Sarah Yacoubi: nonostante Salvini, sono ottimista
Nuovi italiani. Adesso li chiamano così. Uomini e donne che hanno scelto il Belpaese come patria d’adozione. Un posto in cui vivere, realizzare sogni, mettere su famiglia. Una nuova, grande “casa” da amare, insomma, e da migliorare con il proprio impegno quotidiano per renderla più ospitale e accogliente. Storie positive di una integrazione perfettamente riuscita, dunque, molto lontane dai casi di cronaca che occupano, quotidianamente e in maniera ridondante, i programmi televisivi del pomeriggio tricolore. Storie come quella di Sourour Sarah Yacoubi (nella foto). Lei è nata in Tunisia, ha studiato in Francia, vive e lavora da anni in Italia, in ambito ospedaliero, dove oggi riveste anche importanti ruoli sindacali di coordinamento. Laureata in Economia Internazionale, sfoggia, nel suo lunghissimo curriculum, un Master di secondo livello in Management delle Aziende Sanitarie. L’Italia è il suo Paese. La sua analisi del fenomeno immigrazione è lucida e senza ipocrisia.
L’immigrazione sembra rappresentare una grande sfida non solo per il nostro Paese, ma per tutta l’Europa. Purtroppo, l’opinione pubblica corre spesso il rischio di avere una distorta visione del fenomeno. Qual è la sua personale esperienza?
“L’Ue è una confederazione di Stati nazionali ognuno dei quali è padrone in casa propria salvo alcune modeste cessioni di sovranità che riguardano più l’economia che la politica. Alla sfida dell’immigrazione non erano preparati né l’Europa intera né l’Italia, nonostante tale fenomeno non sia nato oggi né tantomeno ieri. Pur volendo tralasciare il fatto che, antropologicamente, l’uomo sin dalla sua comparsa sulla terra ha utilizzato la migrazione per sopravvivere alle mutate condizioni climatiche, non si può però dimenticare che nell’era contemporanea i primi grandi flussi di immigrazione verso l’Italia iniziarono il 7 marzo del 1991 quando l’Italia scoprì di essere una terra promessa per migliaia di albanesi. Quel giorno arrivarono nel porto di Brindisi, a bordo di navi mercantili e di imbarcazioni di ogni tipo, 27mila migranti. Fuggivano dalla crisi economica e dalla dittatura comunista in Albania. Un esodo biblico, il primo verso l’Italia. In un primo momento se ne contarono 18mila, ma con il passare delle ore il numero di profughi salì a 27mila. Da allora non ci si è soffermati sul problema, credendo fosse stata un’anomalia temporanea. Oggi lo stesso fenomeno si ripropone ingigantito causa la cecità, o ancora peggio la malafede, di una classe politica che pur di rimanere in sella o riconquistare la fiducia perduta non si fa scrupolo alcuno ad utilizzare ad arte l’arma del populismo per conservare privilegi a scopi personali o acquisire consensi elettorali”.
Ultimamente in tv e, in particolare, su alcuni canali, ormai si tende a parlare di immigrati solamente quando accadono fatti di ordine pubblico. Si parla insomma di immigrati come un “problema”. Crede anche lei che ci sia un uso strumentale dei media che distorce l’analisi del fenomeno?
“La questione immigrazione viene ridotta troppo spesso ad un problema di ordine pubblico o al solo bisogno di lavoratori per mestieri che gli Italiani sembrano non voler più fare (come nel caso delle badanti). Ma se è vero che volevamo braccia sono arrivate ‘persone’ ed è ancora più vero che ‘volevamo lavoratori e sono arrivate famiglie’. Di questo non ha tenuto conto la disinformazione fornita dai grandi mass-media che preferiscono notiziare delle emergenze, trascurandone le cause che possono invece fornire una corretta percezione del fenomeno, e che hanno fatto in modo che oggi si tende a parlare di immigrati solamente quando accadono gravi fatti che colpiscono l’emotività dell’opinione pubblica. Mai come oggi, complice la politica populista che trova sempre molti adepti in sacche geografiche a scarso livello culturale, è diffusa la paura dello straniero, la sfiducia nelle sue capacità, e quell’assurdo considerarlo come ‘diverso’, solo perché appartenente a modelli etici e culturali differenti. Fortunatamente, oltre ai pregiudizi ed alle resistenze, nel nostro Paese si possono tuttavia incontrare anche inaspettate capacità di reazione positiva e di accoglienza da parte di chi ha capito che non si cresce chiudendo le porte al mondo!”.
Cosa vuol dire, in buona sostanza, secondo lei, la parola “integrazione”?
“Serve che la Ue faccia un vero e proprio salto di qualità! Occorre revisionare la convenzione di Dublino sul diritto d’asilo che consenta di praticare una buona politica dell’integrazione per poi arrivare alla politica dell’alloggio, dell’assistenza sociale e dell’istruzione, e non di chiusura di frontiere, che nasce come già detto da una visione ingenua o strumentale del fenomeno”.
Tra i migranti che in questi mesi stanno arrivando in Italia ci sono molti minori non accompagnati, almeno 4.000 nei primi sei mesi del 2015, secondo le stime di Save the Children, una vera emergenza.
“Occorre rafforzare gli strumenti per assicurare una maggiore protezione e tutela dei minori soprattutto di quelli non accompagnati. Vorrei ricordare che sono innanzitutto persone e non numeri, ciascuno con il suo fardello di dolore che a volte sembra impossibile da portare per loro ed incomprensibile da capire per noi che non abbiamo vissuto le loro tragedie. Gli adulti vivono in tragedia pensando ai propri minori, ed i minori che hanno visto e subìto orrori immani difficilmente riusciranno a dimenticare per il resto della loro vita. Forse la vera emergenza o tragedia è proprio questa”.
La sua idea del futuro qual è? Come immagina il futuro prossimo di questo nostro Paese e del Vecchio Continente più in generale?
“Immagino, ma soprattutto spero, che il futuro prossimo del mio Paese sia costituito da una società multietnica che, abbandonati i pregiudizi e la diffidenze, dia la possibilità a tutti di esprimere le proprie potenzialità. Gli Stati Uniti d’America si sono posti il problema già dalle guerre di secessione, ed hanno avuto i loro caduti in nome di questa integrazione che poi è risultata vincente. Un nome per tutti: Martin Luther King! Con molta probabilità grazie a lui ed al suo messaggio oggi il presidente Usa non è un bianco. Loro ce l’hanno fatta anche se purtroppo non definitivamente, stando a recenti fatti di cronaca, ma sono diventati quello che sono. Non vedo perché, sia pur in ritardo, i futuri Stati Uniti d’Europa non ce la dovrebbero fare a superare le sfide attuali e future. Io, nonostante Salvini e company, sono ottimista”.
Francesco Pungitore