La Corte d’appello di Catanzaro ha confermato tutte le condanne per associazione mafiosa comminate il 6 novembre 2021 dal gup Claudio Paris nell’ambito del processo, con rito abbreviato, Rinascita Scott istruito contro le cosche vibonesi e i loro sodali.
Nel processo di secondo grado erano 74 le posizioni per le quali era stato proposto appello: cinque da parte della Dda di Catanzaro e 69 da parte degli imputati. La Corte ha dichiarato la nullità della sentenza riguardo alla posizione di Francesco Gasparro (due anni in abbreviato) per tutti i capi di imputazione a lui contestati e ha disposto la restituzione degli atti per un nuovo giudizio al giudice del primo grado. Stessa disposizione nei confronti di Pasquale Gallone ma solo per una caso di estorsione e per Domenico Macrì sempre per un singolo capo di imputazione.
Tre le assoluzioni: Michele Fiorillo (cinque anni in primo grado), Pasquale Tavella (un anno e quattro mesi in primo grado) e Carmela Cariello (quattro anni e sei mesi in primo grado). La Corte ha poi lievemente riformato le pene per 12 imputati, compreso Pasquale Gallone, considerato il braccio destro del boss Luigi Mancuso, che passa da 20 anni di reclusione a 19 anni e otto mesi, e Domenico «Mommo» Macrì, a capo dell’ala militare della cosca Pardea Ranisi, che passa da 20 anni a 19 anni e 10 mesi.
La Dda di Catanzaro aveva proposto appello solamente nei confronti di cinque dei 20 assolti in primo grado. Tra questi vi era l’imprenditore e avvocato Vincenzo Renda, considerato partecipe nell’articolazione dei Mancuso di Limbadi, la cui assoluzione è stata confermata. Nel resto la sentenza di primo grado è stata confermata e il riconoscimento dell’associazione mafiosa sancisce l’esistenza di una ‘ndrangheta strutturata in modo unitario con il crimine dell’area Vibonese.
Regge dunque l’impianto accusatorio messo in piedi dalla Dda di Catanzaro, per l’inchiesta scattata con un blitz la notte del 19 dicembre 2019 con oltre 300 arresti. Le condanne sono 67 (per oltre 600 anni di carcere complessivi), le assoluzioni 7. La principale accusa è quella di associazione mafiosa, ma non mancavano le contestazioni per diversi tentati omicidi, narcotraffico, intestazione fittizia di beni, estorsione, corruzione, danneggiamento, detenzione illegale di armi ed usura.
Tutti gli imputati ritenuti responsabili per il reato associativo sono stati condannati anche al risarcimento dei danni nei confronti dei Comuni costituiti parti civili. Le condanne più pesanti – fra i 15 ed i 20 anni di reclusione – per i vertici dei clan Pardea-Camillò e Lo Bianco di Vibo Valentia e per i clan Gasparro-Giofrè di San Gregorio d’Ippona, oltre che per diversi componenti del clan Mancuso di Limbadi. Gli altri 343 imputati si trovano invece in attesa di sentenza in primo grado da parte del Tribunale di Vibo Valentia.