RAI Storia, credo solo con intenti storiografici e non certo elettorali, mostra la rivoluzione urbanistica compiuta dal regime fascista, e di cui restano dovunque evidenti e funzionali memorie. Serve una riflessione di carattere generale, di cui il Ventennio fu un ottimo esempio ma non unico.
Enunciamo pertanto due premesse di valore universale: 1. l’urbanistica non è una tecnica o scienza che si studino all’università, come l’architettura e l’ingegneria; è una concezione della vita e del mondo, una filosofia della storia di un popolo rispetto al suo territorio; 2. solo i grandi regimi autocratici mostrano una degna concezione urbanistica; le democrazie badano agli interessi e comodi delle singole persone, e il risultato è la devastazione del territorio.
Quando Pericle propose di fondare Thuri al posto di Sibari distrutta da Crotone, chiamò Ippodamo di Mileto, la cui urbanistica divenne modello della città ellenistica e romana. Bell’esempio di sinergia: il grande demagogo guardò la carta geografica, vide che da Crotone a Taranto non c’erano più Greci, colmò il vuoto; ma l’architetto disegnò la città.
Alessandro Magno fondò moltissime città dall’Anatolia all’India; una di queste fu la più importante del mondo antico prima di Roma; un’altra, con grande gaudio degli animalisti, la dedicò al cavallo Bucefalo.
Roma, piccola e ordinata città regia, esplose dal II secolo aC per numero di abitanti e divenne caotica: l’urbanesimo è, infatti, il contrario dell’urbanistica: far arrivare chiunque è l’urbanesimo; far vivere quanto è logico, è l’urbanistica. Ci volle Augusto, per iniziare un lavoro che gli imperatori seguenti condurranno fino a far vivere ordinatamente da uno a due milioni di cittadini.
Le città medioevali ci piacciono proprio perché frutto di un’urbanizzazione senza piani regolatori, e affidate alla fantasia. Dante tuona contro gli immigrati… non dal Niger, ma da Lastra a Signa. Chissà cosa avrebbe detto di Renzi da Rignano!
Dal XVII secolo, crescono confusamente alcune città europee. Date un’occhiata alla letteratura dei due secoli seguenti: Londra di prostitute e Jack, Parigi dei Miserabili, Sanpietroburgo dei demoni, Napoli bellissima e impossibile… tutti effetti di immigrazione dalle campagne, con inevitabili degenerazioni sociologiche e morali.
Parigi era un ammasso di catapecchie dove era molto più facile beccarsi una coltellata di giorno, che non fosse in piena notte nel più selvatico Aspromonte. Napoleone III (1849-70) si affidò al ferreo prefetto Haussmann, un alsaziano e tedesco; il quale, impipandosene delle proteste dei poeti e romanzieri, buttò giù tutto e tracciò i boulevard. Sono quelle amplissime strade di modello romano che attraversano Parigi, danno aria e ossigeno degli alberi… e consentono le cariche di cavalleria quando, come succede ogni vent’anni, Parigi si ribella a una cosa qualsiasi. In versione de Gaulle, cariche di carri armati.
Anche Roma era quella dei film di Magni, pittoresca e barbarica. Mussolini la concepì così: il centro che salvaguardasse la storia antica e barocca, con i Fori Imperiali e via della Conciliazione; e un progetto di trasferimento degli apparati politici e amministrativi all’E 42, oggi EUR, in buona parte realizzato. I nostalgici dei tuguri, vadano al cinema!
Questo, per la capitale; accenniamo alle altre città: per quanto riguarda la Calabria, ricordiamo Reggio, Locri, Vibo V., S. Eufemia; e i servizi portati in paesi che erano del tutto privi; e interventi in ogni paesello. Pensiamo solo ai Laghi silani e alle centrali idroelettriche, che alimentavano industrie vere e produttive, non Isotta Fraschini e SIR e altre bufale!
Come si conviene a regime totalitario, l’urbanistica fascista mira anche al monumentale e al bello; sia esso un grande capolavoro come il Palazzo della civiltà del lavoro, sia una modesta casa popolare, ma con la piazza, e l’orticello, con una forma umana: luoghi dove vivere, non dove dormire e farsi venire le nevrosi! Non sono gli orrendi Corvo Aranceto di Catanzaro, o via Amirante di Soverato; o le disumane periferie di Roma postbellica o di Torino.
L’urbanistica è una filosofia complessa, che guarda al rapporto tra città e territorio. Ecco dunque le ferrovie e le strade (nel 1935, la 106 arriva a Soverato) e i porti; e la rinascita dell’agricoltura.
L’Italia era afflitta da vastissime aree paludose: le bonifiche le resero abitabili e feconde. Ecco Littoria (Latina); e, qui da noi, molti esempi, tra cui S. Eufemia e la sua pianura destinata alla produzione della barbabietola da zucchero.
E non scordiamo nemmeno le città coloniali di Tripoli, Bengasi, Mogadiscio, e la stessa Addis Abeba.
Tutto questo, per la storia. Però ci dovrebbe insegnare come si gestisce il territorio, un’arte oggi del tutto dimenticata.
Ulderico Nisticò