La terribile emergenza sanitaria globale innescata dalla diffusione del nuovo Coronavirus, che tutti gli indizi fanno risalire ad un pipistrello venduto per l’alimentazione umana in Cina, non mancano e non mancheranno le situazioni strazianti come il bimbo di sei settimane morto negli Stati Uniti.
Benché ci siano stati degli indiscutibili ritardi e tentennamenti di molte autorità pubbliche nell’innalzamento del livello di allerta, la comunità scientifica internazionale sembra aver reagito con incredibile solerzia e lavorando a ritmi serrati. A beneficio di questo anche le nuove tecnologie computazionali che permettono di affiancare le nuove forme di intelligenza artificiale al lavoro umano, andando a ridurre non di poco i tempi di lavoro sul campo degli scienziati.
Ma poiché in futuro si vedranno sempre nuovi virus in grado di contagiare anche l’uomo, ci si sta concentrando allo sviluppo di nuovi approcci terapeutici su ogni fronte. La dura sfida che si sta presentando nel combattere il Covid-19, soprattutto per il sistema respiratorio, ha portato a rispolverare e testare in profondità anche farmaci non di ultimissima generazione e adoperati per altri problemi.
Si va dal trattamento antimalarico del dopoguerra con clorochina ad anticorpi monoclonali usati per i pazienti affetti da artrite reumatoide, antivirali assunti contro l’AIDS e qualcuno pensa anche alla Cannabis. In realtà la riflessione è partita da una bufala, o fake news che dir si voglia, che è circolata via social, per la quale proprio la bistrattata Cannabis fosse la soluzione ideale per la grave polmonite provocata dal Coronavirus.
In tutto questo di vero c’è che la Cannabis sativa è davvero dotata di un naturale potere antinfiammatorio riconosciuto da vari studi, grazie ai suoi principi attivi denominati cannabinoidi, molecole che agiscono sul corpo umano simulando gli effetti di sostanze normalmente prodotte dall’organismo (endocannabinoidi) per regolare numerose funzioni naturali. Proprio per questo viene utilizzata, per esempio, per il controllo del dolore, per ridurre lo stress e migliorare l’umore, oltre a ridurre gli stati infiammatorie in presenza di serie patologie come la fibromialgia, le convulsioni e molto altro come si può leggere su Hemppedia.
La farmacopea ha puntato gli occhi in particolare sul CBD (sigla del cannabidiolo), uno dei principali cannabinoidi naturalmente “a corredo” della pianta di Cannabis sativa, per le sue proprietà terapeutiche a fronte di un tenore molto basso di sostanza psicoattiva. Discorso ben diverso per il famoso THC, altro rilevante cannabinoide al quale la legge nazionale ed internazionale fa riferimento per stabilire se un prodotto sia da considerarsi come droga sulla base del suo tenore naturalmente più alto di quello del CBD.
Alcuni terpeni presenti nella Cannabis e altre piante (come basilico e origano) hanno proprietà antibatteriche e antivirali e possono essere utilizzate per trattare le infezioni e le infiammazioni, ma ancora nessuna evidenza scientifica sull’efficacia in situazioni estreme. Tuttavia si è già visto come la Cannabis sativa, stando a quanto pubblicato su “Cell” di gennaio scorso, sia capace di modulare la eccessiva risposta del sistema immunitario in una persona affetta da sepsi.