta e l’attuazione del cristianesimo nella “Roma caput mundi”.
Se fino a quel momento la mia “Kardàra” (quella di Badolato) è stata l’unità di misura della mia esistenza, avevo verificato che c’era una “Kardàra” ancora più bisognosa di attenzioni e di cure umanitarie … erano “i senza” … i senza niente. Già dieci anni prima avevo scritto al sindaco di Roma in difesa dei tanti “baraccati” (altra più povera Kardàra) che avevo visto dal treno alla periferia della Città Eterna. Purtroppo i miei legàmi familiari ed i miei obblighi esistenziali erano allora e sono sempre stati tali da non permettermi scelte troppo nette e radicali, come quella, ad esempio, di lasciare tutto per dedicarmi ai “senza” (in Italia o nel resto del mondo) … però da allora in poi pure “i senza” metropolitani sono entrati nella mia “Kardàra” permanente … in verità, più in modo concettuale (culturale ed ideale) che pienamente pratico ed operativo come sarebbe stato più giusto ed opportuno … tuttavia mi sono sempre visto vicino nel mio piccolo (con il mio tempo, la mia personale disponibilità e la mia pur risibile economia) a coloro che, svantaggiati fisicamente o socialmente, erano “i senza” nel raggio della mia prossimità … il mio prossimo (come dicevo in versi nel 1967 “è il nostro cammino che ci unisce o ci divide”, ricordi?). Si vorrebbe sempre poter fare di più nell’aiutare gli altri … purtroppo ce lo impediscono i nostri (troppi) vincoli esistenziali e la nostra “terrestrità” (come amava dire lo scrittore agnonese Costantino Mastronardi, 1924-2008).
Nove anni dopo il 05 luglio 1979 sempre a Roma, memore di questi miei amici senza fissa dimora, ho scritto i seguenti versi:
La città non sa se ti ho dato
uno mille baci.
Ma la città è attenta e sa chi si odia.
La città sa contare le pallottole
ma solo quelle che fanno rumore.
La città non sa quanti letti si amano
né quanti non hanno un letto
e vagano.
Però la città crede ancora
in chi parla di programmazione
e di libertà.
Come puoi notare, caro Tito, sono sempre stati presenti in me “quanti non hanno un letto e vagano” persino sotto il Cupolone della capitale della Cristianità. E, a proposito di Cristianità, l’altro episodio (che fu determinante per cominciare a recidere finalmente il cordone ombelicale con il cattolicesimo) è stato l’aver constatato, in alcune confessioni fatte con diversi sacerdoti, le troppo forti contraddizioni tra diverse (anzi opposte) culture dentro la stessa Chiesa cattolica. Infatti, ciò che era “peccato” alla parrocchia di Badolato o dai Salesiani di Soverato non lo era a Roma! Che paradosso!… Così, sentendomi ingannato, persi definitivamente la residua fiducia che ancora mi rimaneva dal dicembre 1968 quando ruppi con i Salesiani di Soverato e dissi “Addio!” alla Chiesa Cattolica e ad ogni altra possibile Religione storica … pur mantenendone la considerazione sociologica per il ruolo storico svolto, bene o male, nel mondo antico e contemporaneo e pur mantenendo altissimo nel mio animo il senso del “sacro” (che mi resi conto, poi, essere un valore anche laico). Inizia così un percorso di valori senza alcuna fede religiosa. Non escludo l’esistenza di un Dio … siamo pur sempre nel mondo del possibile!!!… Tale percorso mi dura ancora adesso.
Forse o molto più probabilmente a motivo di ciò, si avviò a conclusione (di conseguenza, quantunque assai faticosamente) anche il mio lungo periodo di castità (che durava dall’autunno 1962, cioè dopo le prime esperienze sessuali a Kardàra). Quasi nove anni dedicati all’attesa dell’amore ideale, cui darsi in tutta purezza e totale esclusiva. Già la mia mente e il mio cuore si stavano preparando all’abbandono della castità assoluta … sia perché era caduta la condizione idealistico-religiosa che la reggeva … sia perché era ormai praticamente impossibile resistere all’ardente vigore (u rigugghyu) della mia stessa prorompente età giovanile che aveva ormai appena superato i 21 anni … sia perché era altrettanto impossibile resistere alle troppe “occasioni” e “provocazioni” dell’ambiente universitario e alle molteplici “seduzioni” della città. Ma la goccia che fece traboccare il vaso non venne né dalle donne di Roma né dalle colleghe universitarie. Venne dalla Florida (Stati Uniti). Nel giugno 1971.
Come ti dicevo, l’appartamentino studentesco era un via vai di studenti e persone di ogni nazionalità (pur tuttavia nonostante questa alta frequentazione, io e Sarino studiavamo molto, spesso anche di notte). Verso i primi giorni di giugno 1971, un nostro amico italo-americano (vicino di casa) ci presentò due giovani sorelle provenienti da Tampa (Florida), chiedendoci di ospitarle per qualche giorno fin tanto che casa sua non si fosse liberata di altri americani di passaggio. Queste due simpatiche e belle sorelle andavano in giro per Roma di giorno a fare le turiste, poi insieme a tutta la compagnia italo-americana andavamo a farci una pizza fuori o restavamo a casa nostra o a casa del comune amico a mangiare qualcosa e a parlare a lungo, scambiandoci molte delle idee che allora andavano di moda a livelli internazionali. Personalmente apprendevo molto da loro e dai ragazzi loro amici, alcuni dei quali stavano per partire a fare la guerra in Vietnam (uno di questi, conosciuto proprio in quella occasione, tornò morto in USA e ne fui davvero profondamente addolorato). A furia di andare spesso con gente di ogni nazionalità e specialmente americani (tra tanto altro, frequentavo, allora, anche la Biblioteca dell’Ambasciata USA) riuscivo sufficientemente a dialogare in lingua inglese (mai studiata a scuola o conosciuta prima se non attraverso le canzoni)!…
Dopo oltre una settimana di frequentazione, una sera, caso volle che mi ritrovai da solo con una delle due sorelle (la maggiore di età, 29 anni, otto più di me). Qui la chiamerò Jane (Gianna, Giovanna). Questa, dopo tanto amabile conversare, mi chiese di dormire insieme e di fare l’amore. Lo chiese come se fosse la cosa più naturale, più semplice e più bella del mondo e, comunque, consequenziale alla nostra affettuosa, densa ed intensa conversazione. Ma io, purtroppo, vivevo una troppo particolare e delicata situazione di passaggio sentimentale ed emotivo … infatti pur avendo qualche mese prima (a febbraio 1971) reciso il cordone ombelicale con la religione e posto fine all’attesa della donna ideale, non mi sentivo ancora pronto ad affrontare sessualmente una donna, benché ne sentissi il grande desiderio. Avevo ancora la mente bloccata sul “grande amore” (mai arrivato comunque fino ad allora). Perciò, rifiutai molto garbatamente. Lei ne soffrì parecchio (forse pure perché non se l’aspettava … e proprio da un italiano … probabilmente considerato il classico “latin lover”). Quasi che si sentì umiliata. Tuttavia non lasciò la stanza, ma dormimmo in letti diversi, come tante altre notti di amichevole ospitalità.
A dire il vero, mi turbò davvero assai la sofferenza di questa giovane donna per un rifiuto così inatteso (ormai avevamo preso pure una certa confidenza e ci trovavamo sulla medesima lunghezza d’onda nelle frequenti conversazioni e c’era tanta simpatia tra noi). Pensai, tra tanto altro, che l’amore non avrebbe dovuto assolutamente portare alcuna sofferenza nelle persone, ma unicamente gioia ed altre meraviglie. La mattina dopo non sono riuscito ad andare a lezione all’università, ma restai a casa a pensare all’accaduto mentre Jane e la sorella proseguivano per tutta la giornata a scoprire le bellezze di Roma. Era necessario ed urgente per me mettere ordine riguardo al mio ritorno alla sessualità, dopo le prime ed ormai lontane esperienze avute felicemente a Kardàra. Ma capivo che non sarebbe bastata una giornata di riflessioni per venirne a capo. Non sapevo, in quel rovente giugno 1971, che sarebbero dovuti passare ancora ben due anni di sofferta elaborazione prima di tornare a fare l’amore con una donna … quasi che l’abbandono della donna ideale, unica ed assoluta, fosse un “lutto” molto doloroso e assai lungo da elaborare. A volte, gli ideali umani possono pesare tanto, anzi fin troppo!
Dopo qualche giorno, non credendo a quel mio rifiuto, Jane ebbe un’altra occasione propizia per chiedermi di fare l’amore. Mi invitò ad una cena a due, da soli a casa del suo amico italo-americano. Entrando, la trovai seminuda, molto sexy ed elegante ed ha fatto di tutto (ma proprio tutto, tutto) per piacermi e sedurmi. Sembrava che si stesse giocando il tutto per tutto, mentre io sentivo che non meritavo tutte quelle attenzioni. Però devo dire che ero sul punto di cedere questa volta, poiché la pressione della sua volontà di amarmi e l’atmosfera che aveva creato erano davvero troppo irresistibili. Invece io, nonostante le riflessioni sulla sofferenza del primo rifiuto, resistetti e, sebbene a fatica, mi irrigidii e fui irremovibile. Benché quattro mesi prima avessi deciso di smettere di aspettare la donna ideale, forse inconsciamente ero ancora in attesa del grande amore della mia vita e dentro di me sentivo che lei, questa simpatica, seducente, interessante americana, non avrebbe potuto essere il grande amore della mia vita, nonostante fosse davvero assai bella, attraente, intelligente e … ricca! … Tra l’altro, mi aveva invitato ad andarmene con lei in Florida, dove (asseriva) uno come me avrebbe sicuramente potuto trovare più opportunità di realizzazione che in Italia … chissà … (mi incoraggiava, quasi adulandomi) … avrei potuto pure insegnare all’Università. Questo fatto di poter insegnare in un ateneo USA mi sarà poi prospettato negli anni 1975-77 da una cittadina italo-americana, già docente all’Università del Maryland (ovviamente se l’avessi sposata). Un’altra opportunità ebbi per l’Università di Adelaide, nel Sud Australia nel 1981. Ma ne tratterò a tempo opportuno.
Con Jane si trattò, paradossalmente, pure di fugare ogni suo possibile dubbio sulla mia mascolinità e virilità. E per lenire l’ulteriore cocente delusione, le chiesi molto delicatamente ed accoratamente di capirmi e di perdonarmi, mentre cercavo di consolarla dicendole che stavo ancora aspettando la donna ideale cui darmi in tutta purezza e in totale amore. Forse fece finta di capire per gentilezza di ospitalità, ma era visibile che il mio secondo rifiuto aveva aggravato il suo stato di già forte ed imbarazzante delusione. Inoltre a sentirsi così disumanamente “respinta” o “non accettata” dava l’impressione di essere frustrata pure per aver cucinato invano (cosa assolutamente comprensibile, specialmente in chi non è abituata ai fornelli). Mi dette l’impressione che io fossi stato assai crudele con lei. E sicuramente lo fui, crudele, anzi molto crudele, seppure senza volontà di esserlo (ovviamente!) … Ci salutammo quella sera con un arrivederci per il giorno dopo, come era consuetudine ormai da oltre due settimane …
Il giorno dopo, il nostro comune amico (quell’italo-americano che era stato per tanti anni loro vicino di casa a Tampa, USA, ed anche collega di studi universitari con la sorella minore di età) mi venne a dire che le ragazze erano partite per la Grecia per poi proseguire per il Medio Oriente e concludere la loro vacanza in Egitto al grande concerto di Umm Kalthum (1898-1975) la più famosa cantante di musica islamica, che in séguito avrei ammirato pure io a motivo del “Pop-Islam”. Lasciavano i saluti a me e a Sarino, ma non potevano (o non volevano?) salutarci di persona perché partite troppo presto, prima dell’alba! … Ci rimasi male, perché mi sarebbe mancata molto questa sincera amicizia internazionale, cui avevo cominciato a farci l’abitudine e che avrebbe potuto continuare molto utilmente per la mia formazione, nonostante la lontananza americana.
