L’Università della Terza Età continua a dimostrare che la cultura può e deve stare con i piedi per terra; e mai come venerdì 31 marzo l’espressione va presa alla lettera. È stata esposta con precisione e garbo l’esperienza di Sofia De Matteis e Raffaele Dolce, due giovani che hanno scelto come stile di vita il recupero dell’agricoltura, trovando un adeguato ambiente nel territorio di Santa Caterina Ionio.
“O fortunatos nimium sua si bona norint agricolas”, canta Virgilio, anche con sottile polemica contro l’abbandono della terra e l’urbanesimo dei suoi tempi. Anche allora c’era chi disprezzava l’agricoltura, anche oggi circolano certe “Lettere” in cui sta scritto che i contadini sono dei poveracci e gli avvocati hanno i libri in casa (ahahahahah: copertine intonate al salotto?). Serve dunque una rivoluzione… una reazione culturale, e particolarmente in Calabria, dove tantissima terra è in abbandono da decenni e decenni.
Intervenendo, U. N. ha fatto osservare che la terra è anche assurdamente parcellizzata tra eredi di non si nemmeno chi e se mai regolarizzati; e ha ribadito quello che, con consapevole autosarcasmo, chiama ESPROPRIO PROPRIETARIO: chi vuole la terra, se la pigli, con un fitto simbolico di un centesimo, che gli abbandonatori debbano obbligatoriamente accettare; e se no, tasse alle stelle.
Ma torniamo alla relazione, che ha mostrato come l’agricoltura non sia solo coltivazione di una superficie, bensì integrazione con il contesto sociale del paese, studio delle tradizioni e nello stesso innovazione.
E possa essere economia sana, puntando, secondo le attuali esigenze del mercato, non più su un’inutile anzi passiva e costosa quantità, bensì sulla qualità e quindi sulla riscoperta di alcuni prodotti di particolare squisitezza… alcuni dei quali, paradossalmente, si trovano proprio nei “margi” selvatici. Chissà se si può ripensare l’antichissima erboristeria calabrese?
Intanto la Terza Età andrà a far visita al lavoro dei due valenti giovani.
Ulderico Nisticò