Premesso che, secondo me, chi ha restituito tre milioni allo Stato, chiunque sia nei meandri della Regione, è ugualmente dannoso alla Calabria della mafia, e forse peggio; anzi è peggio che se li avesse rubati, e almeno giravano in Calabria ; veniamo alla mafia moderna dipinta dal procuratore Cafiero de Raho.
Dice il procuratore che c’è in Calabria un luogo del tutto in mano alla ‘ndrangheta, in cui non si può fare nulla senza il permesso, pagato, della ‘ndrangheta. Pensate sia San Luca, pensate sia Polsi, sperduti paesini di due gatti? Ma no, è Reggio, duecentomila abitanti, la sola città della Calabria.
E pensate seriamente che gli ‘ndrangatisti siano quelli dei progetti scolastici antimafia segue cena, cioè analfabeti, sanguinari e maniaci? Ma no, dice Cafiero de Raho che sono imprenditori, politici – e fin qui, poca meraviglia – e, udite udite, magistrati! Magistrati! Del resto, due li hanno ingabbiati di recente proprio per mafia.
E ciò dice non il giornalista voglioso di finte minacce e scorta “status symbol”, o il romanziere savianizzato da tv; lo dice il procuratore della Repubblica di Reggio, uomo che non fa il comiziante, bensì pesa le parole.
Riflessioni:
1. È la fine dell’antimafia segue cena, fiaccolate, veglie, marce… del resto già finite con la fine dei nove (09) milioni di euro sperperati a tal fine dalla Giunta di Scopelliti. La mafia è una cosa terribilmente seria, e se ne frega delle fiaccole!
2. Ci sono in giro una commissione parlamentare antimafia guidata dalla Bindi e una commissione regionale antindrangheta guidata da Bova, le quali non si sono finora accorte di niente, e se la cavano con i bambini di San Luca che stonano Fratelli d’Italia. Sciogliamo queste due accolite di inutili.
3. Il problema è drammatico, e va affrontato con la necessaria determinazione. Non servono leggi speciali, generalmente fonte di alibi e confusioni: il Codice Penale del 1930 è sufficiente a punire tutti i reati, basta applicarlo. Applicarlo!
Riflessione storica. La ‘ndragheta fino agli anni 1960 era un’associazione di quattro morti di fame di paese. Mi raccontarono di un tizio che, pacioso artigiano, si fregiava, in ‘ndrangheta, del titolo di Comandante di un Corpo di Cavalleria Formato; e sono certo che in vita sua non fece male a nessuno, e nemmeno mai salì in groppa a un umile ciuco, altro che il nobile animale. Da bravi Calabresi, si nutrivano di “don” e di “compare” e di “saggio mastro” e altre chiacchiere; e, ogni tanto, una cena a base di capra.
Poi diventarono ricchi con i sequestri, pagati dallo Stato per evitare critiche. Il denaro causò la corruzione dell’etica ‘ndrangatista, prima severa e pesante e quasi militare; e, ripulito con abile ingegneria finanziaria e complicità di banche, venne reinvestito in droga e roba del genere.
Investito, dove? Anche in Calabria, ma le briciole; il grosso, a Milano, Hong Kong, N. York. Soldi chiamano soldi, recita un nostro proverbio.
A questo punto, uccidere non serve più: i soldi sono un’arma più potente di cento bombe atomiche. I soldi, le donne, le vacanze, i lussi… facilissimo corrompere un funzionario, un giudice che, di umili natali, andava al massimo al mare con l’oratorio, e ora gli si regala l’albergo a sette stelle con signorine allegre!
Cafiero de Raho ha parlato chiaro: ora la Calabria dovrebbe reagire. Io, con la massima sfiducia, resto ad aspettare.
Ulderico Nisticò