Ci rimasi male in modo particolare perché questo amico mi confidò una cosa che ancora non sapevo di lei. Si era appena separata dal marito ed era partita in vacanza per l’Europa e i Paesi Arabi mediterranei per lenire il dolore del divorzio coniugale (probabilmente era stata lasciata). Chissà cosa era successo davvero con il marito … quasi sicuramente fare l’amore con me poteva significare per lei un sollievo da quella sofferenza matrimoniale pure dal momento che c’era dialogo e grande simpatia tra noi e, quindi, non sarebbe stata soltanto un’avventura unicamente sessuale. Mi rendevo conto che, nel mio eccessivo ed intransigente idealismo (tipico del fondamentalismo cattolico), avevo aumentato la sofferenza di una donna la quale, in fondo, chiedeva un po’ di amore e di affetto … forse un conforto umano, attraverso momenti di sesso e di amicizia, con il dormire teneramente insieme, lo stare insieme delicatamente. Cominciavo a pensare che pure il sesso senza impegno poteva essere, tra tanto altro, “cultura” (confronto, scambio di modi di dire, fare, sentire)!…
L’esperienza di questo mio duplice rifiuto mi ha sconvolto davvero tanto, anche per il contesto in cui era maturata. Sono certo che tale duplice rifiuto ha cambiato la mia vita molto più che la sua. Sicuramente è stato più determinante per me che per lei, alla fine! … In effetti, devo essere apparso davvero molto crudele … in fondo chiedeva un reciproco scambio di tenerezze e di delizie sessuali!… Ne soffrii assai pure io per essere stato motivo di grande sofferenza. A nessuno fa piacere essere respinto, rifiutato, specialmente in amore!!! … Riflettendo sui bellissimi giorni trascorsi comunque con questa sensibile ragazza americana, ma anche e soprattutto sul triste epilogo di questo nostro pur meraviglioso incontro, ho cominciato a riflettere parecchio sulla migliore considerazione dell’amore uomo-donna come esaltazione della gioia ed anche per lenire le situazioni di sofferenza e di disagio. Dopo un paio di mesi scrissi a Jane chiedendole scusa e facendole mille complimenti. Mi rispose la sorella per lei, la quale, evidentemente, non mi aveva perdonato!… Aveva ragione a non perdonarmi, mentre io promettevo a me stesso di non ripetere mai più questo immane, disumano e doloroso errore. Tanto spaventoso che non si poteva perdonare. Vissi con il rimorso per lungo tempo e ancora adesso, credimi, al solo pensarci sento che la mia ferita non è ancora rimarginata completamente.
Cominciavo a capire che, in fondo in fondo, l’incontro sessuale (fare semplicemente sesso oppure fare l’amore anche senza profondi e grandi sentimenti, senza solenni promesse ma già soltanto delicatamente con semplicità e tenerezza) può essere persino “terapeutico” ed “altruistico”, anche senza un impegno esistenziale ben determinato, come la tradizione cattolica e familiare allora imponevano (ed esclusivamente a scopi matrimoniali). Bastava il desiderio per essere felici!… Bastava accettarsi! … A pensarci bene, il mio rifiuto poteva configurarsi come altra forma di egoismo, di considerazione umana e persino di mancanza di “carità cristiana”. Ecco, pensai proprio questo … alla vera “carità evangelica” espressa in forma sessuale ed affettiva … a quella carità che viene incontro ai “bisognosi” … in fondo il cristianesimo era tutto fondato sull’amore!… E che cosa è concretamente l’amore?… io avevo fatto soffrire una donna cui avevo rifiutato la mia tenerezza … Cosa mi sarebbe costata un po’ di reciproca tenerezza?!… Fui assalito da mille dubbi e da infinite riflessioni a riguardo. Mi sentivo un mostro! … E tutto ciò era diretta conseguenza della (cattiva e inadeguata) educazione non tanto familiare quanto cattolica-catechistica di tipo intransigente e fondamentalista, chiusa. Tutta questa mia macerazione interiore era troppo grande e condizionante … e sarebbe durata altri due anni prima di riuscire a risolverla finalmente, definitivamente e felicemente nell’estate 1973 con il ritorno all’amore!
Ne venne comunque fuori un distillato nella forte e netta convinzione che innanzitutto … l’amore non deve assolutamente far soffrire!… L’amore deve essere gioia, amicizia, crescita matura e vicendevole. Ed io avevo conosciuto questa gioia a Kardàra!… Nella mia Kardàra mi ero arricchito enormemente di tutti questi esaltanti sentimenti. Oggi reputo di avere avuto una grande fortuna nell’essere stato “precoce” nella conoscenza amorosa a Kardàra, visto e considerato che poi l’incontro con il cattolicesimo (per come gestito dai francescani di Badolato Marina e dai salesiani di Soverato) è stato deleterio alla prova dei fatti, almeno riguardo la mia evoluzione psico-sessuale. Evidentemente l’attesa del grande ed unico amore mi aveva, paradossalmente, inaridito. A proposito della gioia del sesso, tornato nell’estate 1973 al sesso e all’amore, ho studiato attentamente assieme alla donna con sui stavo proprio “La gioia del sesso” un bel libro di Alex Comfort appena stampato pure in Italia e uscito negli USA nel 1972, ancora oggi assai utile alle coppie di qualsiasi genere. Non mi sono comunque mai pentito dei miei lunghi anni della castità adolescenziali, anche se – devo ammetterlo – sarebbe stato meglio seguire un percorso evolutivo più continuo ed equilibrato. L’importante è avere poi recuperato i valori, le dimensioni e le verità attraverso le verifiche approfondite e oneste del mio vissuto. Ritengo di poter affermare con grande serenità che … per sbagliata o giusta che sia, questa è la vita mia! E ancora oggi posso confermare che (in una età considerata conclusiva dell’esistenza) ho accettato molto bene questa mia vita, nonostante le scelte operate a fronte delle tante possibilità avute, poiché si resta comunque felici quando si sceglie almeno con animo sincero, puro e con slancio ideale, senza rammaricarsi di ciò che non si è scelto o vissuto.
Dopo la vicenda con Jane, ripensai a quando ero bambino e ascoltavo spesso conversazioni tra donne e donne, tra uomini e uomini … quando a Kardàra si riferivano al comportamento di alcuni uomini e di alcune donne che “facevano del bene” a donne o a uomini rimasti soli (per vedovanza, emigrazione, ecc.). E quel fare del bene era riferito allo spegnere il fuoco del desiderio e del sesso, prestandosi a donarsi sessualmente, episodicamente (quasi un “pronto soccorso” diremmo noi, oggi) oppure per più volte. Non era prostituzione, ma fare del bene. Carità! … Carità, come dare del pane ad un affamato, da bere ad un assetato o una parola di conforto e di speranza a chi è afflitto e sconsolato. Dare considerazione umana! Sì, quegli uomini e quelle donne usavano spesso la parola “carità” consolatoria. A sentire loro, erano fondamentalmente stimate le persone che si prestavano a fare, gratuitamente, la carità sessuale soprattutto perché – dicevano in quelle conversazioni – evitavano che le persone finissero in manicomio, travolte dalla solitudine. Ma come, mi chiedevo quando ero bambino ed ascoltavo queste conversazioni degli adulti, si può finire addirittura in manicomio senza amore e per la troppa solitudine?!…
La solitudine!… E allora mi ricordai pure di quando, bambino di 5-6 anni, ero solito frequentare (portato dalle mie sorelle) il cortile della casa dei coniugi insegnanti Nicola Caporale e Francesca Cuppari (situata in Via Garibaldi 26 sopra le aule della appena costruita e non ancora inaugurata scuola elementare della neonata Badolato Marina). Non essendoci ancora un centro di sana aggregazione nel nuovo paese (la chiesa e la canonica, infatti, erano in fase di ultimazione), questa benemerita famiglia, specialmente attraverso le figlie più grandi (tra cui, principalmente, Luisetta destinata in seguito ad avere un ruolo fondamentale e determinante nella sana aggregazione parrocchiale), accoglieva chiunque volesse trascorrere il pomeriggio domenicale in compagnia, allegramente e serenamente. In quei pomeriggi, si conversava, si giocava e si cantava pure, tutti insieme, utilmente, serenamente, gioiosamente, in amicizia. Una di quelle canzoni mi restò impressa nella mente proprio perché incitava a fuggire dalla solitudine con questi versi …
La solitudine si deve fuggir
si deve fuggir …
con le compagne bisogna gioire
con le compagne bisogna gioire!
Sì, la solitudine è male assai deleterio e può nascondere trappole nefaste per chi (individuo o comunità) si chiude in sé stesso. L’avrei capito con gli anni, specialmente nel periodo delicato dell’adolescenza. E, a Kardàra, ho notato che una delle cause della solitudine, dell’emarginazione, dell’auto-escludersi dalla società era la miseria, la povertà estrema … “u bbisognu” (il bisogno) come sentivo dire a Kardàra quando … “a fammi parrava cull’angiali!” … quando la fame parlava con gli angeli!… Ecco, il bisogno!… Lo stato di bisogno, lo stato di necessità! … Il bisogno (mi avvedevo in quel giugno 1971 dopo l’imperdonabile torto fatto a Jane) non era soltanto economico, ma poteva essere anche affettivo, morale, psicologico e, quindi, anche sessuale. Mi andavo convincendo, dopo Jane, che l’amore sessuale non poteva e non doveva essere considerato “peccato” specialmente se riusciva a sconfiggere il male assoluto che è la solitudine, ma pure se riusciva semplicemente a placare e a non far soffrire le persone!… La mia nuova Kardàra, nata nel 1971 dalla notte trascorsa con “i senza casa” (barboni, clochard, homeless) della Stazione Termini e dalla vicenda con Jane, era ormai costituita ed abitata dai sofferenti, da chi avesse “bisogno” delle basi essenziali dell’esistenza più dignitosa, serena e possibilmente felice. Più in là, nei decenni, avrei conosciuto il mondo degli handicap (dei diversamente abili, degli impediti, dei malati, ecc.) e di altre categorie che praticamente vivevano quasi senza diritti umani e sociali, tanto meno senza diritti sessuali. Perché sì, la Natura ci dice, sottovoce, che il sesso, l’amore (anima e corpo) è un diritto. Un diritto da agevolare, da rendere fruibile, poiché tutti (sani e malati) abbiamo la medesima sensibilità, i medesimi sogni e bisogni … i medesimi diritti, troppo spesso negati dalla corrente mentalità sociale (persino da una religione vissuta male, non autentica e non coraggiosa).
