Si legge nei Vangeli che Gesù entra a Gerusalemme in trionfo, acclamato dalla folla, quella stessa del prossimo Venerdì del Crucifige, e in groppa a un’asina.
Nessuno si stupisce che la folla, come tutte le folle, sia mutevole, e soggetta a fenomeni di psicologia delle masse, e facilmente malleabile. Lo farebbe qualsiasi folla, lo sarà anche quella anche moderna e postmoderna e fantascientifica.
Ma l’asina… Ora sentite questa lezioncina di interpretazione di un testo letterario. Nel Mediterraneo, e in particolare nel Medio Oriente, l’asino (ὄνος, asinus-asellus) fu l’animale da soma più diffuso: robusto, paziente, versatile, poco costoso; molto più diffuso del cavallo; in alternativa, il mulo. Ancora mezzo secolo fa, qualsiasi abitante delle coste mediterranee avrebbe ritenuto normale che un’asina venisse usata come mezzo di trasporto, anche di chi non trovava adatto alle sue esigenze il più difficile e bizzoso cavallo. L’asino era una parte integrante, e comunissima, del paesaggio materiale e dell’immaginario: “u ciucciu, u sceccu, u sumeri… ” sono presenti nel detti, nelle canzoni, nel linguaggio in genere. Nessuno, due generazioni fa, si sarebbe stupito dell’ingresso di Cristo in groppa a un’asina. Oggi, qualcuno penserebbe a una papamobile?
Oggi, però, chi sente il Passio (sarebbe la Passio, ma abbiamo sempre detto in quel modo), non so se con i propri occhi abbia mai visto un asino e un basto e una bardatura e dei ferri per gli zoccoli. Oggi, un ragazzino conosce di più i dinosauri che le galline, e ancora meno le pecore.
Serve dunque una lezioncina di semantica, una spiegazione.
Ulderico Nisticò