Sono in tutto 91.354 gli stranieri che vivono in Calabria. Di questi, il 55,9% e’ impiegato in attività inerenti i servizi, il 16,9% in agricoltura ed il 9,1% nelle costruzioni. Sono questi i dati che emergono dall’ultimo rapporto, il XXV, sull’immigrazione presentato ieri a Catanzaro. Secondo il rapporto, la comunità più numerosa in Calabria è quella romena con il 34,5% delle presenze. Seguono Marocco (15,4%); Ucraina (6,8%); Bulgaria (6,7%); India (4,5%). Dati, questi, ai quali si aggiungono quelli relativi alle province da dove si evince che al primo posto per la presenza di immigrati c’é Cosenza con 30.275 stranieri che vi risiedono. Subito dopo ci sono Reggio Calabria (29.129); Catanzaro (16.175); Crotone (9.063); Vibo Valentia (6.712). Presenze, queste, che riguardano anche nuclei familiari con figli in età scolare e prescolare. Ed analizzando la frequenza degli istituti scolastici di primo e secondo grado, si evince che la presenza di figli di immigrati nella scuola dell’infanzia è del 16,9% mentre nella primaria è del 31,2%. Passando nella secondaria di primo grado si passa al 22,8% ed in quella di secondo grado del 29,1%.
“Non dobbiamo lasciare ai margini della nostra società queste persone” ha detto nel corso della presentazione mons. Giancarlo Perego, direttore nazionale della Fondazione Migrantes, che ha poi invitato ad “impegnare gli immigrati nei servizi sociali. Non dobbiamo subire la realtà – ha aggiunto – ma dobbiamo avere la capacita’ di generare, integrare, includere, riorganizzare la nostra vita associativa. In questo modo un Paese si rigenera grazie all’incontro con altre culture”. Quindi, nel ricordare che “sul territorio italiano vivono cinque milioni e 24mila immigrati”, Perego ha fatto notare che “la loro presenza è in calo al nord mentre l’immigrazione cresce al sud. Nelle scuole – ha proseguito – abbiamo oltre 800mila studenti di 96 nazionalità diverse e senza di loro molti istituti avrebbero chiuso e molti insegnanti sarebbero senza lavoro”, facendo emergere che “sono 650mila le persone che hanno acquisito la nazionalita’ italiana”.
Per Perego, poi, bisogna “distinguere gli immigrati che fuggono da guerre e carestie e altre calamità e i migranti economici che stanno cambiando il mondo”, facendo notare che “è in evoluzione anche il mondo della famiglia, un tema fondamentale. Nelle parrocchie italiane – ha affermato subito dopo – sono nati tremila doposcuola”. Ecco perché, “alla luce del fenomeno migratorio, la scuola va ripensata: basti pensare che a Prato e’ stata introdotta come seconda lingua il cinese per la massiccia presenza di cinesi sul territorio”. Per il direttone nazionale della Fondazione Migrantes, infine “il Rapporto Immigrazione aiuta a leggere la geografia del mondo nella sua continua evoluzione”. Da qui l’invito da un lato a far sì che “l’ora di religione nelle scuole diventi momento di dialogo e confronto tra diverse fedi e culture” e dall’altro che “la cultura dell’incontro valorizzi il patrimonio dell’accoglienza e dell’integrazione”. Parole cui hanno fatto eco quelle dell’arcivescovo di Crotone Santa Severina Domenico Graziani secondo il quale “la Chiesa italiana è chiamata ad adottare i criteri dell’integrazione culturale”.
Per Graziani, inoltre, “senza la Chiesa non si può trattare il tema dell’immigrazione. Purtroppo – ha concluso – c’e’ anche il fallimento della politica che non riesce ad andare oltre la prima accoglienza e le chiese sono chiamate ad attivarsi con le buone pratiche”. Prendendo la parola, il vescovo di Lamezia Terme Luigi Antonio Cantafora ha ricordato che “secondo il sociologo Bauman, la paura è il demone della nostra epoca. Abbiamo paura a causa della nostra ignoranza e ci sentiamo immersi in un’insicurezza generale”. Ecco perché “ciò che trasforma gli stranieri in pericoli è l’assenza di una conoscenza reale delle loro intenzioni e del loro comportamento. Ci mancano le competenze che servono per affrontarli in modo adeguato e per rispondere alle loro mosse. In più, gli stranieri, soprattutto i migranti, i nuovi venuti, tendono a mettere in questione quello che ‘noi’, i nativi, siamo”.