Pensavo poi che nelle comunità meridionali (pure a Badolato) era assai in uso allora (adesso molto meno) di offrire il “cunsòlu” (il pasto di consolazione) alle famiglie (parenti, compari ed amici stretti) colpiti da un grave lutto. E, allora, se si soccorre e si conforta chi ha bisogno nella povertà e nel lutto … perché non si dovrebbe confortare, portare soccorso a chi ha bisogno di allontanare la solitudine affettiva e sessuale?… Sicuramente la nostra società non era e non è ancora oggi preparata per una simile “carità” (umana o cristiana che sia), specialmente nel “lutto sessuale”. La solitudine può essere un lutto permanente. E il più delle volte la solitudine è derivata da una grave carenza di amore, di rapporti affettivi di vario genere (non soltanto di natura sessuale), specialmente sentimentale e spesso pure di identità sociale.
Tuttora ritengo che gran parte delle mie iniziative, realizzate nella giovinezza e nella maturità, abbiano le loro radici in quella mia infanzia di Kardàra, quando ascoltavo ed osservavo, imparando così tante cose della vita. Così, nell’ottobre-novembre 1996 in Agnone (nell’àmbito dell’Istituto di Tanatologia fondato a Badolato Marina nella primavera 1988 assieme a Vincenzo Squillacioti, Gianni Pitingolo e Gianni Verdiglione) durante il “Corso di preparazione alla morte” ho cercato di avviare una “Scuola di Conforto” rilanciata poi nel 2004 (assieme alla dottoressa Adelaide Parisi, vedova del poeta Sabino d’Acunto, vedi le pagine 393- 396 del secondo volume e la pagina 257 del sesto volume del Libro-Monumento per i miei Genitori). Ma è davvero tanto difficile fare bene il bene (pure perché ci sono differenti e a volte contrapposte sensibilità da rispettare) … a volte c’è bisogno di un coraggio sublime e, comunque, c’è bisogno di una delicatezza assai sviluppata, meglio se supportata da una cultura sociale davvero profondamente umanista ed illuminata (senza falsi moralismi) che metta al primo posto chi soffre in un modo o nell’altro. Non c’è una sofferenza che si può consolare e un’altra sofferenza che non si può, anzi non si deve soccorrere e consolare perché la morale corrente non lo permette. Ho sempre riflettuto molto su questo, specialmente dopo l’esperienza avuta con Jane in quel giugno 1971.
E, nelle tante riflessioni intrecciate in quell’estate del 1971 mi ricordai, altresì, del breve racconto “Calabria vergine” che nel 1967 mi diede da leggere il suo autore, il prof. Vincenzo Squillacioti, badolatese, zio dell’allora mio compagno di scuola Tonino Squillacioti (adesso noto psichiatra e psicoterapeuta a Soverato). Penso valga la pena riportarla qui di séguito come “Lettura parallela” alla fine di questa “Lettera n. 7 su Badolato – Capitolo quarto”, poiché è attinente al discorso che sto facendo. Infatti, dice di un uomo che si offre ad una donna per lenirne la vedovanza. E’ un episodio veramente accaduto a T. T. nel villaggio montano di Pietracupa (frazione di Guardavalle) tra gente assai vicina a Badolato non soltanto geograficamente. Dal 1967 in poi, ho tenuto sempre presente questo bellissimo ed importante racconto scritto da Vincenzo Squillacioti proprio perché legato alle conversazioni ascoltate dagli adulti a Kardàra e perché testimonia di un antico “umanesimo jonico” esistente non soltanto in Calabria, ma anche in altre civiltà nel mondo.
Infatti ho pubblicato “Calabria vergine” alle pagine 147-149 del settimo volume del “Libro-Monumento per i miei Genitori” (2005-2007) proprio evidenziando le antiche radici di tali comportamenti di “carità carnale” o “carità sessuale” come vero e profondo, sublime e lungimirante “umanesimo jonico”. Anticamente la consolazione sessuale pare sia stata una pratica assai diffusa … mentre ancora oggi presso alcuni popoli esiste l’ospitalità sessuale … e tanti altri fenomeni simili. Da quel fatidico giugno 1971, a sèguito del grave trauma psicologico avuto per il mio ripetuto rifiuto a Jane, ho cominciato a studiare i costumi sessuali dei vari popoli, avvicinandomi pure alla sessuologia (che in Italia muoveva allora i primi timidi passi) e alla letteratura antropologica e psico-medica che mi illuminasse su ciò che, pure scientificamente oltre che umanamente, fosse più giusto fare in situazioni simili.
Infatti, sulla “carità carnale” c’è tutta una letteratura antica e moderna. In particolare, è assai ricco di tale argomento (o “eresia”) l’intero periodo dell’Inquisizione imposta dalla Chiesa cattolica (dal Concilio Lateranense terzo nel 1179 in vari tempi, modi e luoghi fino al 1834 cioè ben 655 anni di terrore para-militare-poliziesco-religioso). Un esempio emblematico è quello della suora molisana Giulia Di Marco, svoltasi nella Napoli della prima metà del 1600 e poi dolorosamente finita sotto tortura, abiura e carcere a vita (avendo evitato il rogo). Devo la scoperta di questa storia assai interessante e di questo tanto discusso ma accattivante personaggio all’amico prof. Antonio Arduino il quale, quando era direttore della Biblioteca Comunale di Agnone, ha pubblicato tale “scabrosa” vicenda nel libro “Le congreghe sessuali” (Ecig, Genova 1984) che ho recensito, fresco di stampa, per la rivista di erotologia “Eros alta cultura erotika” numero zero, nel novembre 1984. Tale mio scritto è riportato alla fine del lavoro di Arduino, cui avevo suggerito il titolo del libro. Sono sicuro e sento ancora adesso che, quasi sicuramente, l’episodio intercorso con Jane, la ragazza americana, ha avuto il suo significativo peso nella promozione e nella fondazione dell’E.W.A. (Erotology World Association) nella primavera 1984 in Agnone e nella realizzazione in questa cittadina altomolisana del primo convegno internazionale ed interreligioso su “Amore e Religione” il 4-5-6 ottobre 1985 cui ha partecipato pure il prof. Vincenzo Squillacioti, proveniente da Badolato (distante 600 km circa da Agnone).
Su ciò che possiamo definire “Carità carnale” o meglio “solidarietà umana” (o riequilibrio ed equità esistenziale) oppure “consolazione” si potrebbe scrivere un trattato (tanto il tema è sempre attuale, antico e possente). Da quel giugno 1971 di Jane mi è capitato di incontrare persone e situazioni che dimostravano come e quanto sia presente una simile attività consolatoria, effettuata silenziosamente e senza fini di lucro … quasi una segreta missione religiosa … quasi delle “congreghe” di consolazione. Pure per questo nel 1984 ho suggerito ad Antonio Arduino il titolo “Le congreghe sessuali” al suo libro su suor Giulia Di Marco (che egli voleva intitolare semplicemente “La monaca di Sepino”). Non voglio dilungarmi (l’economia di questo capitolo non lo consente) e non posso entrare in particolari, ma ho conosciuto un gruppo di donne che si dedicavano (e ancora si dedicano) a questa che può essere considerata vera e propria “arte consolatoria” (specialmente tra i veri sofferenti negli ospedali, soprattutto malati terminali, immigrati e persone sole ed emarginate).
Ed ho conosciuto (in vari tempi e luoghi) pure giovani uomini che si offrivano gratuitamente (quasi in modo rituale e sacerdotale) a donne “bisognose” di consolazione anche sessuale (e, infatti, venivano chiamati “Angeli consolatori”). Quella che possiamo indicare come “l’arte della carità” o “l’arte consolatoria” o “l’arte del conforto” ha un raggio d’azione che travalica la sfera sessuale-affettiva (pure importantissima) e raggiunge situazioni attualmente assai discusse e discutibili ma inevitabili nella civiltà umanista (dei diritti personali inalienabili) come, ad esempio, il rifiuto dell’accanimento terapeutico, persino la “dolce morte” o “eutanasia” … ma anche tutto ciò che lo “Stato sociale” aveva cominciato a delineare e che adesso lo “Stato liberista” in atto sta smantellando togliendo diritti fondamentali (come quelli socio-sanitari-economici) ai più deboli e più bisognosi. Insomma, la “Carità” è un discorso a 360 gradi che nemmeno le Religioni (grandi e piccole) concepiscono ed applicano del tutto, nonostante l’epoca dell’Illuminismo che poi ha prodotto la Rivoluzione francese del 1789 con i sacri principi (sia laici e sia cristiani) di libertà, uguaglianza, fraternità di fronte al destino umano delle persone e delle società. Tra tanto altro, si tratta pure di aiutare le persone a sopportare il grande peso della vita e … della morte.
Mi sono permesso di citare la vicenda vissuta con Jane e di fare riferimento al complesso ma necessario universo della “Carità carnale” (arte consolatoria, solidarietà umana e sociale, ecc.) essenzialmente perché attinente alla vicenda di “Badolato paese in vendita” dal momento che i paesi, le montagne, le campagne, le regioni che si spopolano avrebbero bisogno di vera arte consolatoria, di vera solidarietà umana e sociale, di riequilibrio e di equità esistenziale. “Lo stare al mondo” dovrebbe significare che i più forti, i più fortunati, i più ricchi, i più potenti (anche sessualmente), i più dotati di qualsiasi virtù dovrebbero aiutare i più deboli, possibilmente con il riequilibrare le situazioni più carenti e bisognose di equità funzionale al sistema sociale, alla sopravvivenza e al minimo benessere umanitario. Come puoi constatare, caro Tito, il tema è quanto mai complesso ed articolato … ma, per quanto complesso ed articolato, è (paradossalmente) semplice e fattibile se ognuno di noi (persona, Stato, società civile) contribuisse ad “umanizzare” lo strategico ed armonico nostro “stare al mondo”. Se poi in tale “umanizzazione” ci fosse pure vero amore divino aggiunto a quello umano sarebbe il proprio massimo. A buon intenditore …
Inoltre, non posso evitare di fare riferimento ad un altro importante aspetto della mia vita universitaria a Roma, poiché lo ritengo particolarmente prezioso per la mia formazione umana e sociale. Allora (prima e dopo il 1971 che è il mio vero esordio nella vita romana) Roma (come quasi tutte le città occidentali, piccole e grandi) pullulava di gruppi politici cosiddetti “parlamentari” (dentro l’arco costituzionale) ed “extraparlamentari” (più o meno politicamente rivendicativi, decisi e persino violenti). Il quartiere studentesco di San Lorenzo dove abitavo era pieno di questi gruppi. Già vicino a dove abitavo c’erano le sede di “Potere Operaio” e di “Autonomia Operaia” (tra i gruppi più attivi ed aggressivi della cosiddetta “sinistra extra-parlamentare”). Poi c’erano le sedi di “Lotta continua”, del “Movimento Studentesco”, di “Servire il Popolo” e di tanti altri gruppi quasi tutti di sinistra più o meno estrema, mentre i gruppi cattolici e di estrema destra erano collocati in altri quartieri (anche universitari ma di ceti ed ambienti più alti ed aristocratici). Formavano un intricato arcipelago, una vera e propria galassia! Comunque, quasi tutti distribuivano i loro ciclostilati e volantini dentro e fuori l’università. Conservo ancora centinaia di questi volantini, anche di gruppi esteri che gravitavano in ambienti universitari (comprese la mensa e la casa dello studente di Via De Lollis). Di quel periodo, probabilmente ho più volantini io che la Questura di Roma!…
Già nelle “Determinazioni del dicembre 1968” mi ero ripromesso di essere “equidistante” da tutti e da tutto, ma anche “equi-vicino” a tutto e a tutti. Perciò ho cercato di conoscere tutti questi gruppi il più possibile in piena onestà umana ed intellettuale. Ed è stato comunque importante per me leggere i loro documenti, ma soprattutto ascoltare i loro discorsi e i loro comportamenti, constatando come agivano e su quali valori umani e politici si basavano. Avevo deciso che era opportuno mantenermi “equidistante” da tutto e da tutti già nell’aprile 1965 dopo che ero diventato corrispondente da Badolato del quotidiano “Il Messaggero” e vice de “Il Tempo” poiché capivo che il ruolo di “giornalista” (come di qualsiasi altra figura pubblica o che lavori per il pubblico) imponeva un simile atteggiamento di neutralità emotiva e concettuale, per lealtà professionale ed onestà intellettuale ma anche come garanzia di credibilità verso tutti e tutto. Infatti, ho cercato, riuscendoci, a non essere iscritto ad alcun partito e nemmeno ad una semplice associazione culturale. Il senso di tale “equi-distanza ed equi-vicinanza” aumentò ancora di più da “poeta” nel 1967 dopo la pubblicazione di “Gemme di Giovinezza”. Il poeta deve amare tutti!… Indistintamente tutti!…
Un’altra originale caratteristica ebbero, per me, i primi tre anni di università. Cercavo di invogliare amici calabresi (specialmente badolatesi) di iscriversi all’Università, sperando che qualcuno di essi ne provasse gusto e continuasse fino alla laurea. Credevo fortemente nella necessità di emancipazione di noi appartenenti ai ceti umili, operai e contadini in particolare. Poi cercavo di trasmettere loro il mio grande entusiasmo per la conoscenza e la euforica felicità che provavo nel frequentare l’università, allargando la mente ed il cuore. Andavo dicendo che lo Stato avrebbe dovuto quasi obbligare o, comunque, permettere veramente a tutti i cittadini di studiare a livelli universitari, poiché ero convinto (avendolo sperimentato su me stesso) che soltanto l’università contribuiva fortemente a dare gli strumenti critici, umani e professionali per affrontare le grandi sfide del mondo e dell’esistenza, per cercare di sbrogliare i grandi inganni ideologici epocali e quotidiani (politici, religiosi, culturali, economici, ecc.). Infatti, la conoscenza (la più approfondita se fatta ed applicata bene) può fornire i migliori mezzi professionali e rendere più libere le persone che la esercitano anche dopo gli studi universitari. Qualcuno mi prendeva in giro chiedendomi se anche i contadini fossero stati tenuti a fare studi universitari. Dicevo a tutti e per tutti di sì, pure i contadini e gli agricoltori devono poter contare sulla migliore conoscenza possibile nel loro settore (peraltro così importante e strategico per la salute e il nutrimento di ognuno di noi) ed allargare mente e cuore. Non ho cambiato idea da allora. Ritengo ancora che più un popolo ha livelli di studi alti e più sarà utile a se stesso e agli altri e ne guadagnerebbe in qualità umana e sociale, poiché gli studi (se fatti bene, con animo onesto e volenteroso) aiutano a sensibilizzare la persona rendendola più buona ed altruista. Infatti, cercavo di invitare ragazzi e ragazze del mio paese e dell’interzona a “tentare” almeno gli studi universitari, approfittando delle vantaggiose agevolazioni.
