Ultimissime da Gioia Tauro: abbiamo scherzato, non si fa più. Ve lo ricordate? Doveva sorgere da quelle parti niente di meno che una fabbrica di auto… beh, di mezze auto, perché l’altra metà era in Puglia. Non so quale megacapitalista mondiale aveva deciso di investire soldi, e, dal Meridione d’Italia, far partire per il mondo tale siderale prodotto. Per quanto riguarda Gioia Tauro, sembrava conforto alla tesi, sostenuta tra gli altri con ardore da Pino Soriero, che la ridente località non solo è ricca e felice, ma è, e soprattutto sarà, la causa diretta della ricchezza calabrese, italiana, europea e planetaria.
Contrordine, compagni, recitava una famosa vignetta satirica di Guareschi: niente macchine a Gioia, e, se può consolarvi, manco in Puglia.
Allora io (io che già nel 1979 pubblicai “La cultura della memoria”, AR, Padova), mi ricordo dell’Isotta Fraschini, sempre di Gioia Tauro, strombazzata come la novella Ford e buonanima della FIAT, e che doveva produrre… e non produsse manco un modellino di gomma a scopo pubblicitario. Tristano e Isotta, Isotta e tristezza.
Poi dissero che la Lamborghini… no, stavolta niente auto, doveva produrre maxitrattori a Cutro; e nemmeno un aratro di legno trainato da buoi tipo Romolo e Remo! Nell’antica città doveva arrivare anche una fabbrica russa, che invece sta solo russando. Eccetera.
E vi ricordate la fabbrica crotonese di palline, “il tennis europeo parla calabrese”? Evitiamo battute triviali. E la birra? Scusate se non ricordo altro.
Ah, sì: un anno ci dissero che la Calabria deteneva il primato nazionale per nascita di nuove imprese; dopo un anno si seppe che ne era rimasta una (01, contata).
Ora, seguite questo ragionamento. Se capita una volta, ed è un caso; due volte, è un errore; tre è un vizio… Ma se capita decine di volte, allora non è né vizio né errore né caso: è un sistema.
Sistema. Io chiedo finanziamenti per una fabbrica di bolle di sapone. Ho l’amico, me lo danno. Spendo due lire per il capannone prefabbricato con dentro un vuoto che manco Torricelli se lo immaginò mai. Inaugurazione solenne con autorità civili, religiose e militari, bene inteso davanti al portone chiuso peggio delle mura di Troia ante cavallo. Segue abbandono del capannone. Ecco il sistema. Intanto però si pagano i progetti dei professoroni, i convegni, le cene, le interviste genuflesse, i viaggi studio a Tokyo amanti incluse… Volano un po’ di soldi per diversi amici, il resto s’intasca, e via.
La magistratura in genere, e la Corte dei conti in specie, recitano la parte di Aligi che dormì settecent’anni.
Se io fossi… se io fossi il prefetto o il vescovo invitato alla cerimonia di cui sopra, sapete che farei? Farei così. Immagino il vescovo, che mi viene meglio. Quando l’imprenditore mi chiede di benedire, io, mitra in testa (mitra vescovile, che avete capito?), direi: “Figliuolo, desidero benedire i macchinari. Apriamo la porta”. Il figliuolo (di chi, lo sapete) balbetterà che i macchinari arriveranno… boh, il prossimo mese. Io, levata la mitra, risponderò che ci rivediamo quando arrivano, e se no, no. Segue telefonata all’ANSA e roba del genere. Grande scandalo a livello nazionale; ma, per dirla in linguaggio evangelico, “oportet ut scandala fiant”. Gli scandali fanno bene!
Invece, tutti contenti, e a casa. Questa è la Calabria, ragazzi; altro che colpa degli Spagnoli, dei Borbone, di Garibaldi: la colpa è tutta indigena, tutta nostra, tutta calabrese. Nel caso specifico, caro Pino Soriero, ha sede a Gioia Tauro.
A proposito, che fa a proposito di fabbrica sfumata la Giunta di Alto Profilo della Regione? Esiste?
Ulderico Nisticò