Dovendo trascorrere lunghissime giornate di relegazione, tra le tante cosette ripasso i classici. E guardate cosa ho trovato, nel I delle Metamorfosi di Ovidio, che traduco alla lettera:
“Prima ci fu l’età dell’oro, in cui senza autorità, / spontaneamente, senza legge, osservavano parola data e giustizia. / Non c’erano pene e timore, e scritti intimatori su pubblicato / bronzo non si leggevano, né la supplicante turba temeva / la sentenza del giudice, ma senza autorità stavano sicuri. / Non ancora, per vedere il mondo straniero, / il pino reciso dei monti era sceso nelle liquide onde, / e i mortali non conoscevano altri lidi che i loro; / non ancora precipizi e fossati circondavano le città; / non c’era tromba di dritto bronzo, non corno ricurvo, / non elmi, non spade: e senza bisogno di soldati / e tranquille le genti conducevano lieta pace. / Immune e intatta da rastrelli e mai / ferita da altari da sé dava tutto la terra, / e contenti di cibi nati senza costrizione / raccoglievano frutti di arbusti e fragole montane / e cornioli e le more che stanno sui duri rovi, / e le ghiande cadute dal grande albero di Giove. / Eterna fu primavera, e placidi Zefiri con tiepido clima / accarezzavano fiori nati senza semina; / la terra non arata produceva subito messi, / e il campo mai rinnovato splendeva di piene spighe; / scorrevano fiumi di latte, fiumi di nettare, / e biondo miele stillava dal verde leccio.
L’età dell’oro – senza Stato, senza leggi, senza delitti, senza violenza, senza storia, senza guerre, e soprattutto senza sudore – percorre i secoli; e ogni tanto ritorna, con alcuni poeti umanistici e rinascimentali (leggete l’Aminta del Tasso); con Rousseau, e alla fine con lo stesso Marx; e con i vari movimenti naturisti, di cui periodicamente sentiamo l’eco sia tra i giovanissimi nutriti a temi dalle tracce prevedibili, e comunque portati giù copiati da casa; e in intellettuali e poeti, sia in utopie buoniste, sia in tesi di decrescita felice…
Gli si contrappone non solo e non tanto un greve realismo, quando l’evidenza che una simile età dell’oro forse potrebbe garantire pace e facilità di vita; ma certo non la vicenda umana come la conosciamo, con la sofferenza e la gioia, con la storia politica e dell’arte e della filosofia e della scienza, con quella poesia che è fatta per metà di guerra e per metà di amori impossibili; con i versi e le cattedrali e le Olimpiadi.
Insomma, si scontrano due momenti archetipici dell’animo umano: il sogno di una eternità senza storia, e l’accettazione del mondo com’è: migliorabile, ma com’è.
E mica basta. Soprattutto c’è che l’età dell’oro mai esistette. Lo credevano i sognatori del “buon selvaggio” convinti che i primitivi fossero buoni, liberi e felici. Il Vico li derideva: “sformati racconti di viaggiatori per dare smaltimento ai loro libri”; ma ci volle Levy Strauss negli anni 1930, il quale, studiando i popoli non da una comoda cattedra di Parigi ma effettivamente vivendo in mezzo a loro, scrisse “Tristi tropici”, e dimostrò che i primitivi non sono né felici né liberi né buoni, e soprattutto non sono primitivi. Ma niente da fare: periodicamente spuntano i Figli dei fiori, le Grete, e Altri, i quali mostrano con evidenza di preferire il sogno dell’età dell’oro alla dura realtà; dura ed esaltante, e madre della civiltà.
Ragazzi, il 49% della poesia è guerra; l’altro 49%, amori sbagliati, o guerra per amori sbagliati come l’Iliade. L’1% restante, è la Vispa Teresa: ma, in privato, vi racconto due versioni goliardiche pure di quella.
Mai esistette, l’età dell’oro. I popoli pretecnologici, Occidente incluso, morivano a caterve per ogni minima carestia ed epidemia, altro che coronavirus; i regimi politici erano quasi tutti tirannici; le violenze… ma davvero avete dimenticato che la civilissima Europa si è svagata con due guerre mondiali in mezzo secolo; e guerre cui parteciparono quasi tutti con il massimo entusiasmo.
Oggi, otto miliardi di persone campano benino o benissimo, con qualche sempre più ristretta sacca di indigenza; le guerre sono rarissime e limitate; l’odiatissima plastica fornisce supporti a chi nasce o a chi patisce qualche danno fisico; e queste mie povere righe saranno elettronicamente lette, oggi stesso, in Australia, da dove qualcuno subito mi risponderà.
Conclusione: evviva il mio tempo; il quale ha qualche problema, ma lo risolveranno la tecnologia e il lavoro intelligente, e non certo l’ingenua attesa che la terra produca da mangiare senza opera umana. Vedi sopra.
Nota morale: non c’è nulla di più corruttevole che essere mantenuti a sbafo; e non certo tutti, ma alcuni benefattori paiono avere un disperato bisogno di poveri da assistere. Meglio sottrarre i poveri alla povertà, invece, e con l’unico modo serio: la fatica!
Corollario: la sognata e ogni tanto invocata distribuzione della ricchezza in parti uguali produrrebbe come unico effetto una settimana di Carnevale e secoli di Mercoledì delle ceneri e di fame.
Ulderico Nisticò