Intanto, facevo loro presente che già all’atto dell’iscrizione (che era gratis) si potevano ottenere 150 mila lire (che allora erano una bella somma, poiché lo stipendio mensile di un insegnante elementare si aggirava attorno a 120 mila lire). Poi, sostenendo positivamente un solo esame a giugno, si ottenevano i restanti 350 mila lire del cosiddetto “presalario” annuale. Ho iscritto all’Università di Roma almeno una ventina di amici e conoscenti, facendo per loro le lunghe ed estenuanti code alle segreterie per l’iscrizione, per il rilascio dei certificati e per quanto altro occorrente. Per molti di loro mi interessavo pure sull’esame da fare, sulla prenotazione, nell’ospitarli a casa, nel pagar loro la mensa, nel verificare se ci fosse il mandato di pagamento in banca.
Insomma preparavo per ognuno il cosiddetto “piatto pronto” sperando che qualcuno di loro s’innamorasse degli studi e proseguisse fino alla laurea. Purtroppo quasi nessuno (una volta prese le sole 150 mila lire o l’intero pre-salario di 500 mila lire annuali, dopo un esame fatto) ha inteso proseguire negli studi. Dico “quasi” perché, in verità, soltanto uno di quelli da me sollecitati continuò gli studi e, per fortuna, riuscì pure a laurearsi (diventando poi dirigente in un ente pubblico). Comunque uno su venti (cioè il 5% dei miei accorati tentativi e sofferti sforzi) era troppo poco, non bastava e mi amareggiai tanto che, negli anni seguenti, non esortai più alcuno a iscriversi all’Università. Avevo fatto troppi sacrifici personali, togliendomi tempo e denaro. Mi sembra, poi, quasi inutile il solo accennare qui che dopo tutto ciò che ho fatto per loro … proprio “a piatto pronto” … non soltanto non ho avuto il pur minimo gesto di gradimento e di riconoscenza (nemmeno un caffè-caffé al bar o a casa) per tutte le mie fatiche e il mio affettuoso impegno … ma da alcuni ho ricevuto persino male per bene nel corso degli anni seguenti!!!…
Da sempre ed ancora adesso, ritengo che è la propria coscienza il miglior premio per il bene fatto … perciò non mi aspetto davvero nulla e niente da nessuno … però, umanamente, un segno di riconoscenza (anche verbale) è gradito pure per capire come e quanto un nostro gesto sia stato utile ed accettato. L’indifferenza anche emotiva (o la “strafottenza”) è deleteria nei rapporti umani. Per cui avrei gradito e, sinceramente, era lecito attendersi dai miei beneficiati un semplice e cordiale cenno anche formale di riconoscenza, non tanto di gratitudine (a questa non ho mai pensato nemmeno lontanamente). Inoltre, c’è nella nostra cultura badolatese e calabrese un “sigillo” naturale nell’amicizia che è il caffè-caffè al bar (non il caffè inteso come regalo di vario genere … fino alle famigerate bustarelle). Un semplice caffè-caffè (al bar o a casa), come è in uso da noi, pure come segno di rispetto e di reciprocità.
Ecco “reciprocità” è la parola giusta in simili situazioni. Non c’è reciprocità (salvo eccezioni) o pochissima “reciprocità” nei rapporti umani e sociali. Appare chiaro che coloro i quali non adottano la riconoscenza o la reciprocità tendono a “sfruttare” o ad “approfittare” e persino ad “abusare” della gentilezza e della disponibilità di chi è stato generoso ed altruista, anche più volte. Ho notato che la reciprocità e la riconoscenza sono valori (ancora adesso) assai carenti sia a Badolato e sia ad Agnone (che, ripeto, sono paesi speculari). Ho ancora in mente di scrivere un elenco (sempre se avrò salute e fortuna) delle situazioni più significative in cui, avendo fatto davvero tanto bene rimettendoci molto di mio, non ho ricevuto né un grazie né tantomeno un caffè-caffè. Infatti, il titolo di questo opuscolo dovrebbe essere “Nemmeno un caffè” oppure, più simpaticamente, proprio “Caffè-Caffè”. E sì che io, tra tanto altro, di caffè-caffè veri (a parte piccoli e grandi favori) ne ho offerti all’infinito (caffè di cortesia, caffè di benvenuto, caffè di amicizia, caffè di addio, ecc.). Più di una persona mi ha detto “Devi tu ringraziare noi che accettiamo i tuoi caffè” e un’altra “Tu dici che è piacere tuo offrire il caffè!…” Paradossale, noh!? … pure perché nessuno di questi ha o sente il piacere di offrirlo a me un caffè-caffè?!… Vorrei scrivere e pubblicare tale opuscolo soprattutto per onorare coloro i quali (molto pochi, in verità) hanno invece onorato (con un vero caffè-caffè o con altri piccoli simbolici doni, come segno di riconoscenza) i piccoli o grandi favori e servigi che ho loro fatto, sempre e comunque gratis, volontariamente e con la gioia di essere e sentirmi utile. Come spesso affermo, non faccio mai di tutta l’erba un fascio e ripeto continuamente “salvo eccezioni” … e meno male che ci sono le eccezioni, nel bene e nel male, altrimenti il mondo sarebbe completamente perso!
Ho sempre ed ovunque detto e scritto che il “salario di un intellettuale” o di un entusiasta idealista o di un irriducibile altruista (come me) è semplicemente la riconoscenza morale. Infatti, non mi aspetto alcun tipo di dono o di vantaggio, felice come sono di rendermi utile. Fatto sta (ed è questa la mia lamentazione) che frequentemente ricevo male per il bene fatto! Cosa che non riesco a capire, in una società “normale”. Non vuoi essere riconoscente per il bene ricevuto?… ma almeno non ripagare con il male!… Misteri della natura umana!… E mi permetto di fare questa “antifona” … pure nell’àmbito di “Badolato paese in vendita” quando, dopo tanto bene, ho avuto in cambio tanto male fino all’esilio … io che tanto e tanto ho sempre amato il mio paese!… proprio a me, l’esilio?!…
Comunque, nonostante le cocenti delusioni già sofferte in anni precedenti, pure in questi primi tre anni universitari (novembre 1970 – giugno 1973), la mia libera disponibilità ed il mio “altruismo vocazionale” non conoscevano sosta né confini (indotto come ero in ciò, oltre che dal mio carattere e dalla mia natura, pure dalle ripetute “buone” testimonianze della mia famiglia e in particolare di mio padre, dentro e fuori Kàrdàra). Ad esempio, quando partivo per Roma, ero solito chiedere io alle famiglie badolatesi se avessero qualcosa da inviare ai loro figli, studenti a Roma. Così mi caricavo di pacchi e di pacchetti e, a volte, di valigie pesanti. E temo che le due ernie inguinali sofferte e operate chirurgicamente, nonché i problemi alla mia schiena (ed altri fastidi fisici che non sto qui ad evidenziare) siano dovuti pure a quel mio troppo caricarmi di bagagli da portare, spesso, persino al domicilio dei destinatari! … Ero talmente convinto che era mio dovere fare del bene, di rendermi utile al mio popolo che non guardavo a spese, a fatiche e alle inevitabili conseguenze fisiche e morali cui andavo incontro. Non mi risparmiavo affatto, nonostante mia madre mi mettesse continuamente in guardia!… E dal settembre 1973 al marzo 1976, durante le mie lunghe assenze per fare le ricerche sociologiche a Badolato, il posto-letto (già da me sempre puntualmente pagato) era disponibile per chiunque nella casa di Roma. C’è stato chi vi ha dormito per mesi e mesi completamente gratis. Amavo tanto il mio paese e i miei compaesani che ho fatto veramente di tutto e di più (come si suole dire), nonostante fossi poi ripagato con l’indifferenza o male per bene. Ero proprio incorreggibile ed ardito in questo mio comportamento altruistico, sempre più convinto di dover e poter contribuire in qualche modo all’elevazione umana e sociale di Badolato e dintorni (cioè del mio “prossimo” a me destinato per nascita).
Infatti, i temi dell’irriconoscenza, dell’ingratitudine e del “piatto pronto” ricorrono spesso nella mia esistenza (purtroppo quasi sempre a mio danno), a causa di tanti (anche troppi) pur abbondantemente da me beneficiati. Sarà utile tener presente ciò, poiché ricorreranno frequentemente in séguito sia a Badolato di Calabria (specialmente nel corso della vicenda del “paese in vendita”) e sia in Agnone del Molise (cui ho dato veramente tanto e che è, ripeto, anche in tale aspetto una comunità speculare a Badolato). L’un paese è la verifica, la conferma dell’altro e viceversa. Forse per questo, ho poi organizzato manifestazioni di pubblica riconoscenza. Ma sembra essere stato tutto inutile e vano, poiché l’irriconoscenza, l’ingratitudine (quando non il tradimento, la beffa ed ogni altra negatività) regnano sovrani e purtroppo incontrastati, sembrano più forti della ragionevolezza. Un mondo così non potrà avere scampo, non potrà mai trovare pace e salvezza, ma accumulerà energie negative che potranno poi autodistruggerlo!
