Si accettano sempre le precisazioni, anche se di “inesattezze” non credo di averne scritte, e invito a leggere meglio i miei articoli.
Tutti i fenomeni sociali hanno le loro zone oscure, e tra queste una certa percentuale di clandestini anche tra i nostri emigranti. La ragione è che gli Stati europei ed americani non “accoglievano”, bensì selezionavano accuratamente gli ingressi di stranieri, a cominciare da severe visite mediche; e respingevano senza pietà. Qualcuno, che sarebbe stato scartato o lo era di fatto, tentava strade traverse.
Da questo a paragonare i nostri emigranti a quelli che sbarcano di sotterfugio, o, prima, venivano portati da ong varie, ci corre, e ci corre tantissimo.
Ripeto che erano gli Stati a richiedere lavoratori. Quando gli USA tracciarono le ferrovie, attirarono migliaia di Cinesi; quando il Belgio aveva bisogno di minatori, si rivolse all’estero, anche all’Italia. Ma emigrarono persino gli Svedesi in Danimarca; e gli Indiani in Sudafrica… E si volevano lavoratori, non si faceva beneficenza!
Nel 1925, gli USA stabilirono le quote, e, per l’Italia, non più di 5.000 l’anno. L’ho scritto con molta esattezza, e, se mai, da uno che mi accusa di essere “inesatto”, mi sarei aspettato che scrivesse che erano 4999 oppure 5001! E documenti alla mano, non frasi generiche.
Niente: non leggo correzioni con numeri e date e fatti, solo luoghi comuni tratti da qualche sperduto giornale di un secolo fa. I minatori non bighellonavano, e tanto meno stavano in albergo!
Sappiamo poi tutti che, tra un emigrante e l’altro, arrivarono in America anche mafiosi, aggiungendosi alla già ricchissima delinquenza locale di origine inglese. Ma gli emigranti italiani hanno portato anche la musica lirica, e, a proposito di criminali, i Petrosino e quel Giuliani che ha ripulito in un fiat N. York.
Capitarono anche rarissimi esuli politici, come poi accadde ai dissidenti sovietici; ma la polizia statunitense, che la sa lunga, badava bene a che fossero esuli veri, il che non era poi detto a priori, anzi…
Se c’è una “inesattezza” è paragonare in qualche modo l’emigrazione italiana (ma anche inglese, irlandese, scandinava, greca, russa…) con quanto accaduto sulle coste di Italia e Grecia negli ultimi anni, con le conseguenze che abbiamo sotto gli occhi.
Infine, credo di sapere meglio di tanti altri che la storia umana è fatta anche di trasferimenti di popolazioni: apoikiai, si chiamavano le colonie greche, letteralmente “da-casa”. Arrivarono nel Medioevo molti Arabi, e più come commercianti (“bazarioti”) che come invasori; ma finirono assimilati, non integrati; e, divenuti cattolici e di lingua neolatina e italiana, nessuno di loro si ricordava di avere avuto un bisnonno forestiero. Il mio cognome e quello di mia madre sono greci.
Qui il problema è che a qualcuno piacerebbe un’Italia multietnica, multiculturale e multireligiosa. Ammesso sia una posizione legittima, è legittimissima la mia opinione, che è, a siffatta idea, totalmente contraria. Mia opinione, e, stando al 4 marzo e seguenti elezioni, e stando ai sondaggi, è quella della netta maggioranza degli Italiani.
Se poi Pitaro desidera che iniziamo a parlare di come aiutare gli Africani a restare in Africa, e soprattutto a restare politicamente e culturalmente africani, sono prontissimo.
Cordialmente,
Ulderico Nisticò
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