Il Piave e la reinvenzione del passato


cavalleria Se pensiamo alla Prima guerra mondiale (1915-8 per l’Italia), subito canticchiamo la Canzone del Piave, di E. A. Mario, che in questi giorni è stata suonata e cantata in tutte le cerimonie. Curiosa però la sua vicenda, ed esempio di come quasi sempre la storia venga raccontata a cose fatte, e l’inizio di una vicenda, e in particolare di una guerra, viene confuso con la sua conclusione, che è spesso molto diversa dalle previsioni e ha preso tutt’altra strada.

 Nemmeno è vero il ritornello che troppo spesso si ripete, che la storia la scrivano i vincitori, giacché la stessa operazione di reinvenzione la compiono anche i vinti: esempio, l’Eneide, in cui si dice che la distruzione di Troia fu una bella fortuna, giacché un discendente di Enea regnerà a Roma… mille anni dopo!

 Il Piave, cantiamo, assiste al passaggio dei fanti che, il 24 maggio, s’intende 1915, vanno a “fare barriera contro il nemico” austroungarico. Si deve dunque supporre che Vienna e Budapest abbiano dichiarato guerra all’Italia per invaderla; mentre è tutto il contrario: l’Italia dichiarò guerra ai due Regni asburgici, e iniziò una serie di offensive con lo scopo di penetrare nei territori nemici. Offensive che ebbero luogo tutte sull’Isonzo, senza minimamente interessare il Piave.

 I Comandi italiani, come del resto quasi tutti i generali europei di quella sciagurata e mal condotta guerra mondiale, avevano un piano sicurissimo per vincere in un colpo: avanzare! Il risultato fu un massacro senza risultati, perché anche il nemico aveva un piano sicurissimo per resistere. L’unica cosa seria che doveva fare l’Italia, uno sbarco nei Balcani giovandosi della netta superiorità navale, era cosa troppo audace per l’ottuso Cadorna; e lo impedivano gli interessi di Francia e Gran Bretagna, che invece ebbero una politica militare in quell’area, e nemmeno lo fecero sapere all’Italia.

 Mentre dunque continuavano le inutili spallate sull’Isonzo, il Piave non aveva niente da mormorare; finchè, il 24 ottobre 2017, una fortunata offensiva austrotedesca non  sfondò a Caporetto; e si pensò seriamente a una ritirata sul Mincio, o persino sul Ticino. Si vuole che il re Vittorio Emanuele III abbia imposto la linea del Piave, dove l’attacco nemico venne effettivamente arrestato. Ora, ma solo ora, i nostri fanti fecero barriera! Aveva assunto il comando il generale napoletano Armando Diaz, che saprà vincere. Evviva la Spagna!

 Nell’estate del 1918, gli Imperi Centrali decisero uno sforzo supremo sia sul fronte francese sia contro l’Italia. Lo schieramento centrale del Piave rischiava di cedere, ma resistettero sia la foce sia il Monte Grappa, e l’offensiva fallì. Ecco che il Piave fece il suo dovere, senza tuttavia aver mai pensato a una cosa del genere il 24 maggio 1915.

 Diaz inseguì il nemico e lo sconfisse a Vittorio Veneto. Follemente, il governo accettò la richiesta austroungarica di armistizio, quando avrebbe dovuto, per evidenti ragioni politiche, avanzare e occupare il massimo possibile di territorio, o persino Vienna; e magari, dal Tirolo, penetrare in Germania. Sogni miei anche questi retroattivi, per gli ometti che stavano allora al potere. A stento l’Italia ottenne dai falsi alleati poco di più di quanto l’Austria, nel 1914, aveva offerto perché restasse neutrale.

 Ma allora si celebrò la grande vittoria sul campo. Firmò il Bollettino il Diaz; lo aveva scritto il generale Siciliani di Cirò; anche lui inneggiando alla difesa italiana contro l’invasione asburgica. Ecco come si reinventa la storia.

Ulderico Nisticò


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