ANNO 1972
Anno assai ricco ed intenso di studio e di esperienze, di iniziative e di lungimiranze. All’Università frequento parecchie lezioni e sostengo molti più esami del richiesto. Con l’aiuto di Peppe Naimo, già patentato ed esperto di guida, e con la disponibilità della Fiat 600 di mia sorella Concetta (che la usava per andare ad insegnare nei paesi vicini), nel giugno 1972 presi pure io l’agognata patente B per la guida automobilistica. E’ stato un grande passo, come per tutti i giovani che, appena raggiunta la maggiore età, mettono la patente nell’elenco delle primissime cose da conseguire per manifestare (a sé stessi ma pure pubblicamente) la propria autonomia, libertà, indipendenza proprio da … adulti responsabili.
A luglio e ad agosto 1972 con gli Euro Universal rimanevo fisso al Lido “Il Delfino” per fare (sempre gratis) l’animatore culturale, specialmente nell’àmbito della seconda edizione dell’Agosto Universitario. Qualche volta gli Euro Universal si esibivano in feste di piazza e verso la fine di luglio ci chiamò il proprietario di un neo-stabilimento balneare di San Sostene (a 8 km da Badolato Marina) per intrattenere la grande folla intervenuta per il concerto che avrebbe tenuto attorno alla mezzanotte il grande cantante reggino Mino Reitano, accompagnato dai fratelli, tanto osannato allora a livello nazionale e un mito per noi calabresi. Fu una serata-nottata memorabile. La mattina dopo, sul tardi, andammo all’Hotel degli Ulivi a Soverato a salutare i fratelli Reitano, cui chiedemmo consigli su come fare per poter incidere un disco pure noi Euro Universal, avendo già composto parecchie canzoni. In verità ci aspettavamo qualche utile suggerimento, pure per solidarietà calabrese, ma loro si limitarono a spiegarci (molto utilmente per noi) come si fanno le canzoni, poiché avendo ascoltando un paio delle nostre le ritenevano insufficienti a sfondare nel difficilissimo campo della cosiddetta “musica leggera”. In verità, rimanemmo un po’ delusi, ma poi abbiamo capito che eravamo stati fortunati non soltanto ad essere ricevuti ma anche a dedicarci un’ora del loro preziosissimo tempo. Probabilmente ci dettero retta e confidenza proprio per solidarietà calabrese. In sèguito fui loro riconoscente per questa gentilezza. Infatti altri grandi cantanti non calabresi, in seguito, si limitarono a concederci soltanto un autografo e niente più, non ci fecero nemmeno aprire bocca. E, unica eccezione che conferma la regola, soltanto Orietta Berti (che in quegli anni era all’apice del successo) si era resa disponibile a cantare le nostre canzoni, lasciandoci i contatti personali della sua casa in Emilia dove avremmo dovuto andare a farle ascoltare a lei e al suo staff artistico. Ma, in verità, abbiamo dovuto desistere poiché non avevamo soldi a sufficienza per affrontare un simile viaggio di quasi 1200 km, nonostante io personalmente avessi ancora gratis i biglietti del treno, per via di mio padre ferroviere (sebbene in pensione).
Nel luglio 1972, qualche giorno prima dell’arrivo di Mino Reitano, a noi Euro Universal scadeva l’ultima delle tante cambiali del prestito che avevamo contratto con alcuni gentili e generosi amici per pagare le spese e le strumentazioni più adeguate allo scopo di fare il viaggio ad Assisi quel 4 ottobre 1968. Eravamo in bolletta tutti, essendo chi studente e chi disoccupato, mentre con il ricavato degli spettacoli che facevamo spesso non riuscivano a coprire le spese (c’era pure allora chi sfruttava i giovani o ci speculava o non pagava affatto). Allora presi la spiacevole ed ardita decisione di “vendere” la mia barba ed i miei capelli ad un amico geometra (imprenditore edile) che non finiva mai di dirmi di tagliare i miei troppo lunghi capelli e la mia troppo lunga barba. Il geometra non poteva soffrire i “capelloni” (come venivano chiamati coloro i quali, in quegli anni, seguivamo la moda proveniente dall’Inghilterra e che nel resto del mondo era simbolo di contestazione socio-politica-culturale ma anche di libertà e di identità giovanile). Così cedetti. E, per 15 mila lire (allora era il prezzo che uno studente pagava al mese in Roma per avere un posto-letto dove almeno dormire), in pubblica spiaggia, in mezzo ad una gran folla di bagnanti, sotto le forbici ed il rasoio del maestro barbiere Peppino Repice di Badolato Marina, fui rasato “a zero” (cioè completamente) testa e viso. Mi sentivo un passerotto spelacchiato, ma per amore della musica e dell’arte tutto era giustificato e sopportabile (pure le amabili derisioni e i simpatici ma ironici sberleffi). Le 15 mila lire furono sufficienti per estinguere il debito dell’ultima cambiale e per tirare un gran respiro di sollievo!… Il geometra girò pure un filmino della sua vittoria-trofeo sul più tenace dei “capelloni” di tutta la riviera jonica!…
Dopo l’audizione alla RCA del 24 ottobre 1971, per tutto il 1972 con gli amici del complesso “Euro Universal” sono impegnato nella ricerca di nuove sonorità e mi avvalgo dell’esperienza musicale popolare badolatese per trasformare in chitarra solista la chitarra battente (usata quasi esclusivamente come accompagnamento musicale). Ne otteniamo suoni arabeggianti. Nelle canzoni popolari badolatesi e dell’estremo sud Italia c’è un qualche retaggio culturale e musicale arabo-islamico, per cui battezzai “Pop-Islam” il genere musicale che stava uscendo fuori (una miscela di sonorità occidentali ed orientali). Durante la seconda edizione dell’Agosto Universitario 1972, al solito Lido Il Delfino (dove avevamo il nostro quartiere generale estivo) ne fornimmo un esempio, mentre preparavamo le foto da accompagnare a questa proposta per il secondo provino alla RCA Italiana di Roma, fissato per il 15 gennaio 1973. Infatti, “Il Giornale di Calabria” di mercoledì 30 agosto 1972, alla pagina 4, ha dedicato un lungo e importante articolo con foto, intitolato “Il complesso degli Euro Universal lancia un nuovo sound – GLI UNIVERSITARI CALABRESI HANNO INVENTATO IL “POP-ISLAM”. Tale “notizia” è stata poi variamente riportata da riviste e quotidiani regionali e nazionali con nostra grande soddisfazione. Infatti, a Roma mi sono fatto il giro delle redazioni più importanti, mentre per lettera avevo inviato la documentazione del “Pop-Islam” alle redazioni delle altre città, come Milano. Questo della divulgazione alla stampa tra l’autunno del 1972 e i primi mesi del 1973 è un fatto da tenere presente anche come metodo adottato poi per il lancio di “Badolato paese in vendita”. Infatti, questa vicenda del 1986-88 non nasce all’improvviso o dal caso ma ha un suo retroterra preparatorio che è cresciuto, si è evoluto e si è sviluppato anno dopo anno.
L’anno 1972 significò, per me, pure il lancio della proposta di realizzare il Consorzio Turistico “Riviera degli Angeli” tra i comuni della costa jonica tra Monasterace e Soverato e gli adiacenti comuni montani delle Serre. Cominciai con un invito ai miei concittadini badolatesi ad intervenire al Bar-Ristorante “Tre Ancore” (che era il luogo di riferimento e di aggregazione mia e di tutti i miei amici, tra cui gli “Euro Universal” che spesso suonavano in questo locale gestito dalla famiglia detta dei “Solesi” del nostro amico d’infanzia Pietro Criniti).
La prima riunione si è svolta martedì 31 ottobre 1972 pomeriggio. Vi parteciparono una trentina di persone (quasi tutti giovani), poiché l’unico adulto intervenuto fu un insegnante elementare badolatese, il prof. Vincenzo Squillacioti (lo stesso che, zio del mio compagno di liceo e vicino di casa Tonino Squillacioti, mi aveva dato nella primavera 1967 il racconto “Calabria vergine” che riporto alla fine di questa lettera). Costui fu da quel pomeriggio uno dei miei migliori amici con cui collaborare per il bene di Badolato e dintorni. Mi fu particolarmente vicino pure durante il biennio della vicenda di “Badolato paese in vendita” ed anche dopo, nel mio esilio agnonese. Dal 1994 dirige il trimestrale (poi divenuto quadrimestrale) “La Radice” che, con una media di quasi duemila copie, raggiunge numerosi badolatesi (e amici di Badolato) disseminati nei cinque continenti. Ma tante altre sono le belle e utili iniziative sue personali e de “La radice” a favore del nostro paese natìo e dell’interzona. Lui mi ha più volte amabilmente “rimproverato” che è “colpa” mia se dal 1994 si impegna così tanto per Badolato, poiché l’avrei indotto io (con i miei input, le mie sollecitudini, il mio stesso impegno ed esempio). In effetti, a parte tutto, l’idea di una rivista per i badolatesi residenti dentro e fuori i confini comunali era stata da me avanzata già nel 1982 (cioè ben 12 anni prima de “La radice”) quando presentai all’allora Amministrazione comunale il progetto-proposta di “Chi resta” una rivista cartacea come strumento di informazione e di dialogo con e per i cittadini badolatesi ovunque abitassero. Ma ne tratterò a suo tempo.
