Bolzano e Trento sono regioni spacciate per province; in queste regionali, il PD ha subito l’ennesima legnata; le sinistre fantasiose tipo LeU, non esistono nemmeno. Sondaggi seri danno, su scala nazionale, l’intera sinistra al 19%, dal 22 del 4 marzo. La prima sensazione è che la sinistra italiana sia finita o sulla strada di finire.
Ragionando da politologo, e, in questa sede, senza nulla di personale, ebbene vi dico che un sistema parlamentare quale è, sia pure malamente, il nostro, non si può fare a meno di una sinistra; una sinistra eternamente perdente, però ce ne vuole una, per i motivi che ora vi spiego.
Da quando le comunità tradizionali sono divenute società industriali, apparve evidente che anche le classi operaie avevano bisogno di una rappresentanza, e che anche la classe borghese aveva bisogno di una rappresentanza operai con cui parlare. Funzione dei sindacati e partiti di sinistra fu dunque quella di organizzare il proletariato, e sostenerne la causa in termini politici e sociali, e, ovviamente, in termini retributivi in senso proprio e in senso lato.
Do per conosciute le vicende di storia politica dei secoli XIX e XX, se no non ne usciamo più; e veniamo alla sinistra ufficiale italiana, la cui storia è molto semplice: ha governato in buona parte del tempo dal 1995 a oggi; è salita fino al 40%; attualmente, non conta nemmeno la metà. Gli elettori hanno abbandonato la sinistra.
Anzi, si ha l’impressione che, a difendere il PD, siano rimasti solo quelli di provenienza democristiana, mentre ben poco rimane di provenienza comunista.
Quanto ai comunisti, essi hanno ben poco di comunista nel senso di seguaci di Marx e Lenin. Sono infatti schierati con quelli che Marx chiamava Lumpenproletariat, sottoproletariato, plebe, cioè persone e masse prive di ogni coscienza politica, e che, se chiamate a votare, sono del tutto imprevedibili per umori; e comunque sempre mosse da qualche interesse immediato.
Avete presente il famoso quadro del Quarto Stato? Sì? Ebbene, i sottoproletari sono esattamente il contrario dell’operaio possente e sua moglie madre, che guidano le masse verso la vittoria. I sottoproletari sono gente delicata, molle, ipersensibile… e passano da una bandiera all’altra senza battere ciglio.
I diritti civili sono di tutti, non di certe categorie… ma no, categorie non sono. E per buona educazione, non vi faccio esempi.
Quelli che invece restano senza rappresentanza sono gli operai ancora rimasti, e i giovani disoccupati con laurea, e le aree geografiche come la Calabria, che, ricordiamo, è la terzultima d’Europa. E a una famiglia calabrese che ha figli costretti a cercare lavoro altrove, credo importi ben poco se una signora sindaco si debba chiamare sindaca! E anche alla signora sindaco, credo pochissimo interessi la residenza, quando deve far quadrare il bilancio di un Comune calabrese in predissesto o dissesto.
Insomma, io provo nostalgia di quei comunistoni di una volta. Sarei tentato di farvi nomi, ma qui nel Soveratese li conosciamo, e io mi onoro di frequentarli, ormai vecchi, e sentirli parlare in buon italiano e con argomenti seri, e ricordi di una vita di lavoro: effetto di una seria scuola di partito!
Non sopporto invece il mio collega intellettuale che, di fronte alle sconfitte della sinistra, fa come le donnette di Bocca di rosa: “Le contromisure si limitavano all’invettiva”; e non si ferma un momento ad analizzare i fatti concreti, la gente reale; e si preoccupa dei mercati mondiali e non del mercato, quello dove le persone vanno a fare la spesa.
È sempre il vecchio vizio della sinistra, che Marx bollava come “socialismo utopistico”; e che il poeta Aragon, degli anni 1930, sognava come “Les lendemains qui chantent”; rinviare tutto a un non meglio precisato domani, e mostrando il massimo disprezzo elitario per chi invece vorrebbe mangiare già oggi!
Con tutto questo, una sinistra, sia pure perdente, è necessaria. Datevi da fare, comp… beh, vi stavo chiamando compagni, poi mi sono accorto che è una locuzione di troppi decenni fa.
Ulderico Nisticò