Ci sono, pochi ma ci sono, i terrapiattisti, i quali ritengono che il nostro pianeta non sia uno sferoide, più esattamente un geoide, bensì piatto, e a un certo punto finisca. È un’opinione alquanto – è il caso! – campata in aria, però è un’opinione, e, come tale, tutelata dall’art. 21 della vigente cost. Chi la sostiene può parlarne a casa sua, al bar, in tv, sui giornali; può scrivere un libro. E ciò vale anche se si tratta di un professore o di un preside.
Giusto, ma se, nell’esercizio delle loro funzioni, insegnano in classe che la Terra è piatta, senza dire che è un’opinione ma presentando la cosa come verità e unica verità, e nemmeno tentando di dimostrarla, e interrogano pure e danno il voto ai fanciulli, commettono una palese violazione della deontologia professionale.
Anche la preside di Firenze è liberissima, ex art. 21, di pensarla, in quanto persona privata, come vuole; e anche di sconoscere la storia italiana del Novecento, se si contenta di ignorarla a casa sua, al bar, in tv… Pazienza, anche io, da studente, ero deboluccio in trigonometria.
Quando però un dirigente usa la carta intestata della scuola, le cose cambiano radicalmente, ed è come se scrivesse, nella programmazione annuale, che è piatta la Terra, e che bisogna cancellare dai libri i vari Eratostene detto Beta, Colombo, Copernico, Galileo… e dimenticavo Dante, il quale era convintissimo di star visitando, sotterraneamente, una Terra rotonda; anzi riteneva la cosa ben nota a tutti. Se dunque un preside scrivesse ufficialmente di Terra piatta su un foglio intestato, quindi ufficiale, commetterebbe una scorrettezza professionale, e causerebbe un danno alle menti dei suoi allievi.
Se una preside sconosce quanto accadde in Italia dal 1914 e l’interventismo, con la Prima guerra mondiale, Fiume, il combattentismo e reducismo, il fallimento dei liberali e dei socialisti, e quindi la presa di potere del fascismo e mantenimento fino al 25 luglio 1943, e riduce due decenni di storia italiana a qualche tafferuglio di strada, mi spiace per lei, ma è libera, a casa sua, di pensarlo. Se lo scrive sopra un foglio intestato, quindi ufficiale, no, non è libera; come non sarei stato libero io, da prof, di negare che il suddetto Dante abbia scritto la Commedia, e andassi affermando che invece l’abbia composta, putacaso, Cecco Angiolieri. Raccontavo ai miei ragazzi che Cecco piglia in giro Dante in uno spiritosissimo sonetto, ma non ho mai ridotto a battute i miei tre anni di corso sul Divino Poema. I miei allievi, ormai cresciuti quando non anzianotti, me ne sono riconoscenti.
Quasi quasi mando alla preside il mio libro. Che ne dite?
Ulderico Nisticò