Così, quel pomeriggio del 31 ottobre 1972 al bar che oggi si chiama “Solesi”, dopo aver esposto il mio progetto-proposta e dopo aver dialogato per più di un’ora con molti dei presenti, ci siamo soffermati io, il prof. Squillacioti ed alcuni altri (tra cui i miei più stretti amici) per redigere l’invito il cui testo riporto qui di seguito in modo integrale ma non nella forma grafica presente nel ciclostilato poi distribuito in centinaia di copie nei tanti paesi che formano l’interzona badolatese della costa jonica e delle montagne delle Serre. Stampammo tale invito con il ciclostile parrocchiale di padre Silvano Lanaro, sempre gentile a metterci a disposizione quanto possibile per il bene della zona. Per tutta la giornata del primo novembre 1972 (festa di tutti i Santi e, quindi, vacanza scolastica), con la Fiat 600 di mia sorella Concetta, io alla guida e a bordo tre fedeli amici d’infanzia, di adolescenza e di giovinezza (Pietro Criniti detto Solesi, Giuseppe Cundò detto Savìno e Raffaele Ermocida detto Suriciaru) andammo per tutti i paesi tra Squillace e Riace a distribuire la lettera-volantino-ciclostilato di invito alla riunione di domenica 05 novembre per l’avvio operativo della “Riviera degli Angeli”. Ecco, quindi, il testo dell’invito che (a parte tutto) rappresenta un documento (anche concettuale e metodologico) assai importante per la storia locale, non soltanto badolatese, e uno dei tantissimi attestati d’amore da parte mia per Badolato, per l’interzona e per l’intera Calabria!…
COMITATO PROVVISORIO VALORIZZAZIONE “RIVIERA DEGLI ANGELI – INVITO PERSONALE PER LA RIUNIONE CONSULTIVA E PREPARATORIA DI DOMENICA 5 NOVEMBRE 1972 ALLE ORE 9,30 NEL SALONE DEL BAR-RISTORANTE “TRE ANCORE” IN BADOLATO MARINA, VIA NAZIONALE – Tel. (0967) 81027
Ai Sigg. SINDACI, A tutte le AUTORITA’, A tutti gli OPERATORI ECONOMICI ED INDUSTRIALI, A tutti i COMMERCIANTI-ARTIGIANI-AGRICOLTORI, A tutte le IMPRESE TURISTICHE, A tutti gli INSEGNANTI-ARTISTI ED INTELLETTUALI, A tutti i GIOVANI
Prendendo spunto dal fatto che nelle Marine di S. Andrea, Isca, Badolato, S. Caterina e Guardavalle esistono feste patronali dedicate ad Angeli, abbiamo pensato di trarre una denominazione comune all’intera costa jonica compresa tra Soverato e Monasterace fino alle zone interne delle Serre, per una maggiore valorizzazione turistica, culturale, industriale e sociale in genere. Nella riunione-convegno di oggi, 31 ottobre, si è sentita da tutti l’esigenza di trasformare questa zona in un’AREA DI SVILUPPO con la denominazione comune di “RIVIERA DEGLI ANGELI” per diffonderla in tutt’Italia e anche all’Estero con l’aiuto della stampa, di grandi agenzie turistiche con interessi internazionali e specialmente con i nostri emigrati, promuovendo l’interesse turistico della zona e dei nostri prodotti reputati singolarmente ottimi ma che non hanno la dovuta notorietà su vasta scala. Si è sentita, altresì, l’urgenza di chiamare tutti Voi, che siete le categorie più qualificate e rappresentative, ad un confronto di idee e di vedute per dare un reale avvio a tale valorizzazione ed esaminare le prospettive più immediate.
Perciò, ci incontreremo tutti al salone del Bar-Ristorante “TRE ANCORE” per discutere e per trovare il modo di formare un vero Comitato zonale che coordini le iniziative proposte dagli intervenuti ed organizzi tutte le pratiche più urgenti di tale valorizzazione. E’ irriducibilmente impellente cercare di unire i Comuni dell’intera zona in un Comprensorio di sviluppo in tutti i settori produttivi, in particolare turistico ed economico, per far fronte all’imponente concorrenza di altre zone, anche vicine. QUI SI TRATTA DI FAR SOPRAVVIVERE LA NOSTRA STESSA ZONA ! Allora Vi aspettiamo improrogabilmente DOMENICA 5 NOVEMBRE 1972 ALLE ORE 9,30 A BADOLATO MARINA. A presto! Salutissimi. Il Comitato Provvisorio Ciclostilato in proprio 31-X-72
Alla riunione di domenica 05 novembre 1972 al Bar-Ristorante “Tre Ancore” di Badolato Marina intervennero parecchie persone (tra cui alcuni sindaci) dell’interzona visitata, capillarmente tutta, quattro giorni prima. Si convenne di costituire effettivamente un Comitato Provvisorio sotto la guida del prof. Antonio Anoja (preside della locale Scuola Media Statale), cui venne affidato l’incarico di scrivere una bozza di Statuto da approvare nella riunione seguente.
Non mi voglio dilungare, poiché nell’economia di queste lettere basta sapere che l’iniziativa andò a finire male, dopo qualche mese e ripetute riunioni, per il palese sabotaggio del Partito Comunista (che sia stato badolatese soltanto o provinciale ha poca importanza). Sta di fatto che questa iniziativa che era stata accolta bene dai sindaci di alcuni paesi (così come la proposta dell’Università Popolare nell’8 dicembre 1975 e quella della vicenda di “Badolato paese in vendita” nel 1986-88) alla fin fine sono state tutte (dico tutte) sabotate unicamente dalla politica comunista che si è rivelata oscurantista … eppure il Partito Comunista di Badolato era stato il principale motore di grandi e importanti rivendicazioni per le classi più umili (operai e contadini). Queste lettere dimostreranno, tra tanto altro, che ho sempre cercato di lavorare per l’elevazione di Badolato e dintorni, ponendo questo mio paese sempre al centro di una interzona di cui poteva essere “capoluogo” efficace … mentre invece la realtà e la storia ha ampiamente dimostrato che le classi politiche di ogni colore (che si sono succedute dal 1944 in poi alla guida del Comune) hanno fatto arretrare di molto (in definitiva) un paese che era nato in modo vocazionale come posizione geo-politica al centro di un Mandamento giudiziario, elettorale e commerciale. Badolato avrebbe potuto essere “leader” specialmente nel rapporto mare-montagna (come è stato poi Soverato).
A riprova del sabotaggio della “Riviera degli Angeli” da parte del Partito Comunista (badolatese o provinciale) posso citare un episodio emblematico che mi è capitato a Roma la sera del 2 dicembre 1972. La mattina il quotidiano “Il Tempo” aveva pubblicato un importante articolo avente come titolo principale (a caratteri cubitali) nella parte superiore della pagina “Cronaca della Calabria” l’avvio della “Riviera degli Angeli”. Ne avevo acquistato numerose copie direttamente alla sede romana del giornale in Piazza Colonna e le andavo distribuendo agli studenti universitari di Badolato e interzona presenti nella Capitale. Proprio a Piazzale Tiburtino (sotto casa mia) incontrai un gruppo di amici universitari di Badolato, di Santa Caterina Jonio, di Sant’Andrea ed altri dintorni, quasi tutti iscritti alle sezioni comuniste locali. Non vollero nemmeno accettare una sola copia del giornale, quasi deridendomi e asserendo che io proponevo sempre “utopie” e che ero “l’avvocato delle cause perse”. Hanno quindi dimostrato apertamente e clamorosamente (quasi con risentimento e superbia) non soltanto avversione verso di me personalmente (come se fossi persino un nemico politico) ma addirittura contrarietà verso un Consorzio Turistico pensato a beneficio di tutti indistintamente i nostri paesi costieri da Monasterace a Soverato e dei paesi montani delle Serre. Poi, nella primavera del 1973 in una riunione dell’istituendo Consorzio, i maggiori responsabili del Partito Comunista e dell’Amministrazione Comunale di Badolato lanciarono il siluro finale contro l’iniziativa asserendo che ormai con la costituzione della “Comunità Montana” non c’era bisogno di un simile Consorzio … avrebbe fatto tutto la neonata Comunità Montana con sede a Isca Marina.
Insomma, ci avrebbero pensato i politici e gli amministratori della Comunità Montana del Basso Jonio a fare ciò che si era messo in testa di fare l’ipotetico Consorzio di liberi cittadini e di imprese socio-turistiche. In pratica, la “partitocrazia” (in particolare il Partito Comunista) non permetteva che la “società civile” si organizzasse e realizzasse un Consorzio per il bene del territorio. Infatti, nulla toglieva che tale Consorzio collaborasse con la Comunità Montana! … Anzi avrebbero potuto sostenersi a vicenda diventando più forti nel settore socio-turistico!… A distanza di 44 anni da quel sabotaggio, possiamo storicamente affermare che né la Comunità Montana né altri politici hanno governato degnamente ed adeguatamente (come era loro dovere istituzionale) un territorio omogeneo nel settore socio-turistico. Né la politica sta attualmente permettendo di crescere, affermarsi e significare alla cosiddetta “Riviera di Nausicaa” (costola nata dalla “Riviera degli Angeli” ad opera di alcuni operatori turistici di Soverato e dintorni). Ovviamente, il sabotaggio della “Riviera degli Angeli” da parte della politica partitocratica è solo uno dei tantissimi esempi da citare quando si tratta di arretratezza strutturale e culturale che io reputo “imposta” da chi, al contrario, avrebbe dovuto farsi promotore del “riscatto del Sud”. Pure per questo, ho poi concluso la mia tesi di laurea con il “Suicidio del Sud”. Ma ne riparleremo, anche perché non si tratta di suicidio del Sud soltanto ma si tratta del suicidio di un intero sistema (come le cronache di questi ultimi anni e, specialmente, delle ultime settimane stanno ampiamente e drammaticamente dimostrando).
Comunque, chi volesse sapere come si sono svolte, più analiticamente, le fasi del tentativo di realizzare la “Riviera degli Angeli” rimando alle mie “Lettere a Tito” n. 8 del 19 novembre 1912, n. 9 del 26 novembre 2012 e n. 10 del 03 dicembre 2012 (pubblicate su questo stesso sito www.costajonicaweb.it), mentre voglio evidenziare la frase di esortazione che conclude l’invito del 31 ottobre 1972 … “Qui si tratta di far sopravvivere la nostra stessa zona”. E’, questa, una esortazione assai allarmante poiché ci documenta come già nel 1972 l’interzona di Badolato (ritenuta in uno studio nazionale del 1966 la zona più depressa del già depresso Sud) aveva veri e gravi problemi di sopravvivenza. Nel 1972 siamo ad appena 14 anni dal 1986 quando, viste le condizioni di massimo degrado, ho sentito il dovere morale e civile di lanciare quell’allarme per salvare Badolato e dintorni attraverso l’appello ed S.O.S. di “Badolato paese in vendita” … prototipo per migliaia di altri paesi e luoghi spopolati e lasciati nel degrado e nell’insignificanza più ignobile!
Nonostante tutte le avversità, da allora (1973) a Badolato almeno l’idea della “Riviera degli Angeli” è sopravvissuta al sabotaggio. Infatti, la direttrice didattica dottoressa Giuseppina De Vito ha utilizzato spesso questa denominazione per alcuni percorsi scolastici nelle Elementari. Inoltre, alcuni imprenditori turistico-immobiliari hanno adottato la similare denominazione di “Costa degli Angeli” per la loro “s.r.l. – società a responsabilità limitata” (www.costadegliangeli.com) ed altri ancora (più recentemente) si sono costituiti in Associazione Operatori Turistici “Riviera e Borghi degli Angeli” (www.rivieradegliangeli.it). Purtroppo, a distanza di ben 43 anni (da quel 1972-73) quasi tutti i problemi evidenziati da quella mia iniziativa sono rimasti irrisolti, segno che quanto proposto resta ancora purtroppo valido e che non c’è chi (specialmente in àmbito socio-politico-amministrativo) intenda veramente porre rimedio (nonostante taluni esponenti della società civile lo sollecitino continuamente, pure impegnandosi come possono e con esigui mezzi economici in varie ed utili iniziative promozionali).
ANNO 1973
L’anno 1973 si apre con un’ottima possibilità per gli “Euro Universal” i quali il 15 gennaio hanno superato (con il secondo provino) l’esame musicale nella Casa Discografica più importante d’Italia, la R.C.A. di Roma. Infatti, il nuovo genere musicale del “Pop-Islam” è piaciuto al maestro Roberto Gianolio e potevamo giungere alla firma del contratto per incidere il nostro primo disco LP (long playing) con dieci-dodici delle nostre canzoni. Ma, per registrarlo avremmo dovuto stare a Roma almeno per due mesi a nostre spese. Non era facile per 6 persone (escluso me che già ci abitavo) affrontare questa avventura romana, data la nostra povertà economica e dal momento che non c’era nemmeno alcuno cui rivolgersi per un aiuto (che poi sarebbe stato quasi sicuramente e adeguatamente ripagato). A ciò si aggiunse il fatto che Peppe Naimo (per motivi che non abbiamo mai capito completamente) ha voluto lasciare il complesso. Forse avremmo potuto continuare pure senza di lui, ma Peppe era il vero “leader” trainante del gruppo, sia umanamente che musicalmente. Purtroppo la povertà (nostra e quella del nostro ambiente) ci fermò. Forse ci sarebbe voluto più coraggio e più intraprendenza. Infatti, nello stesso nostro periodo un altro gruppo formato da tre ragazzi provenienti da Palermo (Era di Acquario) superarono il provino alla stessa RCA. Rimasero a Roma ed incisero il loro primo Album. Poi non sfondarono, dopo i primi successi, però ebbero la soddisfazione di avere avuto la loro occasione e di giungere al loro disco importante di cui ancora oggi si parla sui blog internet. Forse a noi avrebbe potuto andare meglio musicalmente, vista la novità del genere “Pop-Islam” poi ripreso da altri autori e complessi musicali nazionali. I tempi cominciavano ad essere motivi per il “Pop-Islam”. Ma, purtroppo, il destino (o chi per lui) non lo permise agli Euro Universal.
Deluso ed amareggiato per lo scioglimento di fatto degli “Euro Universal” che avevo cercato di portare avanti nel miglior modo possibile con tanti sacrifici personali (anche economici), cercai di concentrarmi negli studi universitari. Inoltre, deluso ed amareggiato per il sabotaggio della “Riviera degli Angeli” non riuscivo a capire come specialmente i comunisti di Badolato fossero contrari ad una simile iniziativa … proprio loro che erano stati “leaders” delle lotte del dopoguerra … quelli che io definivo addirittura “la generazione epica” !… Ho sofferto tale boicottaggio al pari di quello dei Salesiani e del mondo cattolico nei miei confronti. Insomma, pensavo, i partiti (e specialmente quello Comunista) sono come un’altra Chiesa e non tollerano chi la pensa diversamente, ma ciò che è più grave è che “non fanno e non lasciano fare” (come si dice ancora adesso). O sono loro ad agire oppure fanno “terra bruciata” attorno. In particolare cominciavo a conoscere, piano piano, un altro tipo di dittatura … quella che poi venne definita “partitocrazia”!… In Badolato poi i due partiti maggiori, il comunista e il democristiano, esasperavano tutto e tutti con le loro diatribe inutili e in paese si parlava soltanto e vanamente di pseudo-politica … ma non in termini costruttivi, bensì in tutt’altro modo che certamente non giovava alla serenità dei cittadini e al buon governo della comunità. Volevo capire come e perché tutto questo sfacelo. Inoltre, cominciavo ad intuire che Politica e Religione erano (in fondo in fondo) “poteri paralleli” (che spesso di intersecano o si amalgamano)…. Intuivo che erano due “chiese” solo apparentemente distanti (e a volte apparentemente ostili) forse non soltanto legati, sotto sotto, da interessi comuni, bensì fortemente “alleati” anzi “saldati”. Da secoli, anzi, millenni. E troppo spesso a scàpito del “popolo” …. della mia multiforme “Kardàra”. E’ cominciato così dal dicembre 1968 in poi, e maggiormente dopo questi fatti di Badolato, il mio “disincanto” quasi totale verso religione e politica!…
Kardàra continuava però ad essere la parte più etica di me stesso … il paradigma più tenace della mia vita e del mio “iter” personale e sociale. Kardàra era diventata una realtà umana e sociale sempre più estesa. Non erano più e solo i contadini e gli operai della mia contrada di nascita in Badolato Marina … Kardàra era il “continente etico” e il “contenitore umanitario” di tutti coloro che soffrivano (ricchi o poveri che fossero), anche se, ovviamente, coloro che soffrivano di più erano i poveri, i senza, gli emarginati, gli sfruttati, i vessati, i torturati, perseguitati, martiri, ecc.! …
Ma, proprio per questo, per tale Kardàra estesa (a cominciare dal mio paese natìo) quel che mi premeva di più (a 23 anni appena compiuti) era che non potevo assolutamente rassegnarmi a non fare qualcosa di buono per l’umanità sofferente e per il mio paese (e per la sua interzona, entrambi a me assai cari), nonostante il disincanto e le prime sonore sconfitte e pesanti delusioni sociali che avevo subìto. Pensai quindi di adoperarmi a conoscere meglio l’umanità, la società e, principalmente questo mio paese, Badolato-prototipo, attraverso una serie analisi dei dati a disposizione, statistici e sociologici, per poi giungere ad ipotizzare le possibili terapie. “Badolato-prototipo” (prototipo anche del mondo-pianeta-terra) era come un malato assai grave per le tante patologie che lo affliggevano. Era necessario conoscere l’origine dei mali che lo attanagliavano per poter pensare ad una valida cura. Comunque, già avvertivo che il mio paese Badolato era prototipo principalmente del sud Italia, un territorio ed una società che stavano andando assai velocemente verso l’auto-annullamento. Era urgente intervenire!… Dovevo dare assolutamente il mio pur piccolissimo ma affettuoso ed appassionato micro-contributo!…
Così, per amore del mio paese, abbandonai l’idea di fare una tesi sul “peccato” (in Filosofia Morale) … in fondo in fondo avevo capito in linea di massima come stavano le cose riguardo ciò che andava predicando la Chiesa Cattolica, qualche altra religione ed istituzione anche apparentemente laica. Adesso mi interessava capire il come e il perché delle aspre divisioni politiche (e religiose) in Badolato e dintorni (avendo come sfondo la Calabria, il Sud, il resto d’Italia, il mondo intero). Desideravo tanto misurare il decadimento sociale e demografico che non si arrestava, né interessava ad alcuno, al di là delle liturgie pseudo-politiche e pseudo-culturali.
Perciò decisi di cambiare tesi, passando in pratica dal “peccato” morale-religioso al “peccato” politico-amministrativo. Ciò che era valido per Badolato, pensavo, poteva essere (in linea generale) valido per l’intero universo-mondo. In un primo tempo, sbagliando, chiesi di fare la tesi in Storia Moderna al titolare della cattedra, ma questi, interrogandomi sulle motivazioni del mio studio, capì che i temi erano altri e che soltanto la sociologia avrebbe potuto aiutarmi. Mi indirizzò dal prof. Franco Ferrarotti, con il quale avevo già dato il primo esame e la tesina sulla “Condizione femminile in Calabria”. Mi recai nel suo studio al Magistero (alla Galleria di Piazza Esedra, Via Torino) in un pomeriggio di calma studentesca, tanto è che Ferrarotti mi intrattenne per oltre un’ora a parlare di quel Sud che egli – mi confessava – non conosceva, pur avendo pubblicato nel 1959 il libro “La piccola città” (dati per l’analisi sociologica di una comunità dell’hinterland napoletano). “Però – mi confidò – ho affittato un’automobile a Palermo ed ho voluto risalire il Meridione per averne almeno un’idea”. Mi disse questo uno dei maggiori sociologi italiani dell’epoca (dichiaratamente intellettuale di sinistra). Non so se, dopo questa nostra conversazione, Ferrarotti (tra una lezione universitaria e l’altra, tra un salotto televisivo e l’altro) abbia trovato il tempo e la voglia di conoscere (come italiano e come sociologo) il Sud Italia ovvero una parte importante (anche se vituperata) che aveva dato il proprio sofferto contributo al “boom” economico nazionale grazie anche alla deportazione di buona parte dei suoi abitanti a beneficio del nord padano di cui Ferrarotti stesso era esponente ed espressione (pure alquanto americanizzata).
In quel pomeriggio Ferrarotti era sicuramente in un particolare “stato di grazia” e perciò apprezzai la generosità e la disponibilità con cui mi ha concesso una lunga e confidenziale conversazione, la quale (a parte il carente riferimento al Meridione) fu preziosa pure perché mi parlò del ruolo e della fatica dell’intellettuale nella società nostra contemporanea, partendo da se stesso. Concetti che mi ritrovo validi ancora adesso e persino sulla mia pelle di “animatore culturale”, di “aspirante intellettuale” e soprattutto di “eterno alunno” quale mi reputo da sempre e per sempre. Complimentandosi per l’amore che dimostravo di avere per il mio paese natìo e per il Meridione, Ferrarotti mi indirizzò ad uno dei suoi migliori collaboratori, al prof. Gianni Statera, socialista con incarichi apicali nella Rai-Radio Televisione Italiana e in altri posti di sottogoverno.
Il prof. Gianni Statera (1943-1999) era tanto magro quanto affabile e cordiale. Avevo seguito qualche sua lezione-seminario all’Università. Era preparatissimo e certamente sarebbe stato l’erede dello stesso Ferrarotti in quella Cattedra di Sociologia (poi, in effetti, dal 1991 fu addirittura Preside della neo-istituita Facoltà di Sociologia). Gli spiegai cosa avrei voluto ottenere da una tesi di laurea su Badolato e me ne assegnò il titolo: “Evoluzioni delle caratteristiche socio-economiche di Badolato nel dopoguerra”. A sua volta, Statera mi affidò a due giovanissimi assistenti universitari, il dott. Francesco Battisti e la dott.ssa Simonetta Piezzo, i quali sono stati assai gentili e amichevoli, seguendomi passo dopo passo, pure dal momento che avevo deciso di fare un lavoro ricco di informazioni e dati, per raccontare e capire il mio paese e soprattutto i problemi vecchi e nuovi che lo divoravano specialmente dal di dentro come un cancro. Ovviamente dovetti cambiare leggermente il mio “Piano di studi” rendendo triennale l’esame di Sociologia, su cui volevo dare la tesi. Le rimanenti materie che avevo scelto fin dal primo anno andavano bene, ad eccezione di due che ho dovuto sacrificare per rendere triennale Sociologia.
Tutto ciò accadeva durante il mese di giugno 1973. Un mese di grandi cambiamenti per me. Infatti, dalla tesi sul peccato sono passato alla tesi su Badolato e dall’appartamentino di Piazzale Tiburtino 28 (condiviso per tre anni con Rosario Mirigliano e poi anche con Domenico Saccà uno studente in ingegneria, suo amico dai tempi del liceo scientifico a Catanzaro) sono passato a Via dei Campani n. 26 scala B-6 in un appartamentino (molto assolato di due stanze con piccolissima cucina e piccolissimo bagnetto) dove abitavano altri amici calabresi. Subentravo ad uno studente che si era laureato e tornava a casa per iniziare la professione. A Piazzale Tiburtino sono stato bene con Sarino, che mi aveva fatto conoscere non soltanto l’ambiente della musica classica del Conservatorio Santa Cecilia ma anche grandi autori della musica sperimentale nostra contemporanea come Luciano Berio (1925-2003), Luigi Nono (1924-1990), ecc. Per tre anni sono vissuto in piena musica, giorno e notte. Ma quell’appartamentino era adatto soltanto per due persone, non per tre … motivo per il quale ho preferito io trasferirmi da questi altri amici, compagni di scuola al Ginnasio-Liceo dei Salesiani di Soverato. Pure qui, a Via dei Campani (sempre nel medesimo quartiere popolare e studentesco di San Lorenzo) sono stato talmente bene che ho tenuto questo “posto-letto”(poi divenuto camera solo per me) fino all’estate del 1993, giusto 20 anni. Ricordo che su questa stessa via, a pochi portoni di distanza, abitava con la famiglia Domenico Barbaro (mio compagno di classe al secondo liceo di Locri nel 1969), il quale poi, per matrimonio con una molisana, si è stabilito a Isernia dove ancora esercita la professione di psichiatra e psicoterapeuta, dopo essere stato per decenni direttore del Sert provinciale (Servizio tossicodipendenze). Ha dimostrato di essere un validissimo scrittore. Manteniamo buoni contatti.
Così nel giugno 1973, avuto l’argomento della tesi di laurea e tornato a Badolato per le vacanze estive, cercai di iniziare immediatamente a fare le prime ricerche, pianificando gli argomenti che avevo concordati con i miei ottimi “tutor” Francesco Battisti e Simonetta Piezzo (i quali mi avevano invitato a dare loro del “tu” chiamandoli pure per nome di battesimo). In pratica, avevo previsto tre volumi: la parte storica, la parte statistica-analitica e la documentazione fotografica. Per poter cominciare a fare le foto, andai subito a Soverato dove, sul corso principale, aveva lo studio il simpaticissimo e sempre cordiale maestro Giocondo Rudi, originario di Badolato su cui aveva un archivio di immagini davvero grande ed importante. Mi sarei avvalso di questo archivio per un buon 10% del mio fabbisogno iconografico mentre avrei realizzato io stesso le foto della Badolato di quegli anni.
Per tale motivo acquistai da lui una Yashika, costosa quanto uno stipendio mensile medio, e numerosissimi rullini per i negativi. Poi, ovviamente, sarei andato da lui per le stampe in quattro copie per ogni foto che reputavo potesse far parte del terzo volume della tesi. Si usava, allora, fare quattro copie della tesi di laurea: una per sé, una per il Relatore, una per la Commissione e una per la Segreteria. Si prospettava una spesa consistente e un tempo più lungo che per le tesi compilative, essendo la mia una faticosa ricerca sul campo. Per questa scelta più onerosa ebbi l’assenso di entrambi i miei Genitori, ai quali, poi, ho dedicato questo mio importante ma troppo sacrificato lavoro. La prima copia originale (dei due volumi narrativi) ho dato recentemente all’Archivio di Stato di Catanzaro, mentre una copia dovrebbe essere nella Biblioteca Comunale di Badolato e un’altra nella sede dell’Associazione Culturale “La radice” di Badolato Marina. Una è nel mio studio-mansarda di Agnone del Molise, assieme al terzo volume originale delle fotografie.
Oltre alle ricerche dei dati e alle foto, avrei fatto pure delle interviste fonografiche (conversando con quanti più badolatesi possibile) e mi era perciò necessario un registratore e tanti nastri (cassette) che acquistai da mio cugino Raffaele Lanciano (il quale aveva il negozio di elettrodomestici vicino casa mia, sulla Via Nazionale 91 di fronte il distributore di benzina gestito da Pietrino Squillacioti, papà del mio amico Tonino). Un borsone di cuoio nero per contenere registratore, macchina fotografica, cassette, quaderno di appunti e qualcosa d’altro … e così ero pronto per la grande avventura, che racconterò nella prossima lettera n. 8 – Capitolo quinto (luglio 1973 – gennaio 1976).
Intanto, caro Tito, ti propongo la lettura dell’illuminante racconto “Calabria vergine” scritto da Vincenzo Squillacioti quando, nei primi anni sessanta, insegnava nella scuola di montagna di Pietracupa (frazione del Comune di Guardavalle) incastonata in una valle allora ritenuta “sperduta”. Infatti era una località assai difficile da raggiungere, perché non c’era ancora una strada ma solo una mulattiera, né le poche case avevano l’energia elettrica e l’acqua. Quasi tutti gli insegnanti elementari di Badolato (per avere un punteggio maggiore, essendo sede disagiata) hanno soggiornato in questo piccolo villaggio, abitato da gente semplice e gentile che io ho in gran parte conosciuto, pure perché ci andò ad insegnare mia sorella Concetta nel 1969-70 e lì trovò il suo futuro marito, Nazareno Petrolo (1947-2007), anch’egli insegnante elementare nativo di quelle montagne delle Serre Joniche, di cui fa parte anche la vicina montagna di Badolato. Fin dalla prima lettura (marzo 1967) sono rimasto particolarmente affezionato a questo assai significativo ed importante racconto, tanto è che l’ho diffuso già da allora in fotocopia ad innumerevoli persone e (ti ricordo) l’ho voluto inserire alle pagine 147-149 del settimo volume del “Libro-Monumento per i miei Genitori” con due mie noterelle di presentazione e commento. Adesso lo ripropongo pure qui, con il recentissimo e rinnovato permesso dell’Autore, il quale ha intenzione di pubblicarlo in un prossimo futuro, assieme ad altri suoi racconti, in un apposito volume da dare alle stampe. Speriamo che appaia prima possibile!
Il racconto “Calabria vergine” è stato pubblicato per la prima volta nel marzo 1967 dal giornale scolastico “L’Arco” numero unico curato dai badolatesi Domenico Lopilato e Vincenzo Procopio, allora studenti al quinto ed ultimo anno dell’Istituto Tecnico per Geometri di Siderno (RC).
LETTURA PARALLELA
Vincenzo Squillacioti
CALABRIA VERGINE
Le giornate passavano monotone e lente. Si sperava che a primavera le cose sarebbero cambiate, ma la bella stagione si faceva quell’anno attendere. Poi saremmo andati a pescare trote nel fiume, a cogliere fragole nei boschi, a visitare gli umili nei campi. Intanto continuava a piovere, ed era giocoforza rimanere tappati in casa. Tra un bicchiere di vino e l’altro si coglieva la genuinità di quel popolo agreste.
E’ gente pressocché vergine quella che abita la zona: la nostra civiltà (?) non è ancora riuscita – non essendo ancora integralmente pervenuta – a modificare del tutto il vero volto dell’uomo.
Amore e odio sono colà allo stato ancora quasi grezzo. L’onestà nella vita non è ancora un’utopia a Pietracupa. Non c’è posto per le utopie là dove i tuguri sono sprovvisti di gabinetto e il Cristo non ha la possibilità di risorgere! L’umile gente dell’umile villaggio, pur lontana dal conservarsi ancora totalmente onesta nei rapporti umani, dà certo ai civili (?) non poche lezioni di onestà.
M’era stato raccontato di uno di quei boscaioli un gesto che, pur se non proprio raro tra gli uomini, è bello e mi piace ricordare. Trovatosi a Badolato Marina per degli affari, acquistò in un negozietto un pezzo di sapone, un filone di pane e cento grammi di mortadella. Recatosi poi a Badolato Superiore, ricordò che aveva dimenticato di pagare quanto aveva acquistato: non gli fu difficile fare il conto da sé, né trovare con chi mandare il danaro al negoziante.
Provvide e si diresse in una bettola con l’intenzione di consumare il pane e la mortadella bevendo un buon bicchiere di vino. Conosceva l’oste al quale domandò: “Saprebbe dirmi quanto si spende per acquistare un pezzo di sapone di 200 grammi, un filone di 250 grammi e 100 grammi di mortadella?”.
Avutane la risposta si allontanò chiedendo permesso e corse verso la corriera che al suo arrivo stava partendo per Badolato Marina; fermatala, con un cenno da lontano, si rivolse al conduttore: “Dovrebbe farmi la cortesia di consegnare questi dieci lire al tal negoziante, dicendogli che ho sbagliato nel fare il conto. Grazie”. Ritornò a consumare il suo frugale pasto.
Mi piaceva conoscerlo l’onest’uomo, e lo incontrai dopo qualche giorno. D’età non di molto superiore ai cinquant’anni, con folti baffi e molti neri capelli, robusto e di statura media, aveva uno sguardo dolce e mite. Rientrava dai boschi: sulle spalle uno zaino militare, a desta una scure, in tasca un numero del “bollettino salesiano”. Lo seguiva un cane. Chiacchierammo un poco. Viveva solo in casa: la moglie era andata a trovar lavoro a Milano; un figlio era già da molti anni ammogliato; una figlia viveva con la nonna.
Sa leggere e scrivere, e la lettura gli piace: quando può, volentieri abbandona per un breve intervallo la scure o la zappa per sfogliare il “bollettino salesiano”, o il “Vangelo”, o “Barba Nera”, o i “Paladini di Francia”. Gli amici sui non bestemmiano più: da lui hanno imparato a bestemmiare la “pignata vergine”. Prima che alcuni amici, seguaci di Marx, gli si rivelassero cultori della sola materia, era un acceso comunista.
Durante un successivo incontro, fra l’altro mi parlò così:
“Io credo che il male non consiste nel commettere un’azione che la gente non approva, ma nel fare cosa contraria alla propria coscienza. Incontravo molto spesso una donna senza marito: il suo uomo era morto lasciandola con due figli che ora sono piuttosto cresciuti. Mi chiesi un giorno se non fosse mio dovere concederle un po’ di compagnia: aveva conosciuto i piaceri del sesso, ed ora ne sentiva sicuramente la mancanza. Volevo farle del bene.
Partii da casa un giorno, e l’attesi ad un passaggio obbligato. Venne, difatti, e la invitai a sedere; chiacchierando le feci la mia proposta, precisando che non ero spinto al gesto da mie necessità. Per tutta risposta mi disse che mi avrebbe sbudellato: le porsi il mio coltello, ma lo rifiutò. Mi disse allora che mi avrebbe denunziato al maresciallo dei carabinieri: le risposi dicendomi pronto a pagarle la giornata perduta, e l’accompagnai, precedendola, incammino verso la lontana caserma dei carabinieri.
Mi fermò, e, come pentita, mi dichiarò che ogni donna deve agore così alla prima profferta di un uomo; aggiunse che non le sarebbe dispiaciuto accettare il mio invito. Ma io le voltai le spalle e la piantai, cercando di non incontrarla mai più: aveva rifiutato quanto le avevo offerto per farle del bene, e non mi sentivo ormai in dovere di dar pane a chi aveva dapprima rifiutato di mangiare, dell’acqua a chi aveva rifiutato di bere”.
Era ormai mezzanotte. fuori pioveva ancora. Il lime a petrolio, che rischiarava le poche carte sul tavolo, sembrava mi invitasse a desiderare che il signor Edison facesse la sua comparsa tra quella gente quanto più tardi fosse stato possibile. Sapevo, però, che dopo una plurisecolare attesa, la strada di collegamento tra Pietracupa e il mondo civile (?) sarebbe stata, dopo forse poco tempo, una tangibile realtà. E l’incanto? L’incanto si sarebbe quindi rotto, la favola sarebbe finita. L’incredibile ma vera onestà d’un uomo, anche a Pietracupa sarebbe stata un’utopia.
(fine racconto)
Caro Tito, colgo l’occasione per tornare ad esortare chi lo possa e voglia fare … di raccogliere in un volume cartaceo (ma anche e-book) tutto ciò che è stato scritto su Badolato specialmente dai non-badolatesi … “Badolato vista dagli altri” potrebbe essere il titolo di questo volume o serie di volumi (dal momento che ci sarebbe da raccogliere e pubblicare pure l’ingente mole di articoli pubblicati dai giornali di mezzo mondo nell’ultimo secolo). Penso che ne valga veramente la pena avere una immagine di insieme di quanto amore ed ammirazione abbia suscitato questo paese nel corso del tempo, specialmente negli ultimi 50 anni.
Caro Tito, grazie (ancora e sempre) per l’attenzione e la gentilezza nell’accogliere queste mie lettere su Badolato … mentre ricordo che le foto sono state prese in gran parte dal web e i loro autori (se non gradiscono farle apparire in tale contesto) possono chiederci di farle rimuovere. Buon San Valentino a tutti! Tante affettuose cordialità,
Domenico Lanciano – http://www.costajonicaweb.it/