Sembrano piccole cose, ma i falsi del Risorgimento sono tanti e al punto da travisare e manipolare la storia completamente per adattarla ai desiderata dei vincitori. Hegel non ha forse affermato che, nella lotta tra stati che non riescano a trovare un accordo sulla base del diritto internazionale, la guerra è il tribunale della storia? Esso decide chi ha ragione e chi ha torto. I vincitori hanno quindi il diritto di processare i vinti, cui impongono anche le loro costituzioni, e i vinti sono costretti a giurare fedeltà, lealtà e obbedienza alle loro norme. Il vincitore è sempre tracotante e arrogante e quasi mai riconosce al vinto gli onori delle armi. Chi vince la guerra, insomma, ha ragione e chi la perde ha torto. Donde chi vince ha anche diritto di scrivere la storia come meglio crede, non importa se si distorce la verità dei fatti, e i vinti sono costretti a leggerla e impararla senza possibilità di critica.
“L’Italia non è che un’espressione geografica”! Quante volte abbiamo sentito e ripetuto, a scuola o con gli amici, questa frase ingiuriosa e denigratoria attribuita da sempre a Klemens von Metternich Winneburg (1773-1859), il principe austriaco più odiato dall’Italia risorgimentale; il motto fu propagandato in lungo e in largo ad ogni livello e per decine di anni, sino a farlo credere sacrosanta verità! E invece no; è un falso storico che continua a spadroneggiare sulla bocca dei risorgimentalisti tout-court ma che è stato sconfessato sin dal 1997 da Fausto Brunetti, già diplomatico e consigliere al nostro Ministero degli Esteri, in un suo saggio: “Il pensiero e l’azione de Il Nazionale”. Oltretutto la lapidaria frase non fu pronunciata al Congresso di Vienna del 1815 (come riportavano i vecchi libri scolastici) ma oltre trent’anni dopo, nel 1847, quando il cancelliere austriaco scrisse l’incriminato aforisma in una nota inviata al conte Moritz Dietrichstein Proskau-Leslie (1775-1854), ambasciatore austriaco a Londra. In verità l’affermazione di Metternich era scritta in francese e faceva parte di un pensiero più articolato: L’Italie est un nom géogra-phique, l’Italia è un nome geografico; poi, la nota proseguiva: La penisola italica è composta di stati sovrani, reciprocamente indipendenti. L’esistenza ed i limiti territoriali di quegli stati sono fondati su principi di diritto pubblico generale e garantiti da transazioni politiche di incontrastabile autorità […]. Soltanto l’anno successivo, ossia nel marzo 1848, quando cominciavano a sorgere movimenti rivoluzionari un po’ in tutta la penisola, il quotidiano liberale di Napoli, “Il Nazionale” – diretto da Silvio Spaventa (1822-1893) – pubblicò più volte e in prima pagina quell’espressione rimaneggiata ad uso e consumo dei rivoluzionari e dei patriottardi, contro la “tenebrosa diplomazia” austriaca che aveva inteso umiliare “24 milioni d’intelligenti e forti” (Il Nazionale del 7 e 8 marzo 1848). Il 21 marzo, lo stesso quotidiano rincarava la dose, in prima pagina, e ripeteva: “L’Italia non è che un’espressione geografica, scriveva il Principe di Metternich a Lord Palmerston, volendo giustificare i diritti della Corte di Vienna ad impedire la ricostruzione di un’Italia dall’Alpi al Lilibeo, o la federazione di diversi Stati Italiani, o la loro indipendenza….. Dica pure il Principe di Metternich, scriva pure nelle sue note di tenebrosa diplomazia, che l’Italia è un’espressione geografica. […]. Le genti della terra l’avvertono, la riconoscono, se n’esaltano….”. L’occasione era troppo ghiotta per i liberali italiani del tempo, che subito usarono questa falsa interpretazione “pro domo sua” e cioè l’utilizzarono in chiave patriottico-nazionalista onde maggiormente fomentare l’odio anti asburgico nelle popolazioni italiane. Quello che lascia perplessi è il fatto che per 150 anni i libri di storia abbiano riportato la frase di Metternich dandole un valore negativo che non aveva, e che solo oggi gli storici siano quasi tutti concordi nel riconoscere nell’assunto del cancelliere austriaco una constatazione di uno stato di fatto e non un giudizio arrogantemente spregiativo degli italiani. D’altronde, nello stesso dispaccio del 2 agosto 1947, il cancelliere austriaco aveva applicato il medesimo concetto di nome geografico anche alla realtà tedesca per manifestare le preoccupazioni imperiali per le tensioni nazional-liberali già in atto nella Penisola, laddove scriveva: […] Italia, nome geografico, come quello di Germania (Italie, nom autant géographique que cèlui d’Allemagne). Ma tant’é. Le manipolazioni storiche sono state una costante del nostro cosiddetto Risorgimento, specie in occasioni particolari ove fosse indispensabile trasfigurare la realtà per rappresentarla al fine di portare acqua al proprio mulino sulla scia del pessimo e poco etico detto “il fine giustifica i mezzi”. La “chiamata alle armi”, insomma, degli italiani imponeva di presentare nel peggiore dei modi l’avversario e il nemico, per cui non si è pensato due volte a distorcere la realtà della frase del cancelliere austriaco, che all’epoca invece mostrava una realtà politica obiettivamente inoppugnabile. La cosa si ripeterà altre volte nel corso degli anni perché i vincitori hanno sempre ragione, anche quando hanno torto. Un altro falso storico è il famoso “Obbedisco” che il mito risorgimentale mette in bocca a Garibaldi in occasione dello “Storico Incontro di Teano” con Vittorio Emanuele II, avvenuto il 26 ottobre del 1860. Benché si continui a credere a questa vulgata, in realtà quella frase non fu mai pronunciata, ma fu scritta da Garibaldi il 9 agosto 1866 durante la terza guerra d’indipendenza, ossia sei anni dopo Teano. Garibaldi si trovava in un piccolo paese trentino, Bezzecca, dove, dopo aver respinto qualche settimana prima un contrattacco austriaco, si preparava a entrare nella regione austro-ungarica per occupare Trento. Intanto, però, era intervenuto a sua insaputa ( e questo è significativo della stima che il re sabaudo e il suo stato maggiore avevano di lui) l’armistizio tra Italia e Austria, donde l’ordine del generale La Marmora di sgomberare il Trentino entro 24 ore. Garibaldi prese la penna e, in risposta, scrisse anche se obtorto collo la nota frase: Ho ricevuto il dispaccio n. 1073. “Obbedisco”.
Adriano V. Pirillo