Di fronte all’assurdo caso del nove in condotta ai fanciulli che spararono alla professoressa, il ministro Valditara ha chiesto una relazione. Tiro a indovinare, ma secondo me la scuola risponderà con decine di pagine nel più perfetto stile burocratico e in lingua scolasticese: e, con le attuali normative e con la mentalità che corre, magari la scuola avrà pure ragione. Ragione formale, voglio dire, anche se palese sostanziale torto.
Afferma dunque Valtidara che bisogna “restituire autorevolezza” ai docenti. E usa la parola esatta, il ministro: autorevolezza.
Traduco io: il docente deve recuperare la sua centralità. La centralità dei docenti, ma a cominciare da ogni singolo docente. Intanto, il tapino va liberato da scartoffie che non servono a niente e che non legge nessuno; e lo stesso da riunioni a colpi di sbadigli.
Lo stesso per la caccia al progetto, roba che sottrae tempo alla didattica. Idem per marce e palloncini e convegni e predicozzi, eccetera.
E veniamo all’autorevolezza. Questa è una virtù che o c’è o non c’è, e non la dà nessuna legge. Se c’è, il vecchio prof se ne accorge quando sente dire sulla spiaggia che l’ex allievo/a, un trenta, quarant’anni dopo, si ricorda di lui vivendo lontano non solo nel tempo ma anche nei luoghi.
L’autorevolezza è la padronanza culturale della materia, e la capacità di comunicarla con efficacia. Ma è anche il rapporto che ha con i giovani, diventandone amico senza smettere di essere il professore.
La materia, con buona pace dei pedagogisti della domenica, è il suo contenuto. Prima di insegnare a giudicare, che so, se Pia dei Tolomei era colpevole o meno, bisogna spiegare Dante, la Commedia, il Purgatorio, il canto Quinto. Eccetera.
Autorevolezza è anche essere equanimi e giusti. Così la smettiamo di credere che i figli dei ricchi pigliano voti alti e bassi quelli dei poveri, come, secondo don Milani, successe dalle sue parti; e sta ammorbando la scuola parlando male di una anonima “professoressa”, per le cui presunte colpe stanno pagando migliaia di prof incolpevoli. Nove ai pistoleri incluso.
Nemmeno è vero, però, se i figli dei poveri devono prendere voti alti in nome della giustizia sociale. Se mai, funzione della scuola è indurre, o costringere gli allievi a sviluppare i propri talenti, come si legge nella Parabola evangelica apposita. Talenti che non corrispondono necessariamente a riuscire in un indirizzo dove magari uno è stato mandato a forza: meglio un ottimo idraulico che un approssimativo classicista a colpi di “qui fu la Magna Grecia”!
Conclusione, ai prof va restituita l’autorevolezza; però i prof se la devono conquistare sul campo. Alla fine scopriranno che poter dire a un ragazzo “nabis sine cortice” – ti insegno a nuotare senza salvagente, come canta Orazio – resta, se fatto bene, il mestiere più bello del mondo.
Ulderico Nisticò