La mia utopia istituzionale


Attenzione, giovani avvocati amici miei e affettuosi censori: ho scritto istituzionale non perché volevo scrivere costituzionale e invece ho sbagliato. Leggete, e forse riuscirò a spiegarmi.

Mi sono svegliato con un’utopia, e, nello stesso tempo, con in testa questa frase del Machiavelli: “Molti hanno immaginato repubbliche e principati che mai non furono”, con sarcastico riferimento a Platone, Cicerone, s. Agostino e s. Tommaso Moro. NOTA: Il Machiavelli è esistito davvero, e non è la scusa di certi cialtroni per giustificare il loro essere voltagabbana e leccascarpe!

Cosa sogno nella mia utopia? La radicale riforma delle istituzioni politiche, che conduca dritti dritti alla repubblica presidenziale.

Riassunto della faccenda. Nel 1848, lo Statuto Albertino del Regno di Sardegna, divenuto nel 1861 del Regno d’Italia, prevedeva la netta separazione del potere legislativo (Senato regio e Camera elettiva) da quello esecutivo, che era nominato e revocato dal re.

Tutto bene? No, perché fu rapidissima la degenerazione parlamentaristica e quindi partitocratica, e il re si ridusse sempre più a notaio delle trattative tra parlamentari e consorterie. Se ne accorsero in molti, e tra questi fece scalpore l’articolo di Sonnino “Torniamo allo Statuto”, del 1897, che mirava a restituire potere effettuale al re.
Da un punto di vista istituzionale, può essere considerato governo del re quello Mussolini del 1922, che non disponeva di una maggioranza parlamentare, e la ottenne dopo la nomina; e, sia pure in circostanze caotiche ed estemporanee, fu il re a deporre Mussolini, il 25 luglio 1943.

La vigente costituzione, palesemente modella su quella francese per non dire copiata, lasciò tutto il potere ai partiti, donde, dal 1946, una settantina di governi e governicchi, alcuni dei quali ridicolmente “balneari”. Il presidente della repubblica, che prendeva il posto del re dell’Albertino, era ed è una figura quasi simbolica, salvo, e non spesso, un poco di rilevanza personale. Ma sotto l’aspetto istituzionale i suoi poteri sono quasi nominali: anche il deprecato Consiglio Superiore della Magistratura, solo di facciata è presieduto dal capo dello Stato.

E veniamo alle mie utopie. Esse sono due:

1. I partiti, le ideologie, sono, con tutti i loro infiniti difetti, un male necessario; perciò mi va bene una Camera elettiva, bene inteso con un centinaio di deputati e non di più. Infatti, maggiore è il numero, più scarsa è la qualità della rappresentanza. Il Senato, chiamiamolo così, lo vorrei corporativo, in rappresentanza delle categorie dei lavoratori e dei corpi intermedi, inclusa la cultura.
2. Il presidente, elettivo e con reali poteri: come fece la stessa Francia di cui noi conserviamo i difetti e ammiriamo i pregi istituzionali. E un presidente che nomini e revochi il governo.

Avete visto, giovani avvocati, che la mia utopia non è costituzionale, ma proprio istituzionale, cioè è una specie di monarchia elettiva?
Monarchia elettiva? Ce ne sono, di esempi. Il più evidente sono gli Stati Uniti, il cui presidente, per quattro anni, ha gli stessi poteri che aveva, nel 1776, il re di Gran Bretagna; incluso di fare la guerra, se gli gira.

E chi facciamo, presidente? Beh, andiamo alla terza e definitiva utopia: nel 2022 scade l’attuale; abbiamo dunque tre anni per la riforma; intanto anche il Governo va a scadenza naturale, e possiamo eleggere sugli scudi Giuseppe Conte. Ha dato buone prove, e ora torna glorioso per il successo in Europa, che è stato suo e solo suo.

Quanto al capo del Governo che il presidente eletto Conte dovrebbe nominare… qui l’utopia si ferma, e vedremo chi dei due.

Ulderico Nisticò