Nessun futuro roseo per i 6.522 tirocinanti calabresi, purtroppo. Niente di nuovo all’orizzonte verrebbe quindi da esclamare. Almeno a giudicare dall’immobilismo di cui sono preda, in virtù anche e soprattutto della pandemia in atto.
Una terribile emergenza, quest’ultima.
Che tuttavia non serve a giustificare i circa nove anni precedenti durante cui tali svariate migliaia di lavoratori sono state tenute in un limbo con la classe dirigente, di ieri e di oggi, indifferente. Anzi, forse persino colpevole nel relegarle a una vita grama fatta di ansia e incertezza. Senza contare che la formula del tirocinio ha una scadenza naturale fissata dopo un anno dalla sua attivazione. Ecco allora che se lo si blocca si tengono ‘appesi’ più del dovuto i destinatari.
E io, proprio con loro, ho assunto un impegno preciso, pur sapendo di non essere in lizza per un incarico di Governo, organo a cui compete la maggior parte delle scelte in merito. Ma anche la Regione gioca come ovvio un ruolo, peraltro nient’affatto secondario, in questa delicata partita e, lo ripeto, io ho intenzione di spendermi in ogni modo per inserire la contrattualizzazione dei tirocinanti nel progetto di Tesoro Calabria di amministrazione del territorio. Sarà in sostanza parte del nostro programma.
Perché parliamo di un esercito di persone rientrante nella categoria dei cosiddetti ‘lavoratori ex mobilità in deroga’ che prestano servizio, ben oltre il tirocinio formativo, negli enti pubblici e privati e nelle sedi distaccate dei vari dicasteri: Giustizia, Miur, Mibac e così via. La loro attività, inoltre, è ormai ritenuta fondamentale per il funzionamento delle stesse strutture. Sebbene ciò, molte sono state le promesse di stabilizzazione ricevute nel tempo. Ahimè, però, sempre rivelatesi da marinaio.
Nessuna Giunta, avvicendatasi al vertice della Cittadella, ha infatti finora mosso un dito sul piano della concretezza per aiutarli. Forse perché conviene a parecchi ‘rappresentanti del popolo’ disporre di un ampio bacino elettorale sempre ‘caldo’ al quale attingere. E intanto più di seimila madri e padri di famiglia, ma anche tante donne e uomini singoli, seguitano a svolgere un’attività professionale senza diritto alla retribuzione, dal momento che i 500 euro lordi al mese percepiti dai diretti interessati non possono certo essere considerati alla stregua di uno stipendio degno di tal nome, non solo in termini contributivi ma pure previdenziali.
Come se non bastasse, a tutto ciò si somma, da circa 12 mesi, lo tsunami Covid che rende difficile, se non addirittura impossibile, la ripartenza per alcuni mentre la pone a forte rischio per altri. Si tratta dunque di soggetti privi di tutele, pure sotto il profilo del rischio contagio da Coronavirus, ma in particolare dell’assenza di adeguato riconoscimento economico per come premesso.
Rendo infine noto che presto mi occuperò anche degli ex Lsu-Lpu e dei percettori di mobilità in deroga, che meritano attenzione.