Il ministro dell’istruzione lo scorso 6 settembre ha pubblicato il bando sui progetti di educazione alla legalità in tutte le scuole di ogni ordine e grado, scatenando l’entusiasmo di docenti e connessi. L’iniziativa, in realtà, si protrae ormai da oltre venti anni, ossia dall’inizio degli anni ‘90, quando i tragici avvenimenti di quel periodo (le stragi di Capaci e via D’Amelio, gli attentati di Milano, Firenze, Roma) fecero capire a tutti che si stava sprofondando in un baratro da cui difficilmente si sarebbe potuto uscire se non si fosse fatto qualcosa a livello d’educazione già nelle scuole primarie al rispetto delle leggi e delle regole. Per questo il Ministero della Pubblica Istruzione emanò la circolare n. 302/93 il cui obiettivo evidente era la diffusione di una cultura dei valori civili, dal rispetto della dignità a quello della libertà e sicurezza. Ma davvero da allora le cose sono cambiate? Davvero il fenomeno mafioso e delinquenziale in genere si è attenuato? Non pare affatto, anzi! L’errore di fondo sta nel confondere legalità e giustizia, laddove la prima non è assolutamente coincidente con la seconda e neppure con la morale: legalità è il semplice rispetto di regole, leggi, obblighi e divieti. Non si dice, infatti, summum ius summa iniuria? Applicare la legge rigidamente senza un minimo di duttilità e soprattutto senza attenzione alle situazioni concrete spesso porta ad offendere e negare la giustizia. A questo punto, come dice S. Agostino, “Negata la giustizia, che cosa sarebbero gli stati se non grandi bande di ladri?” (Quarto libro, cap. 4, De civitate Dei). Il contesto di questa affermazione è una scena curiosa e singolare i cui protagonisti sono l’imperatore Alessandro il Grande e un pirata da lui catturato in mare. Richiesto da Alessandro di spiegare per quali motivi corresse il mare, il pirata risponde con franchezza: “Per la stessa ragione per la quale tu scorrazzi per il mondo: solo che, avendo io poche navi, sono chiamato pirata; mentre tu che ti avvali di una grande flotta, sei chiamato imperatore”. Politici, imprenditori, uomini d’affari in genere, alla testa di gruppi e società, distraggono e s’appropriano di beni e di una quantità impressionante di denaro, spesso sfruttando “legalmente” regolamenti, codicilli e cavilli. Tra tantissimi esempi. Un pensionato di Cremona, 79 anni, che aveva rubato una salsiccia è stato condannato a 45 giorni di carcere e ad una multa pari a 11.250 euro per un furto dal valore di 1,76 euro. Il fatto è accaduto nel 2010 e la condanna definitiva è del 2015. I primi, come Alessandro Magno, rapinano e uccidono legalmente (ahi, quante guerre “legali”, oggi!) e dunque non subiscono conseguenze da parte della società civile; il secondo, come il pirata, è messo ai ferri o peggio ma…nella legalità. E’ giustizia questa? Perché dal punto di vista della qualità l’una e l’altra associazione di uomini sono la stessa cosa, essendo mancante nell’una e nell’altra la giustizia verso gli altri. “Dove non c’è vera giustizia non può esserci associazione di uomini basata sul consensuale riconoscimento dei diritti e quindi neanche un popolo, e se non c’è popolo non c’è neppure la cosa del popolo ma quella di una moltitudine qualunque che non merita il nome di popolo. Or dunque: se la repubblica è la cosa del popolo e non c’è popolo là dove non c’è associazione di uomini accomunati dal reciproco riconoscimento dei diritti, se diritti non ci sono dove non c’è giustizia, si deve concludere che dove non c’è giustizia non c’è repubblica” (S. Agostino, op. cit.). L’educazione alla legalità potrà avere davvero successo soltanto se e quando si potranno ribaltare o almeno accorciare le diseguaglianze, in uno dei paesi dove più ampia è la forbice tra ricchi e poveri, più alta è la disoccupazione e inattività giovanile. Oggi la povertà è la peggiore malattia del nostro paese, riguarda due famiglie su tre e un italiano su quattro è senza speranza nel futuro. In Italia sono 9 milioni e 563 mila le persone in condizioni di povertà relativa, cioè costrette a vivere con meno di 500 euro al mese. Rappresentano circa il 16% della popolazione ma a questi dobbiamo aggiungere 4 milioni e 814 mila persone che si trovano addirittura in povertà assoluta, nell’indigenza. Un altro dato che racconta come la miseria sia oggi sempre più avvertita è quello dei furti per fame, con centinaia di denunce di persone colpevoli di aver rubato da mangiare nei supermercati: una bistecca, una salsiccia o del formaggio per il valore di qualche euro, tanto al nord come al sud. Più grave è la miseria e maggiore è il potere dei criminali, in continua crescita anche se si vuole far credere enfatizzando la cattura di questo o quel capo mafia di aver dato colpi mortali alla criminalità organizzata. Al contrario, le mafie hanno fatto un salto di qualità, legandosi a colletti bianchi, finanza e banche, fagocitando svariati pezzi di attività produttive un tempo inimmaginabili. Le ingiustizie sociali sono un grosso ostacolo all’affermazione “urbi et orbi” del principio di legalità e se da oltre 20 anni questa “educazione alla legalità” voluta dal Miur non sembra aver sortito positivi riscontri nella società italiana, vorrà pur dire qualcosa: dove non c’è giustizia anche il iuris consensus è duro a mantenersi da tutti e dappertutto.
Adriano V. Pirillo