La favola del bon sauvage


J. J. Rousseau (pensatore, non piattaforma!) viveva, in condizioni precarie, a Parigi; celeberrimo pedagogista, ebbe dei figli e li portò al brefotrofio: e ho detto tutto. Non aveva mai visto un pellerossa, però s’inventò che era “le bon sauvage”, il selvaggio buono libero pacifico, e persino democratico.

 Pochi anni prima, il Vico (1668-1744) aveva così messo in ridicolo tali teorie, come “sformati racconti di viaggiatori per dare smaltimento ai loro libri”. Molto tempo dopo, Claude Lévi Strauss (1908-2009), primo etnologo serio a recarsi presso i “selvaggi”, dimostrò, con il celebre libro TRISTI TROPICI, che non erano né buoni né liberi né pacifici né felici, e nemmeno selvaggi; ma che certo le popolazioni indigene se la passavano malissimo per fame, malattie, mortalità, guerre e oppressioni di ogni sorta, con cannibalismo eccetera. Scoprì anche le loro culture, con caratteristiche da studiare: tutto qui.

 Celebre, quel libro? Secondo me, non lo ha letto nessuno, e sono tutti fermi a Rousseau e alla sua fantasticheria che lo “stato di natura” sarebbe più bello e poetico della civiltà. Non era una novità: ogni tanto lo dicevano anche alcuni greci (Euripide: “in molte cose i barbari sono più saggi dei Greci”; Tacito: “tra i Germani non va di moda corrompere ed essere corrotti”); e spesso lo ripetono tutti quelli che, per varie ragioni, sono stufi del mondo attuale, e sognano o un futuro roseo o un passato meraviglioso. Ma si tratta di poesia non suffragata dalla storia, e tanto meno dall’etnologia e dall’antropologia.

 Ora, che i colonizzatori europei abbiano avuto, a volte, la mano pesante, è vero; ma che Maya e Aztechi avessero la simpatica abitudine di squartare vivi a migliaia per volta i malcapitati, ebbene, leggete qualsiasi storia delle religioni. In Nuova Guinea, il cannibalismo “sacro” è stato vietato nemmeno trent’anni fa. Quanto ai pellerossa (pateticamente detti Nativi Americani: e fino a Nativi, passi, ma Americani è sempre Amerigo Vespucci!), si uccidevano a vicenda ogni primavera ed estate; e con raffinate torture.

 A proposito, anche i Rousseau della domenica di noi altri, che, per dirne una ridicola, fa parlare in dialetto milanese le colonnine di benzina; e che, detto in generale, odia il progresso e la tecnologia, nella seria convinzione che prima era meglio. Prima, non sanno quando, ma prima. Che “prima” era grasso che cola se uno campava 60 anni; e una qualsiasi bronchitella mandava all’Aldilà… eccetera… i passatisti non lo sanno o fingono di non saperlo. E non lo sanno, però, usando aerei, computer, tv, pensano sul serio che il primitivo se la passasse benissimo; e che se la passerà benissimo anche chi tornerà a vivere in qualche paesino sperduto, magari senza luce elettrica e cuocendo il pane una volta al mese… Già, io non ho mai visto un passatista camminare a piedi e vestirsi di pelli dopo essere andato a caccia; e riscaldarsi col il braciere!

 Che poi il passato fosse più emozionante del presente, è ovvio, proprio perché difficile e conflittuale e zeppo di guerre e amori sbagliati; ma non sparate la fandonia che c’era gente buona e felice, soprattutto tra i boschi e altri luoghi ben poco comodi. Dove va a ficcarsi Rousseau!

 È pericolosa, questa tendenza; e bisognerebbe andarci cauti con le frasi ad effetto e le invenzioni del passato e del futuro: è per il presente che nessuno sa trovare una soluzione.

Ulderico